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Fondatori: Gilberto Oneto, Leonardo Facco, Gianluca Marchi

Quell’unificazione italiana costata carissima alle due sicilie

Da leggere

Carta del Regno delle Due Sicilie.2di CONOSCENZE NASCOSTE

Sono passati 150 anni dalla presunta unificazione dell’Italia… anche se da quel fatidico 17 marzo 1861 l’Italia si è divisa. Come si spiega il divario tra sud e nord? Il sud sempre discriminato.

La verità ci è stata sempre occultata, qui si parla di centinaia di migliaia di vittime, e in che modo barbaro sono state assassinate…nessuno ne è al corrente? o semplicemente si vuol tacere su crudeltà effettuate ai danni degli italiani del sud, per non recare scandalo e orripilenza agli occhi del mondo. Tutto questo orrore per un ideale? Unificazione dell’Italia?

No, gli eventi sono diversi da quelli raccontati nei libri di Storia. Il regno delle Due Sicilie era la 3° potenza mondiale economica e come tale era un bel bottino per gli unificatori d’Italia. Hanno devastato e saccheggiato l’intero sud, lasciandolo privandolo delle sue ricchezze, lasciato di stenti e tra l’altro tassato più del nord, per ripristinare ( oltre al furto perpetuato) le spese della guerra stessa.

Dal 1861 cominciò una massiccia emigrazione, fenomeno che ci ritroviamo ancora dopo 150 anni…. Alla faccia dell’unità d’Italia…ma si taciamo e nascondiamo tutto , tanto chi se ne frega sono fatti di 150 anni fa, tanto stiamo bene grazie ai terroni morti che hanno fatto arricchire lo Stato.

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12 COMMENTS

  1. @PADANIA LIBERA
    interessante documentazione. Non riesco a capire l’indignazione nei confronti di Miglio Verde.
    L’A. dei chilometrici interventi conosce la figura retorica chiamata IRONIA e quell’altra chiamata SARCASMO?

    • Cioè? Scusa ma non ho capito.Pensi che Facco abbia riportato quel pezzo per fare ironia?
      Purtroppo anche Gilberto Oneto credeva a simili balle : https://www.youtube.com/watch?v=6exUXHN-sXI
      ascolta dal min. 3:30 dove incomincia a parlare dell’economia florida del meridione che viene distrutta.
      Quelli che vengono mostrati come partigiani morti per Francesco ll erano quasi esclusivamente criminali anche cannibali che cercavano solo oro e denaro dalla stessa gente del Sud,e venivano gia combattuti dai Borbone,
      Qua si trova tutto: https://it-it.facebook.com/La-verit%C3%A0-sul-brigantaggio-I-crimini-dei-briganti-543406625735310/
      Le cose qui riportate sono state trovate semplicemente grazie a google.
      Ciao,Luca,Torino.
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      ll politico britannico, intenzionato a dimostrare che lo Stato borbonico si trovasse in una terribile situazione sociale, si espresse con parole molto dure:
      « Non descrivo severità accidentali, ma la violazione incessante, sistematica, premeditata delle leggi umane e divine; la persecuzione della virtù, quand’è congiunta ad intelligenza, la profanazione della religione, la violazione di ogni morale, sospinte da paure e vendette, la prostituzione della magistratura per condannare uomini i più virtuosi ed elevati e intelligenti e distinti e culti; un vile selvaggio sistema di torture fisiche e morali. Effetto di tutto questo è il rovesciamento di ogni idea sociale, è la negazione di Dio eretta a sistema di governo. »
      (William Gladstone)
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      ” La monarchia dei borboni ha reso il popolo meridionale mezzo barbaro , di una ignoranza assoluta , di una isupestizione senza limiti , come gli africani “( Metternic ,1820)
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      Il conte piemontese Guido Borromeo, da poco nominato segretario generale del Ministro degli Interni, in una lettera a Ferdinando Riccardi di Netro del 14 dicembre 1860 afferma:« Conosco molto codesto Paese dove ho soggiornato per più di due anni consecutivi e so di quali spine, e di quanti agguati siano cosparse le sue vie. Avvezzi alla severa disciplina e alla sdegnosa onestà del nostro settentrione, la viltà, l’ingordigia, la venalità e la malafede che cresce in ragione cubica più si discende verso il calcagno dello stivale ,fanno un effetto disperante. Ci vorranno due generazioni prima che il rubare, il mentire, il truffare siano costì considerate azioni non proibite soltanto dal Codice. Eppure bisogna che qualcuno si assuma di far da maestro e da pedagogo»
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      A. Bianco di St. Jorioz fu persino più esplicito a proposito della paradossale coesistenza di «Italia» e «Africa» nella stessa nazione: «Qui siamo fra una popolazione che, sebbene in Italia e nata italiana, sembra appartenere alle tribù primitive dell’Africa» (in B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari 1972, p. 246).
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      « La nuova Italia aveva trovato in condizioni assolutamente antitetiche i due tronconi della penisola, meridionale e settentrionale, che si riunivano dopo più di mille anni.
      L’invasione longobarda aveva spezzato definitivamente l’unità creata da Roma, e nel Settentrione i Comuni avevano dato un impulso speciale alla storia, mentre nel Mezzogiorno il regno degli Svevi, degli Angiò, di Spagna e dei Borboni ne avevano dato un altro.
      Da una parte la tradizione di una certa autonomia aveva creato una borghesia audace e piena di iniziative, ed esisteva una organizzazione economica simile a quella degli altri Stati d’Europa, propizia allo svolgersi ulteriore del capitalismo e dell’industria.
      Nell’altra, le paterne amministrazioni di Spagna e dei Borboni nulla avevano creato: la borghesia non esisteva, l’agricoltura era primitiva e non bastava neppure a soddisfare il mercato locale; non strade, non porti, non utilizzazione delle poche acque che la regione, per la sua speciale conformazione geologica, possedeva.
      L’unificazione pose in intimo contatto le due parti della penisola. » (Antonio Gramsci.La questione meridionale)

  2. Il Miglioverde si dovrebbe vergognare di pubblicare simili balle .
    Se pensate così di ottenere l’indipendenza vi sbagliate di grosso.I meridionali raccontano ste bugie solo perchè vogliono altri soldi.

