di ROMANO BRACALINI
Storici di corte si sono compiaciuti di definire l’8 settembre la “morte della patria”, concetto assai più nobile del più sgradevole ma veritierio “fallimento unitario” quale esso fu.
L’Italia fascista si era alleata con la Germania nazista in un patto di sangue e di morte. Patto scellerato. Ma fu il modo in cui l’Italia giunse segretamente all’armistizio, tenuto nascosto fino all’ultimo ai tedeschi, che tolse ogni decoro e dignità all’Italietta fedifraga di sempre.
Era stato il maresciallo Badoglio, capo del governo, con voce stanca e monotona, a darne l’annuncio la sera dell’8 settembre 1943, alle19.42, dai microfoni dell’Eiar. Nelle piazze la gente esulta; crede che sia finita, anche se ha imparato a diffidare dei bollettini bugiardi. Chi sono i nemici? Badoglio l’ha lasciato intendere ma non lo ha detto. Non più gli angloamericani e non ancora i tedeschi. Il tempo di mercanteggiare, come sempre, come nel “maggio radioso” del 1915.
Di fatto l’annuncio ribalta un’alleanza e apre la strada all’ennesima tragedia italiana. Più farsa che tragedia! La data dell’8 settembre è di quelle che fanno storia, assurge a simbolo, come la Bastiglia, come Waterloo, diremmo una fatalità congenita, da studio antropologico, con l’estrema risoluzione della fuga e del doppiogioco, del si salvi chi può.
Solo il direttore del Corriere della Sera, Ettore Janni, vi aveva colto il vero desolante significato di resa incondizionata senza onore: ”Giorno di profonda tristezza per il popolo italiano…”. E già scendono dal Brennero le divisioni tedesche come da nove secoli a conquistare l’Italia. L’8 settembre è qualcosa di più di una disfatta militare. E’ l’inizio di una tragedia collettiva, che divise un popolo e fece dell’Italia il campo di battaglia di eserciti stranieri, come tre secoli addietro.
L’Italia non esisteva più, il Risorgimento,vantato come la rinascita di un popolo, s’era rivelato un fragile collante, un artificio retorico. Era morta “l’idea di patria”, che il fascismo abusandone fino alle estreme conseguenze aveva reso impresentabile. Il Risorgimento come movimento protofascista, ha condotto all’attuale crisi di identità. La repubblica, nata nel 1946 sulle macerie della guerra, per molti versi rappresenta la continuità storica.
Il primo presidente provvisorio, Enrico De Nicola, era un esponente monarchico napoletano. Burocrazia, esercito, magistratura giurarono fedeltà alla repubblica, esattamente come avevano fatto con la monarchia. Parecchio fascismo transitò nel partito comunista e poco cambiava. Nella legislazione repubblicana sono passate parecchie norme del Codice fascista. In Italia un regime eredità l’altro.
La storia è un grande magazzino di oggetti smarriti. Vi si trovano tutte le nostre migliori illusioni. Così l’8 settembre, la data che più ci concerne, è diventata la metafora della debolezza italiana,della mancanza di identità collettiva e nazionale, del senso di appartenenza, senza il quale non c’è popolo solidale ma assembramento, negozio, corruzione, ”poussiere humaine”, polvere umana, come ci classificava il poeta francese Lamartine.