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Dopo 150 anni tornano gli indipendentisti in toscana

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Potrebbe passare inosservata, ma questa tornata di amministrative in Toscana contiene una sensazionale novità. Infatti, per la prima volta il nostro movimento denominato “Toscana Stato per l’Indipendenza della Toscana”, nato nel 2014, si presenta ad una tornata elettorale amministrativa, a Grosseto.

Anche se potrebbe risultare insignificante ai più la presentazione di una lista (che magari a prima vista potrebbe sembrare una delle tante) in una realtà di neanche 100.000 abitanti, è doveroso far notare che per la prima volta si presentano organizzati gli indipendentisti toscani. E questo dopo ben 150 anni. Infatti nel 1866 si concluse l’esperienza del movimento antiunitario toscano (capeggiato dal Granduca Ferdinando IV) e da allora la Toscana, pur avendo tutti i titoli per chiedere l’indipendenza, non ha mai avuto una forza organizzata indipendentista, pur piccola. Gli altri movimenti pseudo-identitari che esistono, o che sono esistiti, in Toscana, infatti, al massimo parlano, e con molta timidezza, di tenue autonomia o federalismo. E questo nonostante che la stragrande maggioranza dei toscani sia perfettamente conscia della precisa identità nazionale della Toscana, e di appartenere ad un’altra dimensione rispetto ai, cosiddetti, italiani.

Si badi bene: Toscana Stato non parla di federalismo, che si è ben visto è stato il fumo negli occhi gettato dal corrotto stato centrale romano per arginare le istanze centrifughe. Neanche parliamo di autonomismo, che sostanzialmente è un contentino. La nostra proposta politica è ben più forte, ossia vogliamo restituire l’indipendenza politica alla Toscana, i cui confini sono più o meno quelli della Regione Toscana (con qualche marginale rettifica). Non è un sogno impossibile : basti guardare cosa sta accadendo nella vicina Corsica, proprio davanti alle nostre coste, ove pochi mesi fa si è insediata una assemblea regionale ampiamente indipendentista. Pensiamo alla Catalogna, e alle oceaniche manifestazioni per l’indipendenza, oppure
alla Scozia (che solo nominalmente non è indipendente, ma nella pratica lo è già). Pensiamo alle decine di movimenti indipendentisti forti e radicati in tutta Europa, a volte anche in territori che, in un certo senso, avrebbero molti meno argomenti di noi per essere indipendenti.

Toscana Stato si basa su questa idea tanto semplice quanto rivoluzionaria. La rivendicazione politica poggia su precise motivazioni storiche. Parafrasando lo studioso Sergio Salvi, facciamo riferimento legalmente alle istituzioni che hanno creato la Nazione Toscana : la cechana etrusca, la regio augustea, la provincia dioclezianea, la pars longobarda, la marchia franca e, dopo un periodo di frantumazione politica durante la gloriosa epopea comunale, la ricostruzione dell’unità tramite il granducato, prima mediceo e poi lorenese. Nel 1859 questa storia millenaria e l’eccellente buongoverno dei Lorena (che portò all’attenzione di tutto il mondo il Granducato) venne interrotta con un colpo di Stato portato avanti da poche decine di latifondisti capeggiati da Bettino Ricasoli ed eterodiretti dalla monarchia sabauda. La stessa monarchia sabauda che eseguiva i progetti egemonici di Francia e soprattutto Inghilterra che volevano togliere i propri nemici dial Mediterraneo, in barba a tutta la prosopopea e retorica propinataci sul cosiddetto Risorgimento (chi sia risorto, e da cosa, rimarrà un mistero insondabile: l’Italia non esisteva prima del 1860).

Successivamente venne organizzato di fretta e furia un plebiscito farsa per dare una legittimazione al colpo di mano golpista. La consultazione fu palesemente irregolare, con le schede che arrivarono già votate dal Piemonte, e coloro che volevano votare NO erano costretti a stamparsi la scheda da se in tipografia e imbucarla in un’urna apposita. Se il popolo toscano avesse potuto decidere liberamente, mai e poi mai avrebbe rinunciato all’indipendenza, tantomeno perderla per essere annessa a uno Stato guerrafondaio, presuntuoso e ridicolo come l’Italia. Dopo il 1860 l’Italia ci ha trascinato in due guerre mondiali, in imprese coloniali, negli anni di piombo, in crisi finanziarie, in attentati mafiosi (pensiamo ai Georgofili), in ultimo ci ha impelagato in una gestione totalmente scellerata dell’imponente flusso immigratorio.

