“Dobbiamo liberarci dei paradisi fiscali, non c’è alcuna ragione per la loro esistenza, esistono solo perché lo vuole l’1% delle aziende. La segretezza, come nel caso Apple, dovrebbe essere inaccettabile, per la nostra democrazia”. Joseph Stiglitz, uno degli economisti assegnatari del premio Nobel che vanno per la maggiore in Italia (assieme a Paul Krugman), si è scagliato contro i paradisi fiscali, sostenendo che ci si debba liberare di essi, quasi come se fossero un virus letale.
Quando afferma “non c’è alcuna ragione per la loro esistenza, esistono solo perché lo vuole l’1% delle aziende”, cade in una contraddizione da persona incapace di argomentare in modo logico. Qui non mi interessa discutere sul fatto che i paradisi siano voluti dall’1% delle aziende o da molti più soggetti; mi interessa invece sottolineare che esistono proprio perché qualcuno li ritiene utili, e questo comporta che una ragione per la loro esistenza è evidente.
Trovo poi agghiacciante l’affermazione successiva, ossia che la segretezza “dovrebbe essere inaccettabile, per la nostra democrazia”. Agghiacciante ancorché non mi stupisca che Stiglitz e tanti altri abbiano questo punto di vista. Confermano che la democrazia è una forma di totalitarismo da parte di governanti che, nella migliore delle ipotesi, sono stati eletti da una maggioranza degli aventi diritto al voto, anche se, sempre più spesso, si tratta di minoranze della popolazione.
Non potere avere segreti significa realizzare per intero la distopia di “1984” di Orwell, con la diretta conseguenza che la libertà e la proprietà di ogni individuo, ancorché formalmente riconosciute dal governo democratico, sarebbero sostanzialmente alla totale mercé dello stesso (il Grande Fratello). Una prospettiva che al consumatore di tasse Stiglitz può apparire innocua, ma non lo è affatto.
Questo trarrebbe grande giovamento dal lavorare un paio di anni quale operaio agricolo a 4,5€ all’ora.
Imparerebbe cos’è l’economia, e la vita.