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Perchè a fare i politici in svizzera non si diventa ricchi

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cantoni_svizzeradi ENZO TRENTIN

Con l’inizio del 2015 la nuova presidente della Confederazione Elvetica Simonetta Sommaruga, (la presidenza del Consiglio dei ministri in Svizzera dura un anno, ed è a turno tra i sette ministri che sono in carica per cinque anni),  [VEDI QUI] ha realizzato l’allocuzione che riteniamo utile riportare qui: «Care concittadine, cari concittadini! Da molti anni faccio la spesa proprio qui in piazza federale. Compro frutta e verdura ma anche piantine per il mio giardino e continuerò a farlo anche durante il mio anno di presidenza. Poter andare al mercato è una esperienza così particolare, in fin dei conti potremmo ordinare tutto via internet, senza uscire di casa. Per me la risposta è chiara e penso che siamo in molti a pensarla così. Mi piace andare al mercato perché conosco le bancarelle e le persone che ci lavorano, so chi vende il formaggio migliore e i fiori più belli, incontro amici e conoscenti, e alcune volte posso scambiare quattro chiacchiere. Per me il mercato significa famigliarità e vicinanza.
La famigliarità e la vicinanza sono anche caratteristiche della nostra democrazia diretta. In nessun altro paese i cittadini hanno così tanto potere e responsabilità ed è proprio questo che mi piace della nostra democrazia, il suo coraggio e la grande fiducia che ha in noi. Alcuni pensano che la democrazia diretta non sia un sistema al passo coi tempi, ritengono che nel mondo interconnesso la popolazione non sia più in grado di decidere sui temi molto complessi. È un’opinione che non condivido per nulla, anzi sono convinta che il nostro sistema politico sia particolarmente adatto alla nostra epoca. Da noi infatti le responsabilità sono assunte non soltanto dal Consiglio Federale e dal Parlamento ma anche dalle cittadine e dai cittadini che possono esercitare la loro influenza e partecipare alle decisioni. È proprio questa partecipazione che crea vicinanza e fonda la nostra identità ed è proprio questo di cui abbiamo bisogno. È sempre stato così e continua ad esserlo oggi più che mai nell’era della globalizzazione.

Il nostro paese nel 21esimo secolo assomiglia a un mercato come questo dove la globalizzazione già da tempo fa sentire i suoi effetti. Il tonno del pescivendolo non è stato pescato nel lago di Thun, il mango non è stato raccolto sulle rive dell’Aar, oggi nei nostri mercati la frutta esotica ed altri prodotti da tutto il mondo sono venduti insieme alle mele e alle insalate delle nostre campagne e ciò nonostante o forse proprio per questo qui ci sentiamo a casa. Un mercato è un luogo aperto a tutti, un luogo di scambio, un luogo in cui tutto il mondo si ritrova, un luogo dove proviamo un senso di vicinanza e dove abbiamo le nostre radici. Care concittadine, cari concittadini, che cosa rende particolare il nostro paese, cosa forma la nostra identità? La nostra tradizione, le nostre radici oppure la nostra apertura, i nostri legami con il mondo, la nostra solidarietà? Non c’è una sola risposta ma valgono entrambe: le nostre radici e i nostri legami con il mondo. Care concittadine, cari concittadini: l’anno che sta per iniziare di certo non sarà facile, ma sono convinta che possa essere un buon anno. Auguro a tutti voi e ai vostri cari forza, salute e ogni bene per il nuovo anno.»

Gli ultimi decenni hanno visto l’espansione dei diritti di partecipazione popolare nel processo decisionale politico in molte parti del mondo. In molti Stati e regioni, tali diritti sono stati anche messi in pratica. Ma per la maggior parte delle persone la realtà rimane ancora lontana dalle aspirazioni democratiche fondamentali. C’è pochissima democrazia diretta. E la mancanza di qualità di quella disponibile è anche maggiore della mancanza di quantità.

