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15 maggio, i siciliani in piazza per rivendicare l’indipendenza

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bandiera_duosicilianadi REDAZIONE

Non so quale risonanza mediatica avrà l’evento del prossimo 15 maggio. Già immagino alcuni commenti snob che cercheranno di depotenziare quest’iniziativa. Ci sono dei precedenti, segnali deboli di una Sicilia che sta cambiando pelle, chiari per chi vuole coglierli, minimizzati da chi vuole minimizzarli. Vediamoli.

È dal 2009 che i Siciliani, dal basso, hanno cominciato a togliere il vessillo della propria identità ai “soliti partiti” che negli anni immediatamente precedenti avevano cercato di incanalare nella vecchia politica quel qualcosa di nuovo che confusamente iniziava a muoversi in Sicilia da una decina d’anni circa. Una marcia, ancora soltanto per lo Statuto, fu fatta alla fine del 2010, tra la censura generale dei media. Fu un successo. Più di 1000 persone arrivarono festose al Palazzo Reale di Palermo, sede del Parlamento dell’Isola, dove nessuno li ricevette, a portare una lettera a chi allora rappresentava le istituzioni, chiedendo rispetto per la Sicilia e per i suoi drammi.

Da allora sono seguite tante iniziative, una marcia a Catania, uno Statuto Fest memorabile nel 2011 al centro di Palermo, ma è dopo le elezioni del 2012 che la bandiera dell’Autonomismo, ormai logora, è stata di colpo ammainata da tutti i Sicilianisti, stanchi di uno Stato sempre più autoritario e arrogante dentro il quale per questa Sicilia pare non esserci proprio spazio. Da quel momento in poi lo Statuto è stato visto da questa “avanguardia” solo come una tappa verso l’indipendenza, forse neanche la più coraggiosa.

Da allora è come se qualcosa si fosse rotto in modo irreparabile tra la Sicilia e l’Italia. Con molto coraggio, senza alcuna organizzazione definita, senza nemmeno uno slogan chiaro che non fosse genericamente l’indipendenza della Sicilia, nella ricorrenza del Vespro del 2014, per la prima volta nella storia, una nuova marcia si è tenuta per le strade di Palermo, questa volta non più “autonomista”, ma apertamente “indipendentista”. Alcune centinaia di persone, ma con un messaggio completamente nuovo per la politica siciliana, tale forse da spaventare qualche benpensante che si attarda nei patti tra una Sicilia e un’Italia che non rispetterà mai questi patti. Una sfida vinta, naturalmente nella solita censura mediatica. Solo “Agorà” citò, fra i grandi media nazionali, l’evento.

Adesso il messaggio è ancora più mirato e chiaro, ma indica una persistenza che non potrà che sfociare in qualcosa di grande, di sempre più grande. Male fa l’élite al potere ad ignorarla. La marcia è un grido di protesta contro il macello economico e sociale cui l’Italia autoritaria di Renzi e la Sicilia servile di Rosario Crocetta ci condannano ogni giorno. In una Sicilia senza più lavoro e senza più speranza si lancia un grido di guerra, contro queste politiche devastanti e per l’autodeterminazione dell’Isola. Questa volta, pochi o tanti che saranno, non sarà facile censurarli. È il punto di partenza di una strada dalla quale non si torna.

Ma cosa vogliono questi nazionalisti? La loro è una battaglia di “partito” o è “di tutti”? Secondo me è di tutti. E ho fatto un sogno, forse oggi impossibile, ma che, giorno dopo giorno, potrebbe diventare realtà. E cioè che il ruscello diventi un torrente sempre più grande e impetuoso, fino a diventare grande come un mare, un onda che spezzi le catene della povertà, della mancanza di speranza, dell’umiliazione quotidiana.

Che succederebbe se tutti gli studenti, i giovani, spesso disoccupati della Sicilia si ribellassero a questa Italia che nega loro un futuro nella loro Terra e si unissero alla marcia? Che succederebbe se i produttori siciliani, agricoli, agroalimentari, della pesca, e vari, schiacciati dal brokeraggio continentale, dalle assurde normative europee e dalle politiche italiane che favoriscono sempre e prima e solo il Nord, dichiarassero guerra a questo Paese che ci occupa come una potenza straniera e si unissero alla marcia?

Ancora: che succederebbe se i dipendenti e i pensionati regionali, e con loro i forestali, i precari degli enti locali, gli addetti alla formazione professionale, e tutti le alte categorie defraudate direttamente dai furti dello Stato italiano, si svegliassero dal torpore corporativo e sindacale, capissero qual è il loro vero nemico e si unissero alla marcia? Che succederebbe se lo facessero anche i docenti della scuola e universitari per dire basta a riforme che non sono altro che tagli lineari, in cui le cattedre siciliane sono sempre in prima linea come carne da macello? Che succederebbe se lo facessero quegli stessi autotrasportatori che furono tacitati nel 2012 con la promessa di qualche sconticino sui carburanti e che oggi pagano il prezzo di una rete stradale indegna di un Paese civile?