    “L’Italia meridionale entrò disgraziatamente a far parte del nuovo Regno in condizioni assai diverse da quelle che il Nitti lascia credere. Essa viveva di una economia primitiva, in cui quasi non esisteva la divisione del lavoro, e gli scambi erano ridotti al minimo: si lavorava più spesso per il proprio sostentamento, anziché per produrre valori di scambio e procurarsi, con la vendita di prodotti, quello di cui si aveva bisogno”.
    Giustino Fortunato, Il Mezzogiorno e lo stato italiano; discorsi politici (1880-1910), vol.2, Laterza, 1911, p.340 -PRIMO MINISTRO REGNO 2 SICILIE-
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    in una lettera a Cavour del 27 ottobre 1860 indirizzata da Luigi Carlo Farini :
    “Ma, amico mio, che paesi son mai questi, il Molise e Terra di Lavoro! Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Affrica: i beduini a riscontro di questi caffoni, sono fior di virtù civile. E quali e quanti misfatti! Il Re dà carta bianca: E la canaglia dà il sacco alle case de’ Signori e taglia le teste, le orecchie a galantuomini, e se ne vanta e scrive a Gaeta: i galantuomini son tanti e tanti: a me il premio. Anche le donne caffone ammazzano; e peggio: legano i galantuomini (questo nome danno ai liberali) pe’ testicoli, e li tirano così per le strade; poi fanno ziffe zaffe: orrori da non credersi se non fossero accaduti qui dintorno e in mezzo a noi. Ma da qualche dì non è accaduto altro: ho fatto arrestare molta gente; alcuni ho fatti fucilare alle spalle (ne domando scusa a Cassinis); Fanti ha pubblicato un bando severo. Giunto che io sia a Napoli, vi manderò un rapporto con documenti sopra questa gesta della Corte di Gaeta, la quale ha mantenute incontaminate le tradizioni della Regina Carolina e del Cardinal]e Ruffo2.”
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    Massimo D’Azeglio che fu presidente del consiglio del Regno di Sardegna ed esponente della corrente liberal-moderata tra l’altro così scriveva :” In tutti i modi la fusione con i napoletani mi fa paura e come mettersi a letto con un vaioloso”.
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    Enrico Cialdini a Napoli nell’agosto del 1861 in una lettera inviata a Cavour, così si esprimeva: “Questa è Africa! Altro che Italia. I beduini a confronto di questi cafoni sono latte e miele”
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    il generale Paolo Solaroli: “La popolazione meridionale è la più brutta e selvaggia che io abbia potuto vedere in Europa”.
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    Carlo Nievo, ufficiale dell’armata piemontese in Campania al più celebre fratello Ippolito, ufficiale e amministratore della spedizione garibaldina in Sicilia: “Ho bisogno di fermarmi in una città che ne meriti un poco il nome, poiché sinora nel Napoletano non vidi che paesi da far vomitare al solo entrarvi, altro che annessioni e voti popolari dal Tronto a qui ove sono, io farei abbruciare vivi tutti gli abitanti, che razza di briganti, passando i nostri generali ed anche il re ne fecero fucilare qualcheduno, ma ci vuole ben altro”.
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    Relazione di Costantino Nigra al presidente del consiglio Conte di Cavour per ordine di S.A.R il Principe di Carignano, luogotenente di S.M. Napoli 20 maggio 1861 :
    Le storie contemporanee, da Colletta in poi, sono piene de’ biasimi dell’Amministrazione borbonica, Ma nessun’a storia ha potuto svelare 1Jutta quanta la immensa piaga. Fatte le debite eccezioni, tanto più onorevoli quanto più rare, ben si può dire con tanta verità, come ogni ramo di pubblica amministrazione fosse infetto dalla più schifosa corruzione. La giustizia criminale serva delle vendette del Principe; la civile, meno corrotta, ma incagliata anch’essa dall’arbitrio governativo. Libertà nessuna, né ai privati ne’ ai municipi, Piene le carceri ,e le galere dei più onesti cittadini, commisti ‘a’ rei dei più infami delitti. Innumerevoli gli esiliati.
    ‘Gli impieghi concessi al favore o comperati. Gli impiegati in numero dieci volte maggiore del bisogno. Gli alti impieghi largamente pagati, insufficientissimi gli stipendi degli altri. Quindi corruzione e peculato ampiamente e impunemente esercitati.
    Abuso di pensioni di giustizia e di grazia. Ammessi in gran numero ad impieghi governativi ragazzi appena nati, cosicché contavano gli anni di servizio dalla primissima Infanzia. Istruzione elementare nessuna. La secondaria poca o insufficiente. L’universitaria anche più poca e cattiva. Trascurata più ancora l’istruzione femminile. Quindi ignoranza estrema nelle classi popolari. Pochi i mezzi di comunicazione. Non sicure le strade, né le proprietà, né le vite dei cittadini. Neglette le provincie. Poco commercio malgrado le risorse immense di paese ‘ricchissimo. Pochissime le industrie. Perciò aggiunta all’ignoranza la miseria e la fame. Le spese di amministrazione molto maggiori d’ogni più largo calcolo. Gli istituti di beneficenza, largamente dotati, depauperati da schiera immensa di impiegati, di amministratori, di ingegneri, di avvocati. I proventi loro consumati, di regola generale, per tre quarti in spese di amministrazione e per un quarto solamente nello scopo dell’istruzione. Nelle carceri, nell’esercito, nelle amministrazioni, in tutti i luoghi pubblici esercitata largamente LA CAMORRA , il brigantaggio nelle provincie, il latrocinio dappertutto. La polizia trista, arrogante, malvagia, padrona della libertà e della fama, dei cittadini. I lavori pubblici, decretati, pagati e non tatti. Ogni potere, ogni legge, ogni controllo concentrato nell’arbitrio del Principe. Nessuna guarentigia del pubblico danaro. Clero immenso, ignorante, salvo alcune eccezioni meno rare nelle diocesi di Napoli; sforniti di dignità e della coscienza del proprio ministero. Bassa superstizione nel popolo. La mendicità esercitata, sotto forme diverse, da tutte le classi dei cittadini, non escluse le più elevate. Non giornali, non libri. L’esercito corrotto, non esperto di guerra, privo di fiducia nei capi. Fu notato a ragione che se le popolazioni napoletane han potuto resistere ‘a tanti mali per si lungo tempo, ben doveva essere tenace la loro tempra, e profonda la coscienza del loro diritto. Infatti tutto questo corrotto edifizio, a mala pena sostenuto dall’ostinata volontà di Ferdinando secondo, si sfasciò sotto l’urto di un pugno di uomini eroici a cui tenne dietro il sollevamento quasi istantaneo dell’intera popolazione
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    Debito del Sud prima dell’Unità : http://archive.org/stream/appletonsannualc1862newyuoft#page/392/mode/2up
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    Leandro Fernandéz de Moratìn su Napoli
