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Artur mas, quando l’uomo politico si sacrifica per il progetto politico

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di GIANLUCA MARCHI

mas e puig 2Un uomo politico non sempre, anzi molto raramente se stiamo all’esperienza italica, diventa un grande uomo politico, per non dire un leader storico. Quando avviene un tale passaggio verso l’altro? Beh, i momenti decisivi per il salto di qualità possono essere diversi, ma sempre devono coincidere con l’emancipazione, la crescita e l’affermazione del popolo a cui il suddetto uomo politico è stato chiamato alla guida. Uno dei momenti più difficili ma più sinceri è quando l’uomo politico in questione sa mettere da parte le proprie ambizioni personali per continuare a inseguire il progetto politico (o sogno, che dir si voglia) suo e della maggioranza del suo popolo.

In questo senso Artur Mas ha dimostrato in questi giorni di poter compiere il salto da comune uomo politico a grande uomo politico. Il presidente uscente della Catalogna, nonostante i partiti che lo sostenevano avessero vinto le elezioni catalane del 27 settembre scorso non solo sulla base di un chiaro progetto indipendentista, ma anche sulla sua riconferma alla guida della Generalitat, dopo aver tentato in tutti i modi di riscuotere quel bonus personale, davanti alla caparbietà del movimento alleato della Cup di negare la sua rielezione, ha compiuto l’unica scelta che aveva di fronte per salire di un gradino verso il titolo di grande uomo politico: si è fatto da parte, consentendo la nomina di Carles Puigdemont, sindaco indipendentista di Girona, a nuovo presidente della Catalogna. Compiendo questo sacrificio personale Artur Mas ha impedito che il processo indipendentista, in cui credono milioni di catalani, subisse una pericolosa battuta d’arresto e ha evitato la convocazione di nuove elezioni catalane in primavera, che avrebbero potuto essere un’incognita  per i partiti indipendentisti, oggi titolari di una chiara maggioranza assoluta nel Parlament di Barcellona.

Mas avrebbe potuto resistere fino alla rottura nella propria decisione di rivendicare la presidenza, punto che era parte integrante di Junts pel Si, il cartello formato da CDC ed ERC che aveva ottenuto la maggioranza relativa il 27 settembre. Non avrebbe trasgredito alcun patto elettorale, ma avrebbe tradito il sogno politico di milioni di cittadini catalani, quello di ottenere l’indipendenza per la propria terra, sganciandola dal giogo del regno spagnolo.

Dopo anni di presidenza della Catalogna alla guida del partito moderato e autonomista di Convergencia i Uniò, già nel 2013 Mas aveva impresso una svolta alla propria carriera politica e soprattutto aveva imposto una accelerazione al processo soberanista della Catalogna, trasformando il proprio partito da autonomista ad indipendentista, pagando il prezzo della rottura del suo stesso movimento e mettendo totalmente in gioco il proprio futuro politico. Non solo: ha compiuto scelte, come quella di far celebrare il referendum autogestito del 2014, che lo espongono a una condanna fino a 15 anni di reclusione da parte della giustizia spagnola. E oggi non ha fatto che un ulteriore passo in quella direzione, impedendo che la strada verso l’indipendenza (ancora lunga, difficile e ricca di insidie) venisse sbarrata dalle proprie ambizioni personali. Chapeau.

Viene da fare il triste paragone con coloro che sono stati sedicenti leader indipendentisti italici, che hanno ottenuto importanti incarichi istituzionali promettendo al volgo credulone improbabili trattenute fiscali sul territorio e ridicoli referendum/sondaggi sulla disponibilità a chiedere maggiore autonomia per la Lombardia, riponendo poi tutto in un cassetto una volta ottenuta la poltrona…

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