di GILBERTO ONETO
Tutti si occupano della trattativa fra lo Stato e la mafia: anche chi è convinto che essa sia avvenuta nei termini che si leggono sui giornali fa finta di stupirsi e inorridire, e grida alla lesa maestà dello Stato italiano, quasi si trattasse di un organismo rispettabile e di un contenitore di moralità.
I pastrugni che sembrano avere coinvolto politici e capicosca negli ultimi anni sono solo l’anello più recente di una catena lunga un secolo e mezzo. Non ha grande senso parlare di trattative come se si trattasse dei contatti fra due cose diverse: lo Stato italiano e le organizzazioni criminali hanno sempre dialogato fra di loro perché sono vecchi sodali, sono complementari, sono – rispetto agli esiti della loro azione – una cosa sola. Lo Stato è ladro, brutale e mafioso; le mafie sono unitariste e patriottiche.
Il matrimonio è antico ed è all’origine stessa dello Stato italiano.
Garibaldi sbarca in Sicilia con la protezione della flotta britannica ma i più minuti a bassi servizi glieli rende l’Onorata società. Ancora prima di metter piede sull’isola viene informato a bordo del Piemonte da “pescatori” sulla dislocazione delle forze borboniche. Da settimane un gruppo di siciliani, guidato da Giovanni Corrao e Rosolino Pilo, è sbarcato in Sicilia per prendere i giusti contatti e sussurrare alle orecchie “buone”. Appena dopo Marsala e Calatafimi (dove i “locali” stanno a guardare con prudenza se le cose stanno andando per il verso giusto) i mille vengono affiancati da torme di picciotti armati dall’aspetto poco rassicurante. Verso Palermo i garibaldini si trovano il percorso ripulito da ogni avversario: “gruppi di fuoco” malavitosi hanno sistematicamente fatto fuori i militari borbonici facendo scempio dei loro cadaveri, come racconta con raccapriccio Giuseppe Cesare Abba.
La mafia si installa nei locali del potere isolano.
Scene analoghe avvengono a Napoli, dove Garibaldi entra trionfalmente senza i suoi uomini e scortato dal gotha della camorra. La sera prima dell’ingresso in città, il ministro borbonico di polizia don Liborio Romano si è improvvisamente convertito alla causa tricolore e ha preso accordi con la camorra, ha liberato tutti i detenuti, li ha armati e muniti di una fascia tricolore e li ha nominati difensori dell’ordine pubblico. Così l’eroe dei due mondi entra scortato da questi suoi nuovi compatrioti senza colpo ferire. La camorra viene generosamente ricompensata con stipendi, pensioni, premi e incarichi.
Così l’Italia viene fatta, le organizzazioni criminali vengono sdoganate e vengono loro aperte le porte di un nuovo grande mercato.
Per decenni i governi nazionali gestiscono il potere con l’aiuto determinante delle società malavitose: Crispi ci è dentro fino al collo e Giolitti è passato alla storia come il “ministro della malavita”.
Il ventennio fascista fa passare una breve stagione grigia ai mafiosi, che si devono “mettere in sonno” proprio come i loro cugini massoni. Li risveglia gloriosamente l’accordo con il governo americano per lo sbarco in Sicilia, per cui la mafia offre informazioni, preparazione, supporto logistico e uomini da mettere nelle nuove amministrazioni antifasciste.
Riprende il cammino dei sodalizi, appena contrastato da democristiani e comunisti quando questi erano ancora gente per bene, ma largamente favorito dall’apertura del territorio, dal confino al nord di molti picciotti e dall’emigrazione di massa in Padania che ha dato alle mafie la mano d’opera necessaria.
Si arriva a oggi, con la più totale identificazione fra Stato e mafie. Quale trattativa? Si tratta solo di banali liti in famiglia per la spartizione delle portate.
Non c’è nulla di più mafioso dello Stato, nulla di più patriottico delle mafie.
E’ la realtà che nelle scuole non insegnano.
A scuola raccontano favole.
1) da stampare in milioni di copie
2) da lanciare dagli aerei su tutto il territorio a nord della Massa Senigallia
3) da far imparare a memoria in tutte le scuole a nord della Massa Senigallia
4) da chiedere nei test di ammissione universitaria
5) da chiedere nei test per i concorsi