    «Il popolo è numerosissimo, villano, nudo, maligno, ripugnante quanto mai; la plebe di Napoli è la più strafottente, la più spudorata, la più oziosa, la più sudicia ed indecente che io abbia mai visto nei miei viaggi. Scalzi e miserabili, con calzonacci strappati e una camicia zozza e tutta bucata, percorrono la città, si raccolgono a prender il sole, urlano per le vie e, senza occuparsi di niente, passano il giorno vagando senza mèta, finché la notte si ritirano nei loro infelici tuguri.Gente che non conosce responsabilità alcuna nella vita nè dignità, si mantiene in vita rubando, ed è da credere che in una città cosi grande non manchi mai l’avanzo delle mense dei potenti o della zuppa dei conventi per sfamarli cosi da ridurli ancor più alla pigrizia. Un piatto di brodaglia col quale ciascuno di essi possa soddisfare le proprie necessità di stomaco, le sole necessità che conoscano; e inoltre, per male che vada, ruberanno sempre due o tre denari, per saziarsi di castagne, pere, formaggio, polenta, maccheroni, trippa, o pesce fritto negli innumerevoli spacci, che si trovano da ogni parte e son destinati proprio al mantenimento dei lazzaroni.Il loro numero è cresciuto al punto che vien stimato intorno ai 50.000; un esercito.Benchè io dubiti della cifra, debbo riconoscere che si son moltiplicati a dismisura e che incutono molta paura camminando per strada.
    Leandro Fernandéz de Moratìn [1760-1828]
    Poeta, drammaturgo e letterato spagnolo.
    Da: Viaje de Italia. A Napoli nel 1794.
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    Benedetto Nardini (2) su Napoli
    «Solo raccapriccio provo, a ricordare le crudeltà ignominiose commesse durante la rivoluzione [del 1799] dalla plebe napoletana.I lazzari arrostivano gli uomini nelle strade, e domandavano poi con volto penoso ai passanti elemosina per aver spiccioli con cui comprar del pane per mangiarseli arrostiti. Molti di loro portavano nelle tasche delle loro vesti stracciate ,dita e orecchi tagliati, e quando incontravano qualcuno che credevano partigiano del re [ ferdinando I di Borbone], gli mostravano queste spoglie con aria trionfante. Condussero un uomo nudo per le vie, e lo costrinsero a camminare curvo perché uno di questi scellerati, che era al suo fianco,cercava di tagliargli i testicoli con la sciabola.Le donne erano ancora più crudeli: bastava venir denunciato come rivoluzionario da una di queste furie per esser massacrati sul campo. Chiunque avesse capelli tagliati era perduto. Qualcuno pensò di camuffarsi con parrucche; ma quei barbari orrendi ben presto capirono l’astuzia.Essi correvano dietro ai passanti e tiravano loro i capelli, e se restavano loro in mano , per quelli era la fine. Più di 2000 case vennero saccheggiate [le case dei nobili].Tutto ciò si fece per il re e per le Santa Fede. Per tre mesi il cardinale Ruffo devastò il paese, che pure era anche suo.»
    Benedetto Nardini.
    A Napoli nel 1799
    da: Mes périls pendent la révolution de Naples; récit de toutes les horreurs commis par les lazzaronis.
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    Charles de Brosses su Napoli
    «La città è popolata da scoppiare; tutti i banditi e gli scioperati della provincia si son insediati nella capitale. Li chiamano lazzarelli; questa gente non ha abitazione; passa la vita in mezzo alla strada a far nulla, e vive di furti ed elemosine che fanno i conventi. Ogni mattina ricopre, sconcia com’ è, la scalinata del chiostro e l’intera piazza di Monteoliveto, che non ci si passa: uno spettacolo osceno da far vomitare»
    Charles de Brosses
    A Napoli nel 1740
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    Samuel Sharp su Napoli
    «I lazzaroni napoletani sono i più squallidi miserabili che si possano immaginare; in nessun altro paese d’Europa si vede un popolo cosi spaventoso. Nemmeno tra i facchini delle vetrerie londinesi si troverebbero due o tre selvaggi come questi. E sono a Napoli decine di migliaia questi lazzaroni e non uno di essi dorme mai in un letto: tutti dormono sui gradini che son davanti ai palazzi o sulle panche della strada. Ne vedete alcuni – e ciò che è davvero scandaloso – sdraiarsi sotto i muri di palazzo reale e starsene lì per tutta la giornata a riscaldarsi al sole come tanti maiali: lo spettacolo è dei più disgustosi. Quasi tutti son pressoché nudi: soffrono molto il freddo e se il clima fosse loro meno propizio come lo è a Londra , morrebbero tutti stecchiti certamente. Anche tra gli operai pochi portano le scarpe; i loro bambini poi non ne portano mai. Si dice che siano avvezzi a questo e alle intemperie; tuttavia l’inverno li affligge ugualmente di geloni e di piaghe alle gambe, e fanno proprio pietà. In primavera quei poveri piccini son lasciati completamente nudi, e cosi i loro genitori riescono perfino a fare una piccola economia – privandoli di vestiti ! I conventi a Napoli sono di converso molto ricchi e usano distribuire pane e brodo una volta al giorno a chi domanda la carità; i lazzari vivono principalmente di questa; altri, o rubano o chiedono elemosina, e ottengono abbastanza per sorpravvivere. E paion felici , il che mi lascia perlesso; ma nessuno sembra darsene pena e prender provvedimento.
    Samuel Sharp [ 1700 – 1778], medico chirurgo e letterato londinese
    A Napoli nel 1765 per 8 mesi
    Da: Letters from Italy, describing cutsoms and manners in the years 1765-66
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    Johann Georg Keyssler su Napoli
    Una setta di cinici
    « I lazzari sono una razza che esiste solo a Napoli, e possono considerarsi come un vero e proprio fenomeno morale a sé stante. Se ne contano decine di migliaia, non hanno nè stato , nè occupazione, nè possedimenti, nè dimore, nè mezzi fissi di sussistenza, non facendosi notare che per l’estrema miseria e cattiveria, e tuttavia formano una specie di corpo politico che spesso in passato come oggi ha allarmato il governo e il re. Questa classe di sembianti di uomini deve la sua sopravvivenza alla fertilità del paese, al calore del clima, e all’orrore che hanno per il lavoro. Un lazzaro non vivrà per settimane intere che di frutti della terra e rubando o elemosinando o ingannando, pago di sè e del mondo. Il suo abbigliamento è sconcertante : va pressoché nudo; non abita in case ma per le strade di Napoli. Passa cosi le notti, soddisfatto se trova un riparo ma senza alcuna pena per andarselo a cercare. Viene sfruttato in qualità di messaggero, manovale etc. La più piccola ricompensa lo accontenta. Sopportano per lo più pazientemente tutte le offese ed i segni di disprezzo degli altri Napoletani, che amano passar la loro giornata a ingiuriarsi e aggredirsi a parole od anche fisicamente senza un apparente motivo. E’ una gran fortuna che siano cosi miseri e incoscienti da non aver modo di pensare alle vendette ogn’ or del giorno, perchè se questo corpo sociale volesse ogni volta proteggere e vendicare ciascuno dei suoi membri, Napoli sarebbe tutta un grande scannatoio più di quel che già pare, a giudicar dalla superbia e dal disprezzo che mostrano le classi agiate con gran cinismo. Dal momento che non saprebbero nè potrebbero vivere da nessun altra parte come in questa città, non sapendo fare nulla di utile, fuggono tutte le occasioni per allontanarsene perchè altrove non saprebbero far altro e morirebbero di fame e di stenti.»