In oltre 150 anni di unità statale non ci sono pagine storiche di cui andare fieri, per nulla. In un secolo e mezzo abbiamo dovuto ingoiare troppi rospi, il tempo per noi è scaduto: l’Italia ne ha avuto fin troppo. Massimo D’Azeglio dichiarò in Parlamento, all’indomani dell’Unità, che “era stata fatta l’Italia ora bisogna fare gli italiani”. Progetto che è miseramente fallito perchè impossibile da conseguire, stanti le estreme differenze di carattere e di cultura delle varie popolazione all’interno dello Stato italiano. Anzi, spesse volte i toscani sono derisi all’estero in quanto sono visti come ‘italiani’, quindi accomunati agli aspetti più deteriori del Paese ma di cui la Toscana non ha nulla a che fare : oltre al danno pure la beffa. Pensiamo se la Toscana fosse indipendente e all’estero potessimo presentarci con tutto l’orgoglio e lo splendore della nostra storia.

Oggi la Toscana vive in contumacia nella regione omonima, in attesa di un suo più coerente riconoscimento come stato indipendente. I toscani sono un popolo ben definito, dotato di una propria lingua (che come sappiamo per via del suo prestigio ci è stata copiata, imbastardita e imposta a tutti gli altri), dalla storia incredibilmente illustre, capace di andare a testa alta in Europa e di non essere secondo a nessuno vista l’importanza ideologica della Toscana nella cultura occidentale. A fronte di questa fortissima e fondata rivendicazione identitaria, noi indipendentisti toscani denunciamo l’Italia come uno Stato marcio e corrotto, inefficiente, dominato in larga parte da consorterie e criminalità organizzata. Uno Stato che al di là della stucchevole retorica sul Belpaese è fanalino di coda in tutte le classifiche sulla corruzione e sulla qualità della vita, spesso “sgomitando” in tali elenchi in mezzo a Burkina Fasu e Nicaragua. L’Italia è di gran lunga il paese peggiore dell’occidente. Uno Stato che “drena” alla Toscana ben 8,3 miliardi di euro di residuo fiscale (fonte CGIA Mestre), ossia la differenza fra le tasse che versano i toscani e quelle effettivamente impiegate dallo Stato centrale sul territorio: una cresta insomma, e che cresta. Soldi nostri che vanno a finanziare sprechi e clientele dello stato centrale e chissà cos’altro.

onuQualcuno fa notare che una richiesta di indipendenza sia illegale perchè contraria alla Costituzione. In realtà l’Italia negli anni ’70 ha dovuto ratificare una risoluzione ONU circa l’autodeterminazione dei popoli e, come ha stabilito a più riprese la Cassazione, la ratifica dei trattati internazionali, legalmente, sono fonte giurisprudenziale superiore anche alla carta fondamentale. Altresì non si confonda il nostro indipendentismo con la Lega Nord, che pur avendo ai suoi albori piantato qualche raro seme positivo, a causa dell’ignoranza imbarazzante di Bossi e la sua successiva svendita al sistema romano, ha recato solo danni alle istanze indipendentiste di tutti. Aver, per strafottente ignoranza, incluso la Toscana in un assurdo progetto di Padania (a loro insaputa riprendendo l’antico piano di Cavour) ha rallentato ulteriormente il processo indipendentista in Toscana.

Dopo trent’anni di Lega lo Stato italiano è più accentrato di prima. Inoltre l’ultima svolta lepenista della Lega Nord di Salvini ha di fatto per sempre scisso le idee indipendentiste da quello che ora non è altro che un clone del Front National francese: un partito di destra nazionalista italiano, perfettamente afferente al sistema. Ora per quanto riguarda la Toscana esiste Toscana Stato, che si sta organizzando, ed è pronta a colmare un vuoto politico in Toscana che, a nostro parere, era clamoroso.

Intendiamo pertanto lavorare per giungere ad un referendum che faccia esprimere il popolo toscano circa la volontà o meno di rimanere in Italia. Successivamente si aprirà una fase costituente che metterà le basi del futuro Stato Toscano. Chiediamo alla società civile toscana di aderire ai nostri ranghi, affinchè la nostra amata patria toscana possa finalmente rialzare la testa e riprendere in mano, dopo tanto tempo, il proprio destino.

Emiliano Baggiani
Segretario protempore TOSCANA STATO

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2 COMMENTS

  1. Oh! Toscana mia Toscana!
    Così dolce, così bella,
    Terra d’arte, di sapienza,
    Di soavissima favella…

    LA TOSCANA NON È ITALIA ! ! !

