La capacità dei partiti indipendentisti catalani di superare per la prima volta la soglia del 50 per cento e il peso della candidatura per il Partito socialista inattesa del ministro della Salute, Salvador Illa: sono questi alcuni dei temi centrali della campagna elettorale per le elezioni nella Generalitat della Catalogna che si terranno il 14 febbraio.
La candidatura di Illa è certamente il tema più dibattuto negli ultimi giorni, soprattutto perché ci si chiede se sarà in grado di “spaccare” il fronte indipendentista per costruire un possibile governo regionale che veda proprio nei socialisti quel “ponte” di dialogo che il primo ministro, Pedro Sanchez, cerca di costruire da mesi. Sinora questa manovra si è concretizzata nel sostegno che Sinistra repubblicana di Catalogna ha dato all’adozione della legge di bilancio. I temi, tuttavia, non mancano neanche sul fronte di centrodestra, dove Ciudadanos e il Partito popolare (Pp) stringeranno un’alleanza per contrastare gli indipendentisti e il “sanchismo” o continueranno a presentarsi agli elettori con progetti politici distinti.
Quelle in Catalogna sono consultazioni che storicamente in Spagna non si sono mai limitate al mero ambito locale ma hanno provocato importanti ripercussioni per l’agenda del governo centrale di Madrid. Questa tendenza, tuttavia, è ancora più visibile dopo il referendum del primo ottobre 2017, giudicato illegale dalle autorità spagnole e che negli ultimi tre anni ha, di fatto, acuito le tensioni tra i partiti e movimenti indipendentisti che reclamano la “libertà” per i detenuti vittime dello “Stato repressivo”.
Il premier Sanchez è stato accusato in numerose occasioni dai partiti di opposizione, in particolare il Pp e Vox, di aver ceduto alle pressioni degli indipendentisti catalani e baschi per liberare i prigionieri nel primo caso e di offrire migliori condizioni carcerarie con un riavvicinamento dei prigionieri dell’organizzazione terroristica Eta alle famiglie nel secondo, pur di giungere ad un accordo sulla legge di bilancio. Ma decisione a sorpresa, proprio da parte del premier, di puntare sul ministro della Salute, Salvador Illva, invece che sul segretario del Partito socialista catalano (Psc), Miquel Iceta, sembra essere stata dettata dalla ferma volontà di Sanchez di cercare di ribaltare i sondaggi ed evitare che gli indipendentisti continuino a monopolizzare la Generalitat, mettendo in dubbio il fatto che non c’è alternativa a breve termine ad un governo di tipo indipendentista con Erc, Junts per Catalunya e l’appoggio del movimento anti-sistema Candidatura di Unità popolare (Cup).
Erc, il partito favorito in tutti i sondaggi, vede nella nomina di Illa un nuovo pericolo per la vittoria di Pere Aragones, che nelle ultime settimane ha subito, in qualità di presidente ad interim della Catalogna, il logorio insito nella gestione della seconda ondata della pandemia, oltre ad essere diventato oggetto di critiche da parte dei suoi finora partner di Junts per Catalunya nelle ultime due legislature. Se, dunque, quando le urne saranno chiuse non sarà possibile costituire un governo chiaramente a favore dell’indipendenza, il Psc potrebbe facilitare un accordo con Erc per mettere all’angolo o, quantomeno mitigare, il peso dei “duri e puri” di Uniti per la Catalogna dell’ex presidente in esilio della Generalitat, Carles Puigdemont.
D’altronde un eventuale accordo tra Psc e Erc in Catalogna potrebbe rendere più agevole continuare il complicato dialogo avviato al Congresso dei deputati e favorire quella riforma del codice penale, ed in particolare il reato di sedizione, già annunciato dal governo di Madrid tra le critiche delle forze di opposizione, per aprire una nuova pagina nella “questione Catalana” dopo l’escalation di tensione degli ultimi anni. Secondo il quotidiano “El Periodico”, Salvador Illa e Pere Aragones sono i candidati con reali possibilità di diventare presidenti della Generalitat. “I loro profili non sono lontani: concreti, pacifisti e con lo sguardo rivolto al futuro. I loro elettori sono diversi. Questo fatto permette loro di mantenere la loro disponibilità al dialogo, di segnare educatamente i loro avversari e, allo stesso tempo, di sedurre un gran numero di elettori”.
Sul fronte centrodestra resta ancora, invece, irrisolto il dilemma per Ciudadanos che alle ultime elezioni risultò il partito più votato (25,3 per cento). Il partito di centrodestra dovrà valutare se correre in autonomia, un’opzione rischiosa, o unire le forze con il Pp in quella che molti chiamano una “coalizione anti-Pedro Sanchez”. Tutti gli ultimi sondaggi danno in forte calo Ciudadanos, guidato da Ines Arrimadas, e la leadership del partito si trova, pertanto, di fronte a un difficile dilemma.