    Johann Georg Keyssler [1693 – 1743]
    Archeologo e maestro di lettere in Germania, scrittore di viaggi.
    A Napoli nel 1730
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    Elisabetta Gonzaga su Napoli
    Che popolo !
    “Che popolo ! E son questi i discendenti dei Greci ? Piuttosto son prova eccellente che tutto degenera, sopratutto l’uomo. Quella loro felice organizzazione di società, quei sensi perfetti, cosi fini, cosi delicati, cosi adatti a cogliere, ad abbellire la natura, son allora divenuti cosi ottusi, laidi e grossolani ?
    Le belle arti non nascono più qui; un popolo cosi degenerato, cosi degradato non può avere idee del vero bello; una indole cosi ferina non potrà servir da modello. A Roma ho visto le meraviglie dell’arte, qui riesco solo a scorgere i prodigi della natura. Essa è la sola ad agire, l’uomo cade qui in inerzia ed abominio. La sua società lo getta in una tale indolenza che forse non uscirà mai dall’apatia in cui sarà sprofondato da tempi immemorabili.
    L’orgoglio che gli ispira il suo cielo, il suo clima, la sua buona tavola, il suo paese, da lui creduto il più bello e il migliore dell’universo, e la lussuria del vivere indolente che l’ha sorpreso prima della civilizzazione, l’abbagliano e gli impediscono di scorgere le tenebre della sua ignoranza, della sua selvatichezza.
    Si può dire che qui l’uomo è allo stesso tempo vicinissimo e lontanissimo alla natura: barbaro e depravato. Specialmente il popolo, la natura lo ha modellato come un camaleonte: da una vivacità convulsa passa subitaneamente all’abbattimento dell’istupidimento. Esso è di volta in volta vile e temerario, semplice e furbo, superstizioso ed empio, venale, scaltro e in un certo senso indifferente a tutto. Ruba e truffa per aver di che vivere e abbandonarsi cosi a quel far niente che è la sua suprema voluttà. Sembra trovar la felicità solo nella sua inesistenza. Quanto sarebbe necessaria l’arte dell’educazione per questa gente: se si trascura il corpo esso si degrada di meno di quello che accade se si abbandona la coltura dello spirito per un sol istante. La minima negligenza gli diviene funesta. E lo vediamo in queste genti !
    Napoli è bellissima, e molto interessante per le meravilgie della natura; ma l’uomo non ne è il suo capolavoro. E’ un bel teatro, ma gli attori son maschere mostruose.
    Qui gli abitanti stanno a testimoniare senza possibilità di smentita che il quadro più desolante, più umiliante della società è quello di una città che è allo stesso tempo nell’infanzia per la barbarie e nella vecchiaia per la corruzione; una città in cui è impossibile trovar i vantaggi della civilizzazione, allo stesso modo in cui è cancellata l’innocenza della natura . ”
    Elisabetta Gonzaga
    A Napoli nel 1790
    da: Lettres sur l’Italie, la France et L’Allemagne pour les beaux arts, Hambourg 1797
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    Benedetto Nardini su Napoli
    «Non è tanto il fatto che a Napoli si mangi, si beva, si cucini, si dorma, si conducano le vacche, si dia da mangiare ai vitelli, si lascino branchi di fetidi maiali correre per ogni dove, ci si dedichi ad ogni sorta di loschi mestieri, si scrivano lettere e suppliche, ci si spidocchi e via di sèguito su pubblica via, ma quanto il soddisfare tutti i proprii bisogni corporali; è questa lurida costumanza che fa di tal enorme città una immensa cloaca e riesce insopportabile alla vista e all’odorato di uno straniero. Come viene giustificata quest’usanza disgustosa? Ci sono decine di migliaia di lazzaroni che abitano e dormono per le strade; occorre quindi che essi soddisfino ivi tutte le loro necessità. Inoltre vi è un’infinità di gente della campagna che porta quotidianamente i prodotti delle sue terre in questa grande città e anche essa non ha altro ricetto se non le vie e le piazze; si afferma che persino il proprietario di una casa in cui vi sia un androne non possa impedire che vi si entri per farci i proprii bisogni.Se ciò è vero, io non vorrei mai vivere a Napoli, e tanto meno averci casa. Molti abitanti di alto lignaggio cercano di preservare le loro dimore da simili decorazioni con un’espediente buffo: dal momento che la superstizione è una malattia nella mente dell’intera nazione, vale sicuramente sfruttarne gli effetti. Nei luoghi che sarebbero più adatti a lasciarvi le proprie lordure si appendono al muro delle croci. I Napoletani provano tanta venerazione per queste croci che è molto raro che osino depositarvi in prossimità i loro escrementi.E se non basta, si cerca talvolta di commuovere ancora di più gli spiriti, altrimenti del tutto insensibili ad ogni igiene e nettezza del luogo che abitano, ponendo in mezzo a due croci raffigurazioni delle fiamme del Purgatorio con l’immagine di un’anima che leva le mani al cielo supplichevole.Una tale raffigurazione è di solito efficace, ma non sempre, dal momento che ho visto parecchi uomini darsi tutta la pena del mondo per spegnere quelle fiamme con la loro urina..Si crederebbe possibile che sulla piazza del Castello Angioino, di fronte al palazzo reale, e proprio di fronte alla chiesa di San Luigi, si trovi uno dei letamai a cielo aperto più estesi di Napoli ?Il re, i cui appartamenti dànno su questo lato, non può venir al balcone senza portar involontariamente lo sguardo su queste lordure, e i fedeli non posson entrar in chiesa senza insozzarsi le scarpe e dunque i pavimenti del sacro edificio .Per non parlar dei nasi ! Per quanto grandi siano solitamente quelli dei Napoletani, essi paiono tuttavia non posseder l’olfatto, dal momento che non sembrano neppur rendersi conto di quanto puzzi la loro città.Forse è l’ecessiva sensibilità del loro udito a far gli trascurar l’odorato. Quando parlano urlano che par vogliano venir alle mani da un momento all’altro o paion dei dannati. Essi sembrano quanto mai indifferenti ad ogni forma di decoro, eccetto che nella stanza in cui vivono.I vestiboli, le scale, le anticamere; a tal riguardo un palazzo di un ministro non è affatto diverso dalla misera casa di un bottegaio – lo putecaro, come dicono qui–Io non riesco a capire come mai gli Inglesi, che amano tanto la pulizia dei pubblici luoghi, vengano cosi volentieri e in sì gran numero in questo paese.Le strade hanno comunque un vantaggio sulle case per il fatto che vengon pulite, non per iniziativa dell’amministrazione – poichè nessuno ci pensa-, ma perchè c’è una quantità di gente che raccoglie gli escrementi animali ed umani per venderli come concime. Questo è un mestiere spicciolo e di facile guadagno per la plebe, molto ricercato dai lazzaroni.Si può immaginare quanto sia appetitoso vedere uno di questi uomini che, fatta la propria cesta quasi piena, comprime con le mani queste porcherie, senza minimamente preoccuparsi del tipo di materiale che maneggia, cosi da farcene entrar ancora di più.