La mancanza di qualità dei nostri attuali governanti è sotto gli occhi di tutti, non serve commentarla. Né serve sottolineare che attraverso un corretto esercizio della sovranità popolare per mezzo degli strumenti della democrazia diretta, i nostri “rappresentanti” difficilmente potrebbero materializzare ciò che si può constatare quotidianamente. Probabilmente si potrebbe anche aggiungere ciò che ha ricordato R. Craig: «Durante il mio dottorato di ricerca, il mio direttore della tesi, un alto funzionario del Pentagono, in risposta alla mia domanda su come Washington è sempre riuscita ad imporre agli europei quel che Washington voleva, rispose: «Soldi, gli diamo soldi», «Foreign Aid?», ho chiesto. «No, diamo ai leader politici europei valigie piene di soldi (bags fulls of money). Sono in vendita, li abbiamo comprati». Forse ciò spiega anche il fatto che in questo paese non si fanno riforme degne di tale nome, e per questo anche quegli strumenti di democrazia diretta che esistono sono stati edulcorati e resi inefficaci.

Più di duecento anni dopo la rivoluzione francese, un semplice principio è diventato saldamente radicato nella mente della maggior parte delle persone: che la fondazione su cui si basa tutta la legislazione e l’esercizio del potere esecutivo dovrebbe essere legittimata dalla volontà del popolo. O come affermava Rousseau: «se ogni uomo e ogni donna partecipa alla redazione delle leggi che governano la loro vita, in definitiva, essi devono obbedire solo a se stessi.»

Più di sessant’anni dopo l’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo: il 10 dicembre 1948, il mondo è andato un po’ più vicino ai principi partecipativi approvando un documento chiave. L’articolo 21 della Dichiarazione degli Stati: «ogni individuo ha il diritto di partecipare al governo del suo paese direttamente…» e «la volontà del popolo deve essere la base dell’autorità di governo.»

Nel 2005, al Vertice mondiale dell’ONU tutti i governi si sono impegnati nel principio democratico della piena partecipazione dei cittadini di tutto il mondo, che ha portato il Segretario generale delle Nazioni Unite ad avviare all’inizio del 2010 la “democratizzazione della democrazia”.

POPOLO SOVRANOConsiderando che intorno alla metà degli anni 1980 solo poco più del 40% di tutti gli Stati del mondo furono giudicati rispettosi dei valori democratici fondamentali, la quota è salita ad oltre il 65% nel 2010. La crescita del numero degli Stati che hanno procedure di partecipazione è ancora più impressionante: nove su dieci paesi in tutto il mondo hanno ora qualche forma che prevedere l’influenza diretta da parte di cittadini sull’agenda politica e/o la loro partecipazione nei processi legislativi, deliberativi e decisionali. La crescente presa di coscienza della gente del loro diritto al coinvolgimento democratico autentico è confermata dai sondaggi.

Secondo un sondaggio effettuato in 19 paesi durante il primo semestre del 2010 l’85% degli intervistati crede che “la volontà del popolo” debba essere la base per l’autorità di governo, e il 74% crede che il principio della sovranità popolare nella pratica sia ancora insufficientemente realizzato. In altre parole, la gente concorda sul fatto che la democrazia diretta debba essere un pilastro centrale della vita pubblica; ma la maggior parte degli intervistati è anche consapevole che questo è ben lungi dall’essere realizzato.

Learning by doing (imparare facendo, imparare attraverso il fare)

Chiunque abbia avuto un interesse attivo nel corso di eventi mondiali degli ultimi anni potrebbe non essere consapevole del fatto che il processo di democratizzazione delle società di tutto il mondo non è stato lineare. L’euforia, oltre alla vorticosa velocità di cambiamento vista negli anni ’90, è evaporata. Dopo la caduta del muro di Berlino, si è anche parlato qua e là di “fine della storia”, [www.worldpublicopinion.org] e la democrazia rappresentativa in stile occidentale è stata promossa come universale “regola d’oro” che ogni paese del mondo dovrebbe adottare. Ma ciò non è avvenuto: vecchi conflitti, e nuovi sanguinosi scontri sono scoppiati in molte parti del mondo: nell’Europa sudorientale, in Africa centrale, in Medio Oriente.