  2. Massimo D’Azeglio per Firenze Capitale ( quando si doveva decidere in quale città si sarebbe dovuto portare la Capitale dopo averla tolta da Torino)

    È inutile intanto estendersi su quest’argomento. Mi sia tuttavia permesso d’aggiungere, che a parer mio come sede del Governo la città preferibile a tutte la stimo Firenze.
    Firenze fu il centro dell’ultima civiltà italiana del medio evo.
    È, come fu sempre, centro della lingua; e la lingua è fra i principali vincoli che riuniscono e mantengono vive le nazionalità.
    È posta a giusta distanza dalle due estremità della penisola.
    È nè troppo esposta ad un assalto dal mare, nè da esso troppo lontana: ed opere idrauliche sull’Arno ve la potrebbero avvicinare di più.
    È in buon clima, protetta da un assalto dal nord dalle due linee, quella del Po e dell’Appennino, rafforzata ora dai lavori eseguiti a Bologna.
    Facile a fortificarsi, volendo, con forti separati e fuor del tiro dalla sua cerchia.
    È inoltre popolata d’uomini ingegnosi, temperati, civili; la popolazione in Toscana è generalmente onesta, non è faziosa; si viene rapidamente correggendo di que’ difetti che forse ebbe in passato: e quando vi si sia generalizzato l’uso della vita politica, a Firenze il Governo potrebbe trovare quel salubre e sicuro ambiente che dicemmo esser per lui la più importante delle condizioni.
    Ma un’altra ragione si adduce in favore di Roma. Scegliendola a sede del Governo, dicono, tutte l’altre città si inchineranno, nessuna oserà mettersi avanti, e sarà tolto di mezzo questo pomo di discordia.
    Io non credo punto a quest’ossequio generale; ma credo, ed anzi vedo ripetersi un fatto frequentissimo in ogni rivoluzione: il partito di chi più grida e più si dimena, benchè in minorità, riesce sempre per qualche tempo a metter in soggezione quelli che gridano e s’agitano meno. L’importante è di trovare que’ sonori vocaboli che colpiscono le moltitudini, di gridarli per le piazze e pei giornali, è di chiamar Codino chi ne mettesse in dubbio il valore.
    Tutta questa fantasmagoria svanisce presto, come accadde al Milione di Fucili, ed al Milione di Soldati, ma poco importa quando sia ottenuta l’agitazione nel senso che si voleva. Chi n’è professore, sa benissimo che una certa specie di mondo s’agita non colle idee sane, ma colle fantastiche.
    Chi scambiasse il silenzio momentaneo coll’ossequio, potrebbe cadere in gravi errori. L’Italia ha sempre subíta la fatalità d’esser poco studiata, e mi pare che questa fatalità ancora non cessi. Chi la conosce, e conosce in fondo i sentimenti delle popolazioni, sa che fra Napoli e Roma, verbigrazia, v’è ruggine antica e radicale, per cui ho l’idea che in cuor suo ogni Napoletano vorrebbe veder Capitale dello stato San Marino piuttosto che Roma.
    Il problema di tenere Napoli non è indifferente ora, e merita che vi si pensi.
    L’antico Stato papale non è in condizioni diverse. È cosa ancor più notoria la poco felice disposizione di Bologna e d’altre città dello Stato per Roma, e bisogna non aver veduto mai que’ paesi per immaginare che s’inchinino con ossequio all’idea d’averla di nuovo per Capitale.
    I Toscani hanno ingegno sottile, sono penetrativi assai, e le bolle di sapone sanno distinguerle a colpo d’occhio. Quanto all’Italia superiore, è troppo del mondo moderno per avere una gran venerazione ai fantasmi dell’antichità; e se togliamo quell’intimo motore piantato in cuore della maggior parte degl’Italiani, il gusto di far dispetto ai preti, credo che l’idea della sede del Governo posta a Roma paia poco desiderabile a chiunque conosce nella loro verità gli elementi de’ quali è composta.
    Se il Papa non abbandonerà Roma, e se vi rimarrà anche soltanto come pontefice, confesso non giungere a comprendere come si potrebbe tenervi egualmente radunati i tre poteri dello Stato. Non sarebb’egli fra i possibili che mentre al Campidoglio o al Quirinale si pubblicasse una legge votata dal Parlamento e sancita colla firma della Corona, al Vaticano si vedesse una scomunica affissa alle porte della Basilica di San Pietro? E tutto ciò non potrebbe forse condurre ad una serie di scandali indecorosi, che nuocerebbero egualmente alla dignità regia, come alla dignità sacerdotale?
    Ma dopo tutto il già detto, si presenta una nuova riflessione abbastanza grave.
    A Roma, per ora, c’è il Papa! —

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