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Scozia, catalogna e toscana. lingue e legacies

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di SERGIO SALVI

toscana stemmaIl mondo è tutto un rigurgito di indipendentismi: figli che vogliono essere indipendenti dai padri; padri che vogliono essere indipendenti dai figli; donne che rivendicano la loro indipendenza dagli uomini e dalla società maschilista in genere; condòmini che vogliono svincolarsi dalle regole ritenute ingiuste del loro condomínio; comuni che sbuffano per l’interferenza delle regioni; regioni che sbuffano per l’interferenza dello stato. E chi più ne ha più ne metta. Hanno del resto tutti, più o meno, ragione.

Ci sono poi le nazioni senza stato (la Catalogna, la Scozia) o dallo stato pericolante (l’Ucraina) che vogliono l’indipendenza politica cioè la piena sovranità sul loro territorio storico. Naturalmente, gli stati costituiti le contestano. Ma anche alcuni indipendentisti bizzarri abituati a sommare le arance con le uova nel corso delle loro indagini dedicate al mercato ortofrutticolo. C’è infatti chi, parlando di indipendenza politica, pone le nazioni e un numero impressionante di comunità di altro genere (condomíni, frazioni, rioni, comuni e così via) sullo stesso piano, compiendo il medesimo errore di chi mescola i frutti di mare coi frutti di bosco. Talvolta, per mostrarsi aggiornato, sostiene l’inesistenza delle nazioni, categoria per lui immaginaria e oltre tutto superata in quanto… ottocentesca. Si dà però il caso che il tipo di comunità da lui vagheggiato risalga a concezioni sei-settecentesche e sia, se non altro cronologicamente, anteriore al concetto moderno di nazione. Studiare per credere.

È proprio il ricorso al concetto e alla dignità di nazione che rende molti degli indipendentismi attuali, quelli sensati, tanto significativi e pregnanti. Diremo: sulla cresta dell’onda. Vedi Scozia e Catalogna e dimentica Conch.

Artur Mas vuole l’indipendenza catalana perché la Catalogna è per lui e per i catalani di oggi una nazione nonostante l’opposizione di Madrid, per la quale la nazione è soltanto lo stato, cioè la Spagna. Alex Salmond auspica l’indipendenza della Scozia perché per lui la Scozia è una nazione. E in questo caso è d’accordo col londinese Cameron, che ha enunciato ufficialmente la quadrinazionalità del Regno Unito (Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda del Nord) in occasione del referendum scozzese. Nazione sì, indipendenza no. Per Salmond: indipendenza sì perché nazione sì.

C’è anche da tenere presente, in questo quadro, il problema della lingua, fattore costituente della nazione secondo una dottrina, a quanto pare, ancora valida perlomeno sul piano della prassi (vedi Mas ma anche i baschi, i gallesi, i bretoni, gli ucraini, i curdi e troppi altri, che fanno, in pieno XXI secolo, della lingua il motore delle loro rivendicazioni politico-istituzionali). Che siano tutti bicentenari?

Secondo il Los Angeles Times, a quanto emerge da un suo recente articolo dedicato al prossimo referendum catalano, esistono però differenze notevoli tra Catalogna e Scozia. Queste differenze significative sarebbero quattro:

  1. La popolazione. Gli scozzesi sono soltanto l’8,4% della popolazione del Regno Unito. I catalani il 16% di quella del Regno di Spagna. Ci sembra solo un dato statistico.
  2. Il PIL. Gli scozzesi contribuiscono col 9,5% al reddito del Regno Unito. I catalani col 19% di quello spagnolo. È un dato altrettanto statistico.
  3. La direzione politica. Molti scozzesi sono stati primi ministri nei governi britannici. Rammenteremo gli ultimi due: Tony Blair dal 1997 al 2007; Gordon Brown dal 2007 al 2010. L’ultimo capo di governo spagnolo di origine catalana fu nominato nel 1873 e durò in carica tre settimane soltanto. Da allora, tutti castigliani, con qualche galego nel mezzo. È un dato storicamente rivelatore.
  4. La lingua. Soltanto l’1% degli scozzesi parla il gaelico. Ben l’85% dei catalani parla il catalano.

