“L’inflazione è paurosamente vicina allo zero, se non addirittura negativa. Temo che non si riesca ad avere un’inflazione decente, attorno al 2%, che è utile all’economia come il lubrificante al motore”. Non è la prima volta che il ministro Padoan esterna la propria preoccupazione per un livello di inflazione (intesa come crescita di un indice dei prezzi al consumo, ossia, in realtà, una delle conseguenze dell’inflazione monetaria) inferiore al 2%, che è poi anche il target delle principali banche centrali, tra cui la Bce.
Secondo Padoan, quel livello, a suo dire “decente”, servirebbe come “lubrificante al motore” dell’economia. Di fatto si tratterebbe di una redistribuzione di ricchezza, seppure in dimensioni diverse, in valore assoluto, rispetto a quella di 30-40 anni fa. Ogni debitore trae beneficio dalla perdita di potere d’acquisto della moneta, dato che i suoi debiti sono (generalmente) espressi in valore nominale, per cui si alleggeriscono se la moneta si svilisce.
Al contrario, ciò danneggia i creditori. Dato che gli Stati e i principali attori economici e finanziari sono tendenzialmente debitori, non deve stupire la valutazione positiva di “un po’ di inflazione”. L’uso dell’inflazione per erodere il valore reale dei debiti non è affatto un fenomeno dell’era moderna, anche se la sua giustificazione a livello accademico si è rafforzata nel corso del Novecento, in particolar modo dalla Teoria Generale di Keynes in poi. Checché alcuni abbiano cercato di dimostrare econometricamente che il 2% di crescita dei prezzi al consumo sia un livello ideale per sostenere la crescita del Pil senza generare una spirale di aspettative crescenti sull’andamento dei prezzi, il punto fondamentale è che ogni manipolazione dei prezzi crea distorsioni nell’allocazione delle risorse e, quindi, della ricchezza. Per di più, il mito del 2% risale a un periodo nel quale la stima della crescita potenziale del Pil (altro concetto sul quale incidono dosi più o meno consistenti di arbitrarietà, e non a caso non vi è consenso su come calcolarla neppure tra gli economisti mainstream) era anch’essa attorno al 2%.
Ora, considerando che l’Italia negli ultimi 15 anni ha avuto una decrescita reale del Pil dello 0.1% medio annuo, e che allungando l’orizzonte a 20 anni si arriva a un misero +0.4% medio annuo, è ben difficile ipotizzare, senza cambiamenti radicali, che si possa tornare stabilmente attorno al 2% annuo. La dinamica demografica, unitamente alle incrostazioni di statalismo che nessun governo finora ha inteso ridurre (me che meno rimuovere) non lasciano sperare in cambiamenti radicali in meglio. Ma tutto questo significa che una crescita dei prezzi al consumo al 2% avrebbe un peso relativo molto maggiore nello scenario di crescita reale del Pil allo “zero virgola”, rispetto a quello in cui il Pil cresce attorno al 2% annuo. Alla faccia del lubrificante.
Delinquenza politico economica allo stato solido.
A questi economisti keynesiani da strapazzo, alcuni dei quali riescono pure ad assurgere al livello di “ministro” o anche di “governatore della banca centrale” (!) non darei da amministrare nemmeno una bocciofila.
Se fossero intelligenti potrei anche pensare che il volere un’inflazione al 2% faccia parte di un loro piano diabolico per cui i lavoratori dipendenti e i pensionati ~ percettori di reddito fisso ~ siano tenuti sempre sotto ricatto sull’adeguamento del potere d’acquisto al carovita. Ma poiché intelligenti non sono, allora mi sento rabbrividire al pensiero che la loro pochezza mentale possa diventare assai perniciosa per l’economia della nazione, cioè per noi tutti.
Come si fa a spiegare loro che, per la «regola del 72», col 2% di inflazione la moneta perde metà del suo valore ogni 36 anni?