Già, la viabilità siciliana. E alla marcia se partecipassero anche i pendolari

dell’autostrada Palermo-Catania e tutti gli altri pendolari, e tutti i cittadini stanchi, esausti dei servizi pubblici inesistenti, della immondizia putrescente, per dire “basta”, ma “veramente basta” con questi partiti? E se partecipassero avvocati, commercialisti, ingegneri e tanti, tanti altri consulenti d’impresa che, con queste politiche scellerate, fra poco, non avranno più alcun cliente? E se partecipassero le forze dell’ordine, penalizzate da uno Stato che smantella uffici giudiziari e commissariati lasciando la Sicilia in balìa della legge del più forte? E se fossero a sfilare, con i gonfaloni, i rappresentanti di quelle centinaia di Comuni, stritolati e umiliati, incapaci di dare risposte ai loro cittadini?

Siamo tutti sulla stessa barca. Un popolo oppresso e diviso. Insomma, lasciando fuori gli amici dei deputati, i centri di accoglienza finanziati dal ministero dell’Interno (e anche dalla Regione siciliana, con riferimento ai minori) che speculano sulla disgrazia degli immigrati, qualche professore universitario che ottiene incarichi prestigiosi e ben remunerati dal potere, qualche giornalista o scrittore o artista prezzolato, i delinquenti delle cosche che lo Stato forse fa soltanto finta di combattere, siamo il 95 % dei Siciliani e ci facciamo derubare di tutto, delle nostre risorse e del nostro futuro? Che cosa unirebbe questa grande folla, questo popolo? L’idea di saltare per sempre l’intermediazione dei partiti italiani. Pretendere, immediatamente, il rispetto dei diritti costituzionali della Sicilia, diritti che ci consacrano Stato confederato con l’Italia: una Sicilia che non paga più “pizzo” allo Stato, che può defiscalizzare il lavoro e il profitto, che sia in grado di dare servizi e sicurezza sociale. Ma poi partire da lì per condurre, per gradi, la nostra Terra alla piena libertà.

No, non si può stare a casa o nascondersi su internet. E non importa se a lanciare l’iniziativa sono persone non troppo conosciute. Anzi, meglio! Quelle conosciute le conosciamo anche troppo. No, non si può più riconoscere la legittimità dello Stato italiano a governarci, a creare il caos economico e sociale.  Dobbiamo fare sentire la nostra voce, favorire la nascita di un soggetto politico attivo autenticamente ed esclusivamente siciliano, riprenderci le nostre istituzioni, espugnare le cittadelle del potere e ridarle alla società. Riacquistare il nostro diritto di cittadinanza, il nostro secolare Parlamento. Stando a casa, non potremo farlo. Non è vero che manifestare non serve a niente. Chi manifesterà non ci perderà nulla, ma sarà contato e sarà temuto. Per ogni manifestante che scende in piazza ce ne possono essere altri 200, 300, 500 che condividono pienamente le idee, ma non hanno il tempo, il coraggio, la determinazione per gridarlo.

Se saranno 100, dico per assurdo, sarà lo stesso una vittoria, perché vorrà dire che c’è ancora qualche siciliano che pensa e che lotta, e chi comanda dovrà fare i conti con questa nuova, vera, opposizione. Se saranno 500 devono cominciare ad avere paura. Se saranno 1000 o più i loro giorni sono contati. Allora c’è una speranza. Se saranno ancora di più, allora sarà rivoluzione, quella vera, subito. L’Italia e l’Europa dovranno quanto meno scendere a patti. Non c’è da perdere altro tempo o spariremo come Popolo dalla storia universale.

Lo so, è difficile andare a Palermo con la rete stradale che abbiamo. Sarà più facile per i palermitani. Ma è importante fare sentire questa voce. Ci dobbiamo essere tutti, con bandiere siciliane di ogni tipo e foggia. In Scozia, in Catalogna, in Corsica, nel Galles, nel Paese Basco, dovunque si riscoprono le radici di un’identità negata da una massificazione globalista. E noi, senza perdere la nostra vocazione universale, perché non riscopriamo la nostra identità? Saremo più isolati come Stato sovrano o come reietta Regione pseudo-autonoma di questa repubblichetta?

Per questo approvo quest’iniziativa, ci sarò anch’io, con la Bandiera del Regno di Sicilia, a simboleggiare un passato che non passa, e dal quale dobbiamo riprendere il nostro cammino, dopo un secolo e mezzo da incubo che deve finalmente finire, per potere finalmente cominciare a costruire un futuro. Ma di questo magari parleremo un’altra volta.

DI MASSIMO COSTA – TRATTO DA LA VOCE DI NEW YORK

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1 COMMENT

  1. Questi fanno ancora più ridere di Busato e i suoi 2.3 MLN.

    Magari la Sicilia si staccasse dal resto. Sarebbe un utile precedente e un parziale ritorno di risorse finanziarie sottratte al residuo fiscale lombardo-veneto.

    Ma quale siciliano inteliggggente rinuncerebbe mai ad un sussidio pubblico (cioè, lombardo & veneto) pari a circa il 20% del PIL reggggionale? Ma va là va…

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