È questo il punctum dolens. Se una nazione si definisce soprattutto per una lingua propria, come si ritiene abitualmente, la Scozia appare messa male davvero. La sua lingua nazionale, il gaelico, importata illo tempore dall’Irlanda, è a rischio di estinzione. Ecco allora che, al suo posto, gli indipendentisti, quale motivo dominante per la loro rivendicazione, si rifanno alla legacy. Cioè alla presenza ininterrotta di uno stato scozzese unitario e indipendente, durata ben 864 anni, dall’843 al 1707, che ha lasciato tracce vistose nella cultura e nella società. La sciagurata unione con l’Inghilterra cancellò l’indipendenza ma lasciò comunque alla Scozia la sovranità in campo legislativo, scolastico e, dulcis in fundo, religioso. E qui nascono i guai. La riforma calvinista attecchì in Scozia e dette origine a una Chiesa nazionale indipendente, che scelse la lingua inglese quale strumento di conversione e di promozione nei confronti dei compatrioti all’inizio recalcitranti. Il gaelico fu considerato la lingua dei cattolici e venne ingiustamente perseguitato dalla nuova fede, in paradossale accordo con Londra che pure aveva una propria e diversa Chiesa nazionale, quella anglicana, detta episcopale perché manteneva i vescovi, al contrario della Chiesa scozzese, detta presbiteriana perché diretta dai presbiteri, cioè dagli anziani della comunità. Senza gerarchie. Ma pienamente d’accordo nell’usare la lingua di quei “mezzi papisti” degli inglesi.

Il gaelico è restato la lingua comune degli scozzesi fino agli inizi del XV secolo. Poi, la rinuncia al suo uso da parte della corte, in mano ai normanni, e delle città mercantili, in mano ai fiamminghi, ridusse progressivamente il suo impiego anche fuori dall’ufficialità. La Riforma religiosa, che abbiamo visto così perniciosa e invasiva e l’avvento del Regno Unito dettero il colpo di grazia al gaelico di Scozia. Londra ed Edimburgo organizzarono una polizia speciale (chiamata addirittura clearance, “pulizia”) che perseguitò in maniera efferata gli alunni delle scuole scozzesi, con l’apposizione di marchi infamanti al loro collo e pestaggi collettivi alla fine delle lezioni per chi si ostinava a parlare gaelico. La dottrina ufficiale del governo di Londra, in accordo con quella della Chiesa scozzese, dichiarava in proposito: «Niente è più efficace, allo scopo di ridurre gli scozzesi all’ordine e insegnare loro i prescritti doveri verso Dio, il Re e la Patria, che estirpare la loro lingua: ecco perché l’insegnamento deve essere impartito in inglese».

Non è un mistero se oggi soltanto l’1% (in realtà il 2%) di loro parla gaelico. Tuttavia, l’inglese introdotto in Scozia ha preso subito una colorazione speciale trasformandosi in scots: un inglese dialettale con molti elementi di originalità e qualche parola presa pari pari dal gaelico: loch, “lago”, ben, “monte, clachan, “villaggio”, glen, “valle”. Whisky è la trascrizione inglese dalla parola gaelica uisge, “acqua”, nel senso di “acquavite”. Quasi la metà degli scozzesi parla lo scots: vera e propria lingua nazionale surrogata. Il Partito Nazionale Scozzese propugna il trilinguismo per la futura Scozia indipendente: l’inglese standard, lo scots e il gaelico. È realista. Ma troppo poco visionario per i nostri gusti.

La persecuzione del catalano è invece cominciata soltanto nel XVIII secolo ed è stata blanda fino all’arrivo di Franco, che avversò questa lingua in maniera radicale senza riuscire nemmeno a scalfirla. Grazie ai catalani, meno accondiscendenti degli scozzesi e assai più fieri della loro identità.

I catalani hanno dunque dalla loro la lingua. Ma non hanno una legacy convincente. Un regno di Catalogna non è mai esistito. I conti di Barcellona divennero re ma di Aragona, paese confinante ma non catalano. Poi istituirono regni parziari, Valencia e Maiorca, in territorio questa volta catalano, spezzettandolo. E oggi scontano questa eredità negativa.