    Benedetto Nardini. Storico.
    Da : Mes périls pendant la révolution de Naples. Récit de toutes les horreurs commises dans cette ville par les lazzaronis – temoin oculaire des événéments qui ont précedé ou suivi l’entrée des Français dans cette ville après de la révolution. A Napoli nel 1799.
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    Marchese De Sade su Napoli
    La scuola di rapina
    “Il carnevale che passai a Napoli non fu certo brillante, affatto diverso dal veneziano, direi inquietante.
    Vidi tuttavia abbastanza per giudicar i piaceri del popolo, ed il popolo dai suoi piaceri. Il tutto si aprì con una cosiddetta cuccagna, il più barbaro spettacolo di questo mondo.
    Su un grande palco, ornato con rustiche decorazioni, davanti al castello angioino o al magnifico palazzo reale, si poneva enorme quantità di viveri, disposti in modo da formar essi stessi una bizzarra decorazione. Vi sono, barbaramente crocifissi, oche, polli, tacchini, maiali, che, infissi ancora vivi a due o tre chiodi e dunque sanguinanti, divertono il popolo coi loro movimenti convulsi fino al momento in cui sarà loro concesso di andarli ad arraffare.
    Pagnotte, baccalà, quarti di bue, montoni che pascolano in una parte della scena, rappresentante un campo agreste custodito da eleganti uomini di cartone, pezze di tela a formar le onde del mare, sul quale si vede un vascello carico di vettovaglie o di mobili, molto desiderati, secondo gli usi locali.
    Cosi è dunque disposta l’esca apprestata, talora con certo buon gusto, per questo popolo selvaggio, per eccitarne o meglio perpetuarne la voracità e l’amore per il furto.
    Poichè, dopo aver visto questo spettacolo sarebbe difficile non convenire che si tratti più di una scuola di rapina che di una vera festa. Alla vigilia, il palco, ormai già pronto, guardato da un picchetto di soldati, vien mostrato al pubblico, e tutta la città corre a guardare. Spesso la tentazione diventa cosi forte che il popolo forza la guardia e saccheggia la cuccagna prima del giorno destinato ad esser per loro stessi sacrificata. Se attende, l’indomani , due ora prima del mezzodì, che normalmente è il momento indicato per il saccheggio, la piazza si riempie di una trentina di picchetti di granatieri e di qualche distaccamento della cavalleria, per metter ordine fra la plebaglia a cui sta per esser offerta dal re la più terribile lezione di disordine. A mezzogiorno preciso tutto il popolo è in piazza, tutta la città alle finestre – giacchè di queste cose pare si riempiano qui giornate – e sovente il re stesso sta sul balcone del palazzo a godersi lo spettacolo; ecco il cannone. A questo segnale si apre il cordone dei militari; il popolo famelico si precipita e in un batter d’occhio: ogni cosa è arraffata, saccheggiata, con una frenesia impossibile da descrivere. Questa scena terrificante, che mi diede, la prima volta che la vidi, l’idea di una muta di cani aizzati alla corsa su prede, termina spesso tragicamente. Due di quegli esseri ferini lanciatisi su uno stesso quarto di bue o su un oca mezza morta non si sopportano impunemente; bisogna che se ne decida della vita dell’uno o dell’altro. Io fui testimone di un orrore che mi fece rizzar i capelli. Due uomini si attaccarono per un quarto di bue – che pure è immangiabile per un solo uomo ! – Subito salta fuori il coltello. A Napoli è l’unica risposta che si conosca ad un diverbio. Uno dei due stramazza nel suo stesso sangue. Ma il vincitore non gode a lungo della sua vittoria. I pioli sui quali si arrampica per andar ad afferrar il frutto del suo onesto delitto gli mancano sotto i piedi. Coperto per metà dal bue cascatogli addosso, cade schiacciato egli stesso sul cadavere del rivale. Feriti, morti e animali sanguinanti, diventa un tutt’ uno. Non si vede più che un ammasso, quando nuovi concorrenti, approfittando della disgrazia dei due miserabili, sbrogliano il lacerto di carne dai cadaveri sotto i quali è sepolto, e l’arraffano in trionfo ancora gocciolante del sangue dei loro rivali.
    Il numero degli assalitori è di solito non meno di 5-7.000 lazzaroni; è cosi che a Napoli chiamano la parte più infima di questo popolo già nel complesso pauroso.
    Otto minuti sono sufficienti per distruggere l’enorme impalcatura, tale è la furia; non meno di 20 morti e decine di feriti gravi che spesso non sopravvivono, è di norma il numero degli eroi che la Vittoria lascia sul sordido campo di battaglia.
    Ho trovato un solo particolare che stona col sublime orrore di questo regale spettacolo: non lasciano i morti e i feriti alla vista di tutti, distesi sui resti delle decorazioni.
    Questo accorgimento, oserei dire, sarebbe magniloquente e sarebbe troppo segno del genio di questa nazione.
    Normalmente, durante il carnevale si dànno quattro o cinque cuccagne di questo genere; dipende dalla durata del Carnevale prima che sia Quaresima. E’ comunque uno spettacolo che si rinnova nei grandi avvenimenti. Ad esempio, un parto della regina, occasione eccellente in cui tutti i Napoletani non mancano di saccheggiare, distruggere e uccidersi per esprimere la propria gioia.
    Queste feste son date dal re, ma è il popolo stesso che le paga, ed i macellai che forniscono le proprie derrate posson cosi imporre il prezzo che vogliono, speculando vergognosamente, senza che la polizia intervenga a reprimere le loro vessazioni. Il popolo affamato compera e il re fa decorare per loro; ecco spiegato anche perchè tali mostri siano cosi tenaci nel riconquistare le prede che hanno pure pagato.
    Se è lecito giudicare una nazione dai suoi gusti, dalle feste,dai divertimenti, che opinione si deve avere di un popolo in cui son necessarie tali infamie ?
    Si afferma a Napoli che il re, il quale naturalmente teme questo suo popolaccio feroce, ben sapendo che la sua bilancia non è in equilibrio tra l’indole rivoltosa e omicida dei sudditi e la debolezza del suo governo [ nota: qui il De Sade si riferisce a Ferdinando IV di Borbone, 1751-1825, detto il ‘re lazzarone’, figlio di Carlo III, fondatore della dinastia e considerato il migliore dei re di Napoli – ndr ], si ritiene obbligato a dare queste feste. Gli hanno fatto credere che avverrebbe una rivoluzione se abolisse le cuccagne, ed egli la teme. Il suo potere, la sua forza ed il suo spirito sono tali ,che se gli andassero a dire che il popolo vuol saccheggiare la sua reggia, si ritirerebbe per lasciarlo fare.
    Donatien Alphonse François, Marchese De Sade[1740-1814]
    A Napoli nel 1776
    da: Voyage en Italie

