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5 stelle, direttorio o politburo? forse semplice corte

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direttoriodi FABIO CINTOLESI

Leggendo i nomi dei 5 deputati indicati da Grillo per la costituzione di un direttivo(?) politico del Movimento 5 Stelle, a qualcuno che conosco è sfuggita la battuta “ma uno bono di sopra l’equatore un c’era?”. Al di là della battuta, il fatto che i nomi indicati da Grillo siano tutti laziali e campani, è quantomeno singolare.

La scelta dei nomi da parte del leader in una lista bloccata e un voto si o no, non mi è piaciuto neanche un po’. Credo che tra la democrazia diretta e questo metodo passi la stessa differenza tra una camicia e una camicia di forza. Ma non è neanche questo il punto.

Appena 2 anni fa, i candidati alle elezioni politiche furono scelti interamente dagli iscritti al blog. Molti degli eletti erano persone che neanche avevano mai avuto niente a che fare con Grillo a Casaleggio. Sono stato testimone diretto di più di un episodio in tal senso.

Cos’è successo nel Movimento in questi 2 anni? Da dove nasce questa evoluzione (ma sarebbe meglio chiamarla “involuzione”)? Provo a dare una spiegazione.
Fino alla metà del 2012, il Movimento al di sotto di Roma praticamente non esisteva. Mentre a Parma Pizzarotti diventava sindaco della città, nelle stesse elezioni, non usciva un solo eletto a sud del Lazio. Non credo fosse un caso. Molte delle battaglie del M5S fanno (o forse facevano?) pernio sui diritti e sulla cittadinanza. Dalla democrazia diretta all’acqua. Certe proposte per attecchire, necessitano di un humus culturale che non è presente in tutte le regioni italiane.

Nel febbraio del 2013, con la travolgente vittoria in tutta Italia, sull’onda di un voto largamente di protesta approdano in parlamento decine di rappresentanti da tutte le regioni. E qui forse iniziano i problemi. Dalla Toscana dei liberi comuni, alla tradizionale buona amministrazione asburgica del lombardo-veneto, fino alla tradizione feudale del nostro Meridione, le mentalità dominanti nelle varie realtà del nostro paese divergono alquanto. E’ inutile nascondersi dietro un dito.

Principi come l’uno vale uno e comunque un’idea di libertà del cittadino, si sono venuti a scontrare con retaggi culturali vecchi di secoli, fatti di sussiego nei confronti del potente di turno, di cortigianerie e di visioni figlie di tradizioni feudali. Il Movimento 5 Stelle ha iniziato progressivamente a cambiare forma, da struttura abbastanza orizzontale a sempre più verticistica.

La meridionalizzazione del suo nucleo dirigente è un naturale effetto di questa influenza. Ovviamente io non sto parlando di singoli, ma di mentalità diffusa. Ci sono siciliani con la schiena dritta ed emiliani servili. Rimane però il fatto che anche per Grillo è molto più semplice trovare un cortigiano a Napoli che a Genova.

E’ un fatto di attrezzatura culturale, più che di carattere del singolo. I vezzi di terre dove la sopravvivenza dipende dal legarsi al potente di turno, non si perdono perché si viene eletti sotto un simbolo che vorrebbe incarnare la lotta a queste pratiche. E’ umano.

Le ultime dichiarazioni di Grillo dopo il disastro delle regionali in Emilia e Calabria corroborano questa ricostruzione. Dire “va tutto bene, siamo in crescita” di fronte a certi risultati, è un capolavoro che può riuscire ad un vero cortigiano. Un cortigiano ti lusinga, ti rassicura, anche se sbagli di brutto. I veri amici son quelli che ti dicono anche che hai fatto una cazzata, quando serve.

Queste dichiarazioni, insieme alle recenti nomine, ma sarebbe più giusto chiamarle “investiture”, dei cinque di questo direttivo (o direttorio, o politburo, tanto poco cambia), rientrano in questo quadro. L’espulsione di Artini, una bestialità nel merito e nel metodo, è frutto di questi meccanismi, come pure la guerra a Pizzarotti.

Conoscendo Filippo Nogarin e la sua poca propensione all’esser servo se non della sua città, mi chiedo tra quanto inizierà la guerra al sindaco di Livorno. Sempre non sia già iniziata.

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