D’altronde, la nazione catalana (la lingua catalana) si estende ben oltre i confini della regione autonoma di questo nome, quella dove si tenta di tenere il referendum per l’indipendenza. Fanno infatti parte della Catalogna anche: la frangia occidentale dell’attuale regione aragonese, quattro quinti della Comunità Valenciana, le isole Baleari, la Catalogna Nord passata alla Francia nel XVII secolo con la guerra dei Pirenei, il principato di Andorra e, se si vuole, la città di Alghero in Sardegna. Non bisogna mai cadere vittime delle abusive distrettuazioni politico-amministrative operate dagli stati, che sono artificiali e transeunti (le distrettuazioni: ma, per fortuna, anche gli stati).

La Scozia politico-amministrativa, al contrario della Catalogna, è più estesa etnicamente. Comprende due arcipelaghi, le isole Shetland e le isole Orcadi, che sono in origine norvegesi e sono lassù, isolati nel mare del Nord. Il re di Norvegia li cedette al re di Scozia nel 1477 quale dote per le nozze di sua figlia col sovrano scozzese. Vi si è parlato fino a un secolo fa il norn, un dialetto norvegese, ed oggi vi si parla una forma particolare di scots. Vi esistono movimenti indipendentistici che, ovviamente, vogliono staccarsi non solo dal Regno Unito ma anche dallo Scozia.

Gli abitanti di questi due arcipelaghi sono soltanto 40.000 ma non sono, ovviamente, scozzesi. Il loro è un caso che andrebbe a fagiolo a MiglioVerde, il quale sembra batersi per il diritto all’indipendenza soltanto dei “paesi” piccoli, siano o non siano nazioni. Ma è come se dovesse godere dei diritti civili soltanto Renato Brunetta. Purtroppo, anche per questi indipendentisti minimalisti, esistono uomini piccoli e uomini grandi, nazioni piccole e nazioni grandi. La realtà non bada alla taglia e i diritti sono uguali per tutti.

Un caso interessante a proposito di lingue e di legacies è quello della Toscana: “regione” per lo stato italiano e “nazione” vera per i pochi toscani consapevoli. Anche se manca un movimento indipendentista credibile e diffuso, il caso toscano è, dal punto di vista della lingua, davvero appariscente ed è esattamente l’inverso di quello scozzese. La Scozia ha rinunciato alla propria lingua per quella di un altro paese: l’Inghilterra. La Toscana ha dato invece a un altro paese (l’Italia) la propria lingua. E questo è un autentico paradosso. Nemmeno i catalani sono riusciti a imporre il loro idioma alla Spagna. E sono certamente più tosti dei toscani.

Dove i toscani si apparentano agli scozzesi è nella rivendicazione della legacy. La Toscana ha avuto un proprio stato nazionale unitario a partire dall’886, la Marca di Tuscia, e lo ha mantenuto per 350 anni. L’indipendenza politica toscana è riemersa col Granducato di Toscana, che è durato 290 anni. L’annessione della Toscana allo stato italiano dura soltanto da 153 anni. La Toscana, ricordiamolo bene, è stata toscana per ben sei secoli e mezzo. Anche se la scuola di stato (italiana), la cui lingua ufficiale è il toscano, anche se arrocchettato, non lo insegna e nemmeno ne parla. Da 153 anni.

 

 

 

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15 COMMENTS

  1. Scozia – Catalogna – Toscana – Sardegna hanno cose in comune come: lingua, costumi e tradizioni
    N.B. sud Albania si chiamano Tosc o Tosk. Se vediamo la loro musica e costume sono abbastanza simili per non dire uguali. grz.