Sulla scia della globalizzazione il prezzo di alcune materie si è impennato. Regimi autocratici – tra cui Cina e alcuni paesi arabi – sono stati in grado di consolidarsi malgrado le attese politiche dei singoli popoli. Crepe sono apparse anche in “vecchie” democrazie, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, dove – in nome della “guerra al terrore” – sono state ridotte le libertà fondamentali. Al di là di questo, un auto-rafforzamento della globalizzazione ha cominciato a minare i fondamenti politici e giuridici dello Stato nazione, provocando reazioni conservatrici e nazionalistiche ad entrambi gli estremi dello spettro politico: destra e sinistra.

Il presunto collegamento tra sovranità popolare/autogoverno, diritti umani, stato di diritto e  separazione dei poteri (princìpi sorti a seguito della rivoluzione francese e che erano sempre più formalizzati e ratificati in “Charte” e Costituzioni dopo la seconda guerra mondiale) ha cominciato a essere messo in discussione e lo è tuttora. Ci sono ostacoli sulla strada della democratizzazione, Larry Diamond, in un vecchio  articolo sulla «Gazzetta della democrazia» manifesta un certo scetticismo: «prima che la democrazia possa diffondersi ulteriormente, deve attecchire una radice più profonda dove essa ha già germogliato.»

Ma dove nel mondo, e come, la democrazia diretta ha davvero messo radici negli ultimi duecento anni?

L’istituzione del referendum costituzionale nacque dallo sconvolgimento della rivoluzione americana. La prima votazione popolare su una questione di sostanza si svolse nel 1639 in Connecticut; a quel tempo colonia indipendente. Ma il vero slancio venne con i processi costitutivi di Massachusetts e New Hampshire, tra 1778 e il 1880.

Il referendum costituzionale è stato ripreso in Europa dalla rivoluzionaria Francia. Fu l’Assemblea nazionale a dichiarare che una Costituzione dovesse essere approvata dal popolo. In questa sede fecero breccia i princìpi espressi da Thomas Paine [«Rights of Man», 1791]: «Una costituzione non è l’atto di un governo, ma l’atto di un popolo che crea un governo: un governo senza costituzione è un potere senza diritto …Una costituzione è antecedente a un governo: e il governo è solo la creatura della costituzione»

Nell’agosto 1793, furono sei milioni gli elettori francesi ammessi a decidere sulla nuova costituzione democratica del paese (i Montagnard della Costituzione). Quasi il 90% disse “” in quel rivoluzionario referendum.

Tuttavia non fu la Francia, ma la vicina Svizzera a fornirci il paradigma del successivo passo nell’evoluzione dei diritti popolari. Dalla Svizzera l’eco di quelle conquiste è rimbalzata in America, negli Stati del Nord-Ovest degli USA verso la fine del 19° secolo, e in Uruguay all’inizio del 20°. Quando nel Commonwealth Australiano è stata inaugurata la Costituzione nel 1901, essa si ispirava al federalismo americano e al sistema Svizzero della doppia maggioranza per gli emendamenti costituzionali. Da più di un centinaio di anni in Australia, un emendamento costituzionale richiede l’approvazione a maggioranza di entrambi: il voto degli elettori, e della maggioranza degli Stati federati.

In molti luoghi nel mondo d’oggi gli strumenti d’iniziativa dei cittadini e il referendum sono diventati una robusta componente della moderna democrazia. Questo è vero per circa la metà degli USA, per la Svizzera, ed anche per la monarchia ereditaria del Principato del Liechtenstein.