    • Il pugliese Giuseppe Massari ,subito dopo il suo rientro a Napoli, dopo un decennio passato in esilio in Piemonte, comunica queste impressioni a Cavour in una lettera del 21 ottobre 1860:« Mi trovo in un mondo affatto nuovo per me, e voglio dirle le mie impressioni. Napoli porge lo spettacolo più bizzarro e più singolare che possa immaginarsi: quello di una anarchia pittoresca ad un tempo e grottesca: un chiasso dell’altro mondo, un va e vieni continuo di gente, un gridare che stordirebbe anche il Senatore Plana e un sudiciume da digradarne Costantinopoli. Io ho sempre amato ed apprezzato il Piemonte, ma dopo questi tre giorni in Napoli lo adoro. Il contrapposto è indescrivibile.»
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      Scrivendo a Donna Ghita Collegno il 23 agosto 1860, Massari ,pugliese,sfoga la sua frustrazione contro i napoletani così:”Oh! Quella Napoli come è funesta all’Italia! paese corrotto, vile, sprovvisto di quella virtù ferma che contrassegna il Piemonte, di quel senno invitto che distingue l’Italia centrale e Toscana in ispecie. Creda a me; Napoli è peggio di Milano.”
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      Nel seguente brano di un memorandum sulle condizioni dell’Italia meridionale scritto da Lady Holland a Cavour da Napoli nel tardo ottobre, l’enfasi sullo stato di indecenza e sulla mancanza di strutture civili nel Sud va di pari passo con l’idea che i piemontesi dovranno costruire una civiltà partendo da zero:
      « È poi rimarchevole che in questo Regno delle Due Sicilie il nuovo governo troverà che tutto è da fare […]. Tutte le città di Napoli e Sicilia sono in uno stato di indecenza, quasi inferiori a quello delle antiche tribù dell’Africa. Le prigioni ed i luoghi penali sono locali dove appena si possono tenere le belve. Non vi sono fontane pubbliche, non orologi, e tutt’altro che a civili contrade si conviene.»
      ————————————————–
      Denis Mack Smith:

      « La differenza fra Nord e Sud era radicale. Per molti anni dopo il 1860 un contadino della Calabria aveva ben poco in comune con un contadino piemontese, mentre Torino era infinitamente più simile a Parigi e Londra, che a Napoli e Palermo; e ciò in quanto queste due metà del paese si trovavano a due livelli diversi di civiltà.
      I poeti potevano pure scrivere del Sud come del giardino del mondo, la terra di Sibari e di Capri, ma di fatto la maggior parte dei meridionali vivevano nello squallore, perseguitati dalla siccità, dalla malaria e dai terremoti. I Borboni, che avevano governato Napoli e la Sicilia prima del 1860, erano stati tenaci sostenitori di un sistema feudale colorito superficialmente dallo sfarzo di una società cortigiana e corrotta. Avevano terrore della diffusione delle idee ed avevano cercato di mantenere i loro sudditi al di fuori delle rivoluzioni agricola e industriale dell’Europa settentrionale. Le strade erano poche o non esistevano addirittura ed era necessario il passaporto anche per viaggi entro i confini dello Stato. In quell'”annus mirabilia” che fu il 1860 queste regioni arretrate furono conquistate da Garibaldi e annesse mediante plebiscito al Nord. »
      ——————————————
      Si comincio’ anche a temere che il sud potesse contagiare il nord,come se fosse portatore di una malattia infettiva.Pasquale Villari,meridionale,storico e senatore del Regno,scrisse nel 1875:”Oggi il contadino che va a morire nell’agro romano,o che soffre la fame nel suo paese,e il povero che vegeta nei tuguri di Napoli,possono dire a noi e a voi:Dopo l’unità e la libertà d’Italia non avete più scampo;o voi riuscite a rendere noi civili,o noi riusciremo a render barbari voi.”
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      Jean Jacques Bouchard, letterato francese, a Napoli dal gennaio
      ad agosto del 1632, dal suo diario ‘Voyage dans le Royaume de Naples’.
      Alle vigilie di festa fanno cosa selvaggia: i ragazzi accendono ad una cert’ora della notte grandi fuochi in riva al mare e bruciano quel che capita, immondizie abbandonate o le procurano essi stessi e fanno
      grosse pire e si mettono nudi a danzare tutt’attorno.A quest’abitudine se ne puo’ aggiunger di raccontar un’altra: ad una cert’ora tutte le donne escono dalle loro case e vanno a vuotare i càntari, come si chiamano a Napoli, a Roma pitali, e in italiano vasi da notte, e sembra che vadano a celebrare qualche gran mistero,
      portando solennemente il loro vaso pieno di escrementi sotto il braccio. In tutto questo borgo i popolani non si servono per niente di cessi, e pretendono che il loro modo di fare sia più appropriato e meno scomodo delle latrine, che dicono appuzzolentire e rovinare le case; e vogliono che questi vasi si vuotino regolarmente tutte le sere, cose che – essendo la popolazione di tale città enorme e più numerosa di tutt’Europa – rende l’aria talmente fetida che ad una cert’ora della notte passeggiare per Chiaja è davvero disgustante. Ma nessuna autorità vi porrà mai rimedio. Il mattino nulla resta di questo sterco, i pesci lo divorano tutto, ed è perciò che qui sono più grassi e ce ne son tanti. Quando son arrivati al punto che la loro pala può esser tutta coperta d’acqua ad un piede circa, inoltrandosi nel mare, la conficcano il più saldamente possibile nella sabbia.
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      Il brigante Mammone, nominato sul campo “generale” dell’esercito “sanfedista” da Sua Eminenza il cardinale Fabrizio Ruffo di Calabria, elogiato personalmente dal “re lazzarone”, era notoriamente un cannibale. Una fonte fra le molte disponibili: ”Mammone Gaetano, prima molinaio, indi generale in capo dell’insorgenza di Sora, è un mostro orribile, di cui difficilmente si trova l’eguale. In due mesi di comando, in poca estensione di paese, ha fatto fucilar trecentocinquanta infelici;…Non si parla de’ saccheggi, delle violenze, degl’incendi;…non de’ nuovi generi di morte dalla sua crudeltà inventati… Il suo desiderio di sangue umano era tale, che si beveva tutto quello che usciva dagl’infelici che faceva scannare. Chi scrive (Cuoco, ndr) lo ha veduto egli stesso beversi il sangue suo dopo essersi salassato, e cercar con avidità quello degli altri salassati che erano con lui. Pranzava avendo a tavola qualche testa ancora grondante sangue; beveva in un cranio…”. (Vincenzo Cuoco, “Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli”, Bur 1999, cpt XLIV, pag.265, nota 4).
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      Noi che pur siamo amanti e ricercatori del pittoresco, non dobbiamo fingere di ignorare la depravazione, la degradazione e la miseria a cui è irrimediabilmente legata l’allegra vita di Napoli! (Charles Dickens)
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      I lazzaroni soltanto non avevano mai sentito parlare di diritti popolari, eccetto contro la santa inquisizione, che neppure Filippo II era riuscito a introdurre in Napoli. Il clima toglie ad essi di provare molti bisogni, e dà i mezzi di soddisfarli con poca fatica. L’ozio li mantiene nella superstizione e nel vizio, inducendoli a gettarsi disperatamente nelle insurrezioni ed a ritrarsene con altrettanta rapidità per amor d’inazione. Essi erano felicissimi sotto un governo assoluto, che dovunque è più incline a punire le pubbliche virtù dei sudditi più eminenti ,che i delitti dei più umili. (Ugo Foscolo)
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      L’aria di Napoli mi è di qualche utilità; ma nelle altre cose questo soggiorno non mi conviene molto….
      Spero che partiremo di qua in breve, il mio amico ed io. Non so ancora per qual luogo.
      […]Risolvendosi, come pare, il mio amico Ranieri a partire per Roma nel mese entrante, io sono risolutissimo di mettermi in viaggio malgrado il freddo; perchè oltre l’impazienza di rivederla, non posso più sopportare questo paese semibarbaro e semiaffricano, nel quale io vivo in un perfettissimo isolamento da tutti…. La mia salute, grazie a Dio, molto tollerabile, e perfino io leggo un pochino e scrivo, attesa, credo, la benignità non ordinaria della stagione passata e presente.(Giacomo Leopardi)
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      In tutta la sua gigantesca produzione saggistica, il Salvemini non espresse mai alcun rimpianto del reame borbonico, anzi espresse giudizi perentori su di esso, con la durezza descrittiva che lo contraddistingueva. Questo meridionalista così presentava, ad esempio, le condizioni del Mezzogiorno borbonico per ciò che riguardava una infrastruttura apparentemente “minore” e molto trascurata dagli studi storici, quali i cimiteri:
      «Nella città di Napoli […] il cimitero destinato alle classi povere consisteva in tanti carnai quanti erano i giorni dell’anno. I cadaveri, in media 200 al giorno, erano portati al cimitero in carri municipali, come spazzatura, e buttati alla rinfusa nel carnaio della giornata, che era chiuso per essere riaperto e riempito l’anno dopo. Nella provincia di Potenza i cimiteri erano sconosciuti. I benestanti avevano le tombe di famiglie nelle chiese […] I poveri erano portati a seppellire e […] buttati giù a imputridire alla rinfusa nel carnaio comune […] Vi erano luoghi in cui i poveri erano buttati in voragini il cui fondo era sconosciuto, oppure erano abbandonati senz’altro fra le erbacce dei così detti cimiteri; i cani vi si raccoglievano per far festino»
      (Cfr. Gaetano Salvemini, “Scritti sul Risorgimento”, a cura di Piero Pieri e Carlo Pischedda. Feltrinelli editore, Milano 1961; compare nel tomo secondo di Opera omnia di Salvemini, “Scritti di storia moderna e contemporanea”; citazione a p. 469).