  2. Quale effetto produca la scuola statale italiana, che da oltre 150 anni propina veline ministeriali di pessima qualità, lo si desume da certi commenti sparsi con sicumera e affettazione. Parlare di “divagazioni” del Salvi denota non solo leggerezza, ma anche una certa ignoranza sulle vicende toscane e sul Salvi stesso, che peraltro non ha affatto bisogno di difensori. “La Toscana fu il paese che in Italia più compiutamente d’ogni altro eliminò il feudalesimo ed ebbe i più evoluti Comuni di contado; e prima mise al sole i frutti della lunga elaborazione interiore, le forme di una toscanità esclusiva e originale nell’arte e nella lingua” Gioacchino Volpe. E non è una scempiaggine.
    Siamo all’886, quando compare la prima prova su un documento di un notaio pisano di una nuova lingua, il toscano. Dopo circa tre secoli di incubazione longobarda della Marca di Tuscia, con capitale Lucca e i vari Duchi longobardi da Gummarit a Tachiperto e franchi da Allone a Ugo Salico (1001), col margraviato di quest’ultimo, la Toscana si definirà nell’istituzione, nel territorio, nella lingua, nella cultura, nella civiltà, da cui discenderà in seguito la civiltà occidentale. Nemmeno questa è una scempiaggine; fa parte della cultura anglosassone (Atene sta alla civiltà classica come Firenze sta a quella moderna).
    Perderà l’unità politica per frantumarsi in quella meravigliosa galassia di Repubbliche e Comuni senza però perdere l’unità linguistico-culturale. L’unità politica riemerge con i Medici (a parte la Repubblica di Lucca) e si protrarrà per 324 anni (1537-1861) con gli Asburgo-Lorena…
    Quindi, per quanto ci riguarda, noi Toscani non ci proponiamo una secessione, ma rivendichiamo la nostra sacrosanta indipendenza: non siamo mai stati in Italia; non nell’antichità, qualora si spacci per Italia quella di augustea memoria annonaria e suburbicaria, perché allora non c’era la Toscana; non nel medio evo, perché quando cominciò a esistere la Toscana, l’Italia di cui sopra era defunta da almeno quattro secoli. Allora? che c’entriamo noi Toscani con l’Italia? C’impongono di entrare purtroppo, a forza di prepotenze e di truffe nel 1861, come tutto il resto del futuro territorio dello Stato italiano.
    Ora, visto come vanno le cose (1958, Mattei, fondi neri ENI per i partiti; 1958, soldi alla DC, centinaia di milioni di Italcasse mai restituiti; 1961, Fiumicino, collassato al collaudo, altri 40 miliardi per raffazzonarlo; 1963, Federconsorzi, 1064 miliardi succhiati nello scandalo del grano e mai riemersi; anni 90, tangentopoli, impossibile quantificare, sparate una cifra esagerata: no! è di più; Italia 90, campionati di calcio, basti pensare al “Delle Alpi”; 2009, terremoto Aquila, ricostruzione… si fa per dire; 2010, G8 a La Maddalena, un orgiastico spreco; 2009-2014, Genova, edificante; tanto per fare alcuni esempi, tra milioni, dell’allegra gestione di questo Stato da parte di quelle associazioni a mungere che sono i partiti), visto come vanno le cose, dicevo, sfruttati come schiavi, dobbiamo anche chiedere il permesso di andarcene ai saccenti al soldo dell’Italia?
    Per certo chiederemo il permesso, ma solo ai Toscani, sperando che non siano ringrulliti come c’è da temere dopo un secolo e mezzo di tanta scuola! e di tanta corruzione ammorbante. Detto tra noi non c’è da stare allegri: ieri sera il Sindaco di Viareggio ha partecipato a una veglia di preghiera per il “dissesto” del Comune. Mah!

    Troppo lungo? ma proprio non riesco a condensare ancor più.