Tuttavia, moltissimi altri luoghi nel mondo vedono la negazione o la limitazione del diritto dei cittadini di essere direttamente coinvolti nel processo decisionale. Per cominciare, c’è stato un problema di confusione terminologia. Per esempio, quando un referendum consultivo (ovvero un mero sondaggio) è lanciato da un Presidente esso è denominato referendum, mentre l’iniziativa dei cittadini è spesso chiamata petizione (per certi versi una supplica). Ci sono poi i gravi problemi associati a procedure mal progettate per l’approvazione, come la richiesta eccessivamente alta d’affluenza alle urne, e anche i quorum che distorcono la decisione democratica, attribuendo un potere eccessivo a chi si disinteressa delle decisioni che lo riguardano. Ed ancora le incredibilmente brevi scadenze per la raccolta delle firme, ed il rifiuto di rispettare l’esito di una votazione popolare su un problema sostanziale. Poi c’è il fatto che chi esercita il potere vede le procedure di democrazia diretta come minacce al proprio arbitrio ed ai propri interessi clientelari. Tutti questi fattori hanno prodotto gravi restrizioni alla pratica della democrazia diretta.

Referendum immigrazioneNel mondo, la democrazia diretta, deve affrontare enormi sfide. Nel mondo globalizzato, la democratizzazione ha subito seri contraccolpi. Le persone hanno avuto modo di prendere parte al mercato globale come consumatori, clienti e a volte anche come investitori, ma non come cittadini politicamente attivi.

In realtà, l’obiettivo degli Stati moderni e degli interessi corporativi e illiberali che essi incarnano, è quello di rafforzare un blocco burocratico accentrato nelle mani di organismi ed entità “invisibili”, in spregio alla volontà e sovranità popolare. La Commissione Europea è una entità formata da funzionari istituzionali che, «nell’adempimento dei loro doveri, non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo né da alcun organismo […]. Ciascuno Stato membro si impegna a rispettare tale carattere e a non cercare di influenzare i membri della Commissione nell’esecuzione dei loro compiti» (art. 157 del trattato istitutivo della Unione Europea).

Il Parlamento Europeo che ha sede a Bruxelles ci chiama al voto, ma poi i parlamentari hanno un ruolo consultivo e non possono interferire su quello che le Commissioni decidono. Vorremmo dunque sapere di che democrazia stanno parlando: tutto si riduce ad un “governo di tecnici”, in cui chi ha orchestrato la truffa, ha già studiato il suo alibi. L’Unione Europea è costruita per ridurre il potere dei popoli che dovrebbero costituirla, e ottenere il controllo delle economie locali, sacrificate sull’altare dalla Banca Centrale.

Emblematico a tal riguardo un sondaggio nei 25 paesi della Comunità europea che mostra – in linea con la disaffezione alla politica nelle società occidentali – come il 71% dei consultati ha una “cattiva opinione” dei suoi politici, che il 76% non ha fiducia di loro, che il 49% li giudica “corrotti” e che il 70% non dà fiducia né alla sinistra né alla destra per governare. Questa distanza che divide la classe politica di ogni tendenza dall’elettorato – e soprattutto dall’elettorato popolare dai redditi più bassi – spiega l’aumento crescente di ciò che il politologo Dominique Reynié definisce “la dissidenza elettorale”, che corrisponde alla somma di coloro che non votano, di coloro che votano scheda bianca o annullano la scheda e di coloro che votano per partiti che non hanno la benché minima possibilità di arrivare al potere. Questa “dissidenza” rappresentava mediamente circa il 20% degli elettori negli anni ’70. È balzata al 50% nelle tornate elettorali degli ultimi anni, configurandosi in tal modo come una sostanziale diserzione civica.

Europa sì quindi, ma Europa dei popoli, cioè Europa dell’autogoverno dal basso, territorio per territorio. In breve, Europa delle comunità federate. Le banche devono ridursi a strumento economico, socialmente trasparente e partecipato, non arma impropria di potere statale. Il peggio è ciò che c’è dietro le banche: una visione del mondo dove tutto ha un prezzo ma niente ha più valore; una logica che oggi inaridisce ogni ideale e in più dirige gli stili di vita verso l’insostenibilità dei consumi ed il contrasto tra cultura e natura.

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