Il passaggio di Lorena Roldan, sino alla scorsa estate candidata di Ciudadanos alla Generalitat, nei ranghi del Pp catalano è stata una doccia fredda che ha inevitabilmente riacceso il dibattito interno. La stessa Roldan ha affermato in un’intervista a “El Periodico de Catalunya” che “non sarà l’unica a compiere questo passo”, giustificando la sua decisione con la necessità di “combattere sia l’indipendenza” che il “sanchismo”. Tuttavia, l’idea di formare un fronte contro Pedro Sanchez comincia a essere discussa privatamente negli ambienti di centrodestra e s si starebbe rafforzando.
Il nodo fondamentale attorno al quale si giocherà la campagna elettorale catalana sarà l’indipendenza e le modalità attraverso le quali giungere al possibile riconoscimento di questa rivendicazione da parte dello Stato spagnolo. In questo contesto, i principali partiti in corsa assumono differenti posizioni. Il quotidiano “El Pais”, ha chiesto ai candidati delle formazioni con maggiori possibilità di ottenere una rappresentanza parlamentare cosa propongono per risolvere la situazione catalana. Uniti per la Catalogna è l’unico che continua a difendere apertamente il cammino unilaterale verso la secessione. Così, il partito di Carles Puigdemont propone di “attivare la dichiarazione di indipendenza del 2017 con l’obiettivo di rendere effettiva la costituzione della Catalogna come Stato indipendente sotto forma di repubblica”, ha dichiarato la candidata alla presidenza, Laura Borras (dato che il candidato ufficiale Oriol Junqueras è attualmente detenuto nell’ambito del processo illegale del 2017 e quindi inabilitato, almeno nel breve termine, a ricoprire un eventuale incarico di governo). Candidatura di Unità popolare condivide questo percorso, ma non esclude la possibilità di costringere lo Stato ad accettare un referendum concordato sull’indipendenza prima del 2025. Un approccio accettato anche da Erc che sembra voler abbandonare lo scontro frontale con il governo di Madrid. “Siamo indipendentisti e non abbiamo bisogno di portare una bandiera in mano per vedere che lo siamo”, ha assicurato, Pere Aragones. La sua proposta è “l’ampia strada per l’indipendenza per superare il 50 per cento dei voti” e quindi “per porre fine alla repressione e costringere lo Stato ad accettare il diritto all’autodeterminazione e all’amnistia come unica strada possibile per i prigionieri e gli esiliati”.
Su questo delicato fronte, a differenza di Uniti per la Catalogna, la parola “dialogo” è citata sempre più spesso come strumento per trasformare una rivendicazione in un diritto riconosciuto. Per il Partito socialista è necessario, invece, “costruire ponti”. Nell’ufficializzare la sua candidatura alla Generalitat per il Psc, il ministro Illa ha evidenziato che il suo progetto “è l’unico che può prosperare” per superare “la deriva di indipendenza che ha diviso la società senza ottenere alcun progresso o cristallizzarsi in maggiori poteri, investimenti, progetti o spinta per la Catalogna”.
Di fronte all’indipendenza dunque, Illa propone “l’approfondimento dell’autogoverno e delle relazioni tra le istituzioni spagnole”. Per Ciudadanos (vincitore delle ultime elezioni del 2017 con oltre il 25 per cento ma che i sondaggi danno in forte calo) l’importante è offrire alla società “sicurezza e stabilità politica” e a “porre fine alla divisione della società”. Per il Partito popolare, il secondo più importante partito a livello nazionale ma che in Catalogna nel 2017 ha raggiunto appena il 4,4 per cento dei consensi, l’obiettivo è ottenere per la prima volta “l’alternanza politica”: gli indipendentisti “sono sempre stati al comando” e il futuro della regione non può che passare “dalla concordia e il dialogo nel quadro della legge”, ha affermato il candidato alla presidenza del Pp, Alejandro Fernandez. Il partito di destra, Vox, invece, rivendica “la libertà di milioni di catalani oppressi dal separatismo e dall’offensiva ideologica della sinistra”, ha affermato il candidato alla presidenza Ignacio Garriga, aggiungendo che il separatismo “ha inventato una farsa propagandistica che non corrisponde né alla storia della regione né ai sentimenti dei catalani. Il suo unico obiettivo è sempre stato quello di dividerci e di porre fine alla diversità”. (Spm)
Buona la cronaca.
Per fare l’indipendenza bisogna essere pronti alle conseguenze che si corrono e che si fanno correre per essersi messi totalmente e definitivamente per traverso alla storia.
Questi vogliono farsi chiamare liberatori dei catalani per continuare a menar polenta altrimenti sarebbero imbarazzante maggioranza tra la gente e non solo di scrani.
Peccato! Da vicino non vedo nulla di buono. Dicono che sono presbite.