    • @Toscano redini
      Salvi ha scritto una serie di divagazioni incoerenti tra di loro, voler parlare di unità nazionale dello Stato in Ucraina, e di indipendenze basate sulle questioni linguistiche salvo poi negarla sul Donbass significa non capire un tubo né di storia né di autodeterminazione e di fatto significa solo fare della retorica pseudonazionalista analoga a quella risorgimentale.
      Capisco che il comunista Salvi debba ricostruire la storia su basi giacobine paragonabili a quelle del risorgimento in mancanza di altra sua cultura, ma l’unità Ucraina è frutto della prima guerra mondiale ed è di fatto uno Stato creatosi dalla cessione territoriale di due imperi (asburgico e russo).
      La cessione della Crimea a Kiev è stata del tutto arbitraria ai tempi dell’Urss per volontà di Crusciov, la lingua c’entra poco.
      La lingua è solo un elemento accessorio e non fondamentale per poter secedere e ottenere l’indipendenza.
      Quel che importa non è la lingua parlata ma il diritto di voto dei singoli individui vivi residenti nel decidere del loro futuro.
      Questi possono decidere sulla base di loro legittimi interessi personali a favore o contro l’indipendenza, aldilà delle menate sulla lingua (si veda il Sud Tirolo).
      La Scozia ha perso il referendum per ragioni economiche e non certo linguistiche, Salmond non ha mai affermato di voler parlare il celtico o il gaelico, al pari degli americani avrebbero continuato a parlare in lingua inglese.
      Fare la cronostoria della storia passata del Granducato di Toscana non rende più serio il discorso di Salvi, è questione non pertinente con la mia critica e con le questioni indipendentiste.
      La Toscana del XXI° secolo non è più quella del XVIII° secolo.
      Il Granducato di Toscana è stata una istituzione storica ormai decaduta e non ripetibile, la storia la fanno i vivi e dubito che i toscani vogliano un duca austriaco che li comandi (a proposito di lingua).
      E’ invece probabile che i toscani nei vari comuni, province e borghi abbiano visioni differenti tra loro non conciliabili e neppure unanimi, dunque di quale indipendenza linguistica si vuole parlare?.
      Quella delle Padanie, dei Granducati e delle Serenissime intese come forme di Moloch leviatanici, nuove gabbie mentali e folkloriche analoghe a quella italiana?.
      Se i sedicenti indipendentisti come Salvi propongono il vecchio armamentario giacobino declinandolo in chiave localista, è evidente come mai gli italiani preferiscano alla copia in scala minore, l’originale in scala maggiore.
      Le secessioni le decidono i singoli con il diritto di voto e l’autodeterminazione non certo qualche visionario indipendentista che traccia confini o che si appella alla lingua, e alla scuola pubblica per collettivizzare popoli e campanili.

      • che il fondamento sia la singola libertà individuale è ovvio, quello che vogliono le persone è sacrosanto, non ci piove. il ragionamento di salvi però vola più alto e tu non hai colto che lui non sta dicendo che tutti devono accettare la sua idea di toscana o di padania, sta dicendo che forse forse è necessario fare proposte serie.

        mi spiego, se la volontà popolare volesse la nascita di uno stato costiero che va da Massa Carrara a Salerno, una striscia di 50 km di ampiezza, e la volessero chiamare repubblica della costiera tirrenica, per me possono farlo anche se mi sembra una cosa assurda. Se lo vogliono, lo facciano, ma cosa diversa è proporre una simile idiozia, un conto è rispettare una decisione popolare, una cosa è proporre la repubblica della costiera tirrenica e sperare che avrà seguito: è da deficienti!!!

        i concetti di lingua, storia, identità servono a rendere plausibile e fondata una proposta politica devono essere chiari nella testa di chi propone e hanno lo scopo di dare un riscontro a chi ascolta, chi riceve una proposta politica può decidere come vuole, ma se la proposta è plausibile, se è fondata, se ha dei riscontri che il singolo cittadino può verificare di persona e nei quali si sente partecipe, come il modo in cui si esprime, allora la proposta potrà più facilmente aver successo. Senò si finisce a parlare di ampolle riguardo alle quali tutti si domandano, ma chi cazzo l’ha mai vista sta roba????

        se l’indipendentismo padano avesse ascoltato gli Oneto e i Salvi sarebbe andato molto più lontano, la padania non sarebbe rimasta un nome sospeso nel vuoto, povero di contenuti, ma avrebbe trovato molti riscontri nella vita della stragrande maggioranza dei cittadini padani, purtroppo la padania è stata proposta alla stregua se non peggio della repubblica del mar tirreno!!!!!!!

        stai continuando a confondere la libertà di scelta del singolo con la serietà e la organicità della proposta indipendentista.

      • Egr Sig Marco, La ringrazio per le sue dotte divagazioni e per farmi gentilmente oggetto delle sue opinioni storico-filosofiche, della cui elevatezza non dubito, ma pur sempre opinioni. Ma vede, secondo me la filosofia è morta e, parafrasando il Galilei, mille Demosteni, mille Aristotili, resterebbono a piede contra ogni mediocre ingegno che abbia fatto un sogno a occhi aperti. E quelli che sognano di giorno sono soggetti pericolosi, perché può accadere che recitino il loro sogno a occhi aperti, per attuarlo.
        Oh! Toscana, mia Toscana, non tardare, si fa sera…

  3. In verità si tratta di una leggenda che si basa sul fatto che nel 1795, i deputati del parlamento federale americano discussero di stampare anche in tedesco il testo costituzione. La proposta non pass’ per uno scarto lieve.
    Allora gli immigrati da paesi di lingua tedeschi erano molto numerosi fino quasi ad uguagliare quelli di lingua inglese.
    Si ritiene che siano circa 50 milioni i cittadini U.S.A. con antenati germanici, molto di più di quelli di origine italica.