  3. Mettiamo sia tutto vero: perche’ non secedono ..?
    Anzi. Li vedo tanto attaccati al trikolore…
    .
    Mi sa che la sanno vendere… come loro solito.
    .
    Viva Sam Marco
    .
    …avanti un altro…

    • Concordo WSM. Non secedono perchè sono schiavizzati dal welfare. Non lavora nessuno. Le attività industriali sono state soppresse, i posti statali hanno attirato di generazione in generazione le persone, distruggendo l’artigianato, l’accumulo di capitale, l’ingegno, la voglia di fare. tutto distrutto.

  4. Quanto scritto non è una opinione. E’ uno slogan studiato con astuzia terronica per tentare di far passare una giustificazione storica.
    Domanda di un “non piemontese” : mafia , camorra e company l’hanno portata i piemontesi , esportandola anche in USA ?
    E quello che avviene in molti quartieri di Napoli, in Campania , ecc, ecc è pure fatto dai “piemontesi” ai quali, fresco, fresco hanno aggregato anche i toscani ?

    • il divario? si spiega che il Sud è stato da subito fiaccato avendolo prima decapitato, perché si dà il caso che il Sud inteso come popoli del sud erano attaccati alla dinastia dei Borbone, mentre non lo era la nobiltà antica che non si era per niente evoluta e si serviva dei fedeli capibastone per dominare nelle immense loro proprietà…i quali passarono subito dalla parte dei nuovi arrivati, per trarne benefici e da subito occuparono i posti di potere offerti perché appunto ostili ai Borbone… dinastia questa dotata di saggezza che riuscì a fare del Sud una delle zone più progredite rispetto all’epoca, valorizzando le risorse minerarie, navali, imprenditoriali e culturali di cui era immensamente ricco… sennò né gli Inglese amici del Cavour, né i Savoia avrebbero avuto l’interesse ad impossessarsene… ovviamente così lo fiaccarono, lo depauperarono, lo stravolsero imponendo la loro amministrazione burocratica avulsa dal contesto e da subito ostile… è stata la tragedia dell’unità, a pensarci bene centocinquant’anni prima che si ripetesse in chiave macro nell’Europa unita…
      Ogni popolo privato della sua identità non può che essere parte di una massa informe dove non ha più sede il valore della democrazia che sparisce nel marasma prodotto dal un potere centralizzato che risponde solo ad interessi bancari, massonici, di potere fine a se stesso…..
      Se i popoli non ritrovano e recuperano i propri valori radicati nella loro storia che ne ha forgiato la loro identità non ha più senso parlare di progresso, perché non si capisce che più che cos’è…. e poi a beneficio di chi? non certo delle persone, unità indistinte che formano masse, in balia di chi gioca i loro destini.
      Sud e nord vivono la stessa sorte senza distinzioni, e si arrabattono per sopravvivere tutti spostandosi dove sperano di avere miglio destino, in realtà perdendo sempre più i valori dalla terra che devono lasciare…

      • Allora, che dire dei serenissimi veneti..??
        Qua non si era tra i grandi del mondo..??
        Non ci hanno RUBATO TUTTO..?
        Noi siamo partiti e progrediti (forse) ma loro
        non sono mai partiti.
        Diciamo che ci sono due razze o indole..?
        Solo il meridione ha subito il saccheggio…
        e guarda caso fatto dai settentrionali:
        mi suona molto stonato sto strumento..!
        TUTTO HANNO DEVASTATO e continuano a farlo.
        Pero’ adesso: basta chiagnere.
        WSM

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