  4. Sinceramente non capisco perchè l’esser nazione dovrebbe essere l’unica ragione valida per la secessione e l’indipendenza.. se un territorio e il gruppo di persone che ci vive non vuole far parte di uno stato per un qualsiasi motivo e questo stato continua a mantenerne il controllo contro la loro volontà si tratta di un’occupazione violenta. Io sono contrario a questa violenza. Invece l’autore dell’articolo mi dice che se non si può dimostrare che quel gruppo sia nazione, secondo certi criteri con cui lui concorda, allora va bene usargli violenza. I padani di domani, coloro che vorranno secedere dalla nazione di Salvi, dovranno dunque essere repressi con la forza nel nome dell’unità della nuova nazione?

  5. Bè Marco, “usa e uk sono due paesi divisi da una lingua comune”: se discuti con un inglese e uno degli stati uniti senti che c’è una differenza enorme. A parte questo, bellissimo e interessante l’articolo di Sergio Salvi. Ciao

    • @Giancarlo Pagliarini
      E’ vero che ci sono differenze di pronuncia tra un americano e un inglese (così come tra un inglese di Manchester e uno di Londra), ma questo non c’entra nulla con la politica indipendentista in senso stretto.
      Scherzi a parte, ma quando gli americani secessero non avevano come motivazione quella di sostituire la loro lingua parlata o insegnata a scuola con un’altra (come l’ostrogoto) o di voler avere una cadenza differente rispetto a quella di uno del Kent o del Sussex.
      Le differenze linguistiche venutesi a creare tra USA e UK sono spontanee, frutto delle migrazioni, dell’isolamento geografico, non sono programmate a tavolino da qualche indipendentista visionario che si è prefissato di farli parlare così.
      In America nessuno gliela insegna nella scuola pubblica di Stato tale differente pronuncia.
      Un saluto

      • Salvi non dice che per secedere serve avere una lingua differente, parla di lingua, parla di legacy e più in generale vuole rivalutare il concetto di nazione che non è necessariamente da buttar via spiegando che il concetto di nazione non è necessariamente limitato a qualcosa di piccolo, può essere piccolo, ma non necessariamente è piccolo.

        • @Gianfrancesco
          Il toscano è di fatto la base dell’italiano, dunque Salvi di cosa si lamenta?.
          La verità è che Salvi è rimasto fermo al romanticismo nazionalista di 2 secoli fa, utilizza la lingua come base sulla quale definire una nazione un pò come le dispute su Fiume o sull’Alsazia e la Lorena.
          Ma la storia dimostra che i popoli secedono non certo per ragioni linguistiche quanto economiche.
          Gli scozzesi avrebbero continuato a parlare inglese anche se avessero ottenuto l’indipendenza e non per questo sarebbero stati meno indipendenti.
          L’esito del referendum scozzese dimostra che la questione della lingua agli scozzesi non gliene importa un fico secco, preferendo considerazioni molto più materiali.
          Le nazioni si basano sul consenso dei singoli individui vivi e residenti non sulle mappe linguistiche o genotipiche.
          Si può essere a favore o contro l’indipendenza casa per casa, strada per strada, città per città, provincia per provinvia di una stessa regione o territorialità.
          E’ il singolo individuo che lo decide, e questi può pensarla in vario modo pur esprimendosi anche in dialetto.
          L’indipendentismo delle Padanie o delle Toscane medicee è fumo negli occhi, dato che sono costruzioni ideal-tipiche politiche analoghe a quella italiana quanto a mentalità collettivista implicante una loro indiscussa accettazione unanime (non realizzabile a meno di non voler creare una pulizia etnica da Stato totalitario in stile Nord Corea).
          All’interno dei territori vi sono favorevoli e contrari, idee di destra e idee di sinistra, modelli socio-culturali in competizione tra loro, parassiti e produttivi, indipendentisti e unitaristi, non si potrà mai avere un serio indipendentismo volendo imporre a tutti gli individui e a tutti i territori eterogenei di una regione un’ideologia o un passatismo anacronistico.
          Certe prerogative lasciatele a Giorgio Napolitano!.
          Un serio indipendentista riconosce il problema delle minoranze e valorizza la secessione volontaria, favorendo il decentramento e un secessionismo basato sulle microterritorialità anziché su mappe da risiko.
          Se si vuole avere un indipendentismo serio e non basato sulla nostalgie di corna, ampolle, ed epoche nemmeno vissute o paragonabili alla nostra contemporaneità, bisogna riconoscere che i confini li decidono i residenti non in ragione della lingua ma in ragione del fisco e della loro convenienza (Tirolo e Catalogna docet).

          • Il tuo problema è che affibbi agli altri cose che gli altri non hanno mai detto. Chi mai ha parlato di ampolle, e corna celtiche? Fattene una ragione ma nè io né Salvi abbiamo mai detto certe cose. Così come il concetto di padania o di toscana necessariamente implicante una loro indiscussa accettazione unanime e perciò identiche all’italia è tutta una tua idea, l’hai enunciata tu (non io nè il Salvi) e l’hai contestata tu. continua pure a parlare tra te e te, io finisco qua così non disturbo lo scambio di opinioni.

            aggiungo però che con la tua logica se domani il fisco in italia non fosse più un problema e la lombardia, non parlo della Padania che è fumo negli occhi, non fosse più vessata ma invece di perderci 56 miliardi fosse in pareggio, allora non ci sarebbe più motivo di secedere. Bell’indipendentista che sei, io personalmente me ne vorrei andare dall’italia lo stesso, l’indipendentismo cammina su due gambe: soldi e identità. Se gli togli una gamba va avanti lo stesso, se gli togli i soldi zoppica, ma va avanti con l’identità che non è in vendita, se gli togli l’identità finisce, perchè a quel punto lo puoi comprare, proprio come è successo in questi anni, dove le recriminazioni economiche non supportate da una vera coscienza identitaria sono stata comprate, anche nel modo più meschino, ovvero comprando la persona e non la categoria, la collettività…

  6. “Ci sono nazioni (…) dallo stato pericolante (l’Ucraina) che vogliono l’indipendenza politica cioè la piena sovranità sul loro territorio storico.”

    Ma il Sergio Salvi che ha scritto questo è lo stesso Salvi autore del libro L’Italia non esiste?.
    Lo chiedo alla redazione del MiglioVerde da abbonato augurandomi che simili lunghe scempiaggini le abbia scritte un suo omonimo e non la stessa persona.
    L’autore afferma che l’Ucraina esiste come Stato e come nazione storicamente unitaria nel suo territorio, come qualsiasi Giorgio Napolitano farebbe.
    Ma allora può anche evitare di tirar in ballo il Granducato di Toscana, la Catalogna o la Scozia, dato che di fatto egli implicitamente legittima la statualità (sovranità) del governo centrale di Kiev, Londra, Roma e Madrid sui popoli e i territori annessi in passato contro la loro volontà.
    Peraltro l’Ucraina vuole entrare nell’Ue, dunque di quale indipendenza politica e sovranità sta parlando l’articolista?.

    • Dovresti leggere il suo articolo sull’ucraina pubblicato un po’ di giorni fa e allora capiresti che non sono sciempiaggini, ma che al situazione ucraina è più complessa di quello che semplicisticamente raccontano i giornali e che per certi versi ha degli aspetti che ricordano il caso del Kossovo.

  7. Salvi nelle sue divagazioni si è dimenticato di scrivere che alcuni secessionisti americani quando proclamarono l’indipendenza dal Regno Unito erano intenzionati ad adottare la lingua ostrogota per fare un dispetto all’ex madrepatria.
    Poi però, non essendoci abbastanza visionari favorevoli a quella proposta, decisero di non attuare tale pittoresco revival continuando a parlare anche in seguito in lingua anglosassone.
    D’altronde si sa che l’indipendenza può avvenire solo a partire dalla richiesta del cambio di lingua nelle scuole pubbliche dello Stato da cui si intende secedere. 😀

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