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Interviste, lo stato dell’arte dell’indipendentismo veneto

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SanMarco25Aprile2di ENZO TRENTIN

La situazione dell’indipendentismo veneto, appare come certe opere d’arte: se le guardi da lontano si vedono meglio tutte le sue componenti. Ho ricontattato Roberto S., il giornalista veneto che vuole godersi serenamente la pensione e rimanere nell’anonimato. Trasferitosi a Barcellona quasi 30 anni fa, lo avevo già consultato in altre occasioni in merito all’indipendentismo catalano. Oramai siamo diventati amici. E come tali abbiamo avviato “quatro ciàcole” informali come si fa tra colleghi oramai “collocati a riposo”. Di seguito riporto una parte della discussione:

Enzo Trentin: Come vedi il panorama politico dell’indipendentismo veneto dal tuo “lontano” punto d’osservazione di Barcellona?

Roberto S.: L’indipendentismo veneto è solo apparentemente molto frastagliato. A mio modo di vedere esso si compone sostanzialmente di due gruppi. Al primo appartengono i politici “di mestiere”, al secondo tutti i cittadini che pur non impegnandosi attivamente in politica sono tuttavia disponibili a prendere in considerazione l’opzione di uno Stato indipendente veneto, o della restaurazione, riveduta ed aggiornata, della Repubblica del Leone.

ET: Vuoi spiegarmi meglio? 

RS: A far credito ai sondaggi – che ad ogni buon conto vanno valutati con estrema accortezza, poiché ogni sondaggio è spesso eterodiretto; ovvero chi lo commissiona propone certe domande per avere determinate risposte – oltre il 53% degli elettori veneti sarebbe favorevole all’indipendenza [Vedi qui]. E questo è comprensibile. L’Italia è un paese letteralmente incartato su se stesso; non si conosce nemmeno il numero esatto delle sue Leggi. Le riforme sono impossibili, la corruzione a livelli inconcepibili, il nepotismo imperante, il debito pubblico in costante crescita malgrado una tassazione persecutoria. Beninteso questo avviene anche in Spagna, ma non in eguale misura. Tuttavia chi commissiona tali sondaggi – prevalentemente i partiti politici tradizionali – cerca d’ispirarsi a Tomasi di Lampedusa (Don Giuseppe Tomasi, 12º Duca di Palma, 11º Principe di Lampedusa, Barone di Montechiaro e della Torretta, Grande di Spagna di prima Classe. Titoli acquisiti il 25 giugno 1934 alla morte del padre): vogliono sapere come rimpannucciarsi per continuare a fare ciò che hanno sempre fatto dando l’impressione d’esser cambiati. Di contro il “popolo” veneto – e non solo lui – non riceve proposte di soluzione ai problemi. Ho visto che tu insisti molto su questo tema. D’altro canto ci sono settori imprenditoriali, in Veneto, che sono orientati all’indipendenza di quest’area, ma ogni imprenditore è abituato a incanalare le proprie scelte in base a dati e previsioni che il mondo indipendentista non fornisce, o non lo fa in maniera soddisfacente. Insomma, per dirla con una terminologia commerciale, c’è una domanda, ma manca ancora un’offerta credibile. Tant’è che un convegno di Apindustria Vicenza ha concluso proprio con queste parole: «DELOCALIZZAZIONE O INDIPENDENZA? PRIMA DI TUTTO SERVONO LE RIFORME» [Vedi qui]

Dal lato dell’offerta ci sono una miriade di gruppi, movimenti e partiti politici che sproloquiano di cifre mirabolanti. Detto en passant: ho notato che il commentatore di un tuo recente articolo ha cercato di confutare alcune cifre sostenendo che con una riduzione delle tasse del 30%, 20% o 9% il Veneto avrebbe comunque un residuo fiscale. Questo ragionamento è insussistente e fuorviante, poiché parte da dati di gettito impositivo pregresso, e non tiene conto dell’elevato numero di chiusure di aziende, imprese, studi professionali e generiche partite IVA (stendiamo un velo pietoso di silenzio sulle centinaia di suicidi di imprenditori oppressi dalle tasse) in genere che difficilmente consentiranno drenaggi fiscali tali da far reggere quella tesi.

ET: Il fatto è che alla gente piace innamorarsi delle idee come delle persone. Ma l’amore vive di sogni. Di contro non esiste una teoria socio-politica perfetta in sé, e la convivenza con le persone è una dura realtà. 

RS: Il dato oggettivo è che questi sedicenti indipendentisti non producono progetti credibili. Ho letto che tu recentemente hai fatto notare come il Canale di Suez entro cinque anni raddoppierà la sua portata. Che i porti dell’alto Adriatico potrebbero accorciare i tempi di percorrenza delle merci provenienti dal Canale e diretti al centro Europa è un’evidenza che appare ad un semplice esame geografico. C’è qualcuno di questi soggetti che si candidano a “guidare” l’indipendenza che ha studiato come attrarre e soddisfare tali traffici? A me sembra, nessuno! E indirettamente ce lo conferma Massimo Malvestio il quale, nel 2012, ha raccolto in un libro dal titolo: «MALA GESTIO: PERCHÉ I VENETI STANNO TORNANDO POVERI» una serie di articoli che aveva pubblicato in precedenza su giornali cartacei e on line. Lascia che ti citi solo alcuni titoli di altrettanti capitoli e capirai da solo:

  1. Da dove veniamo.

1.1 Le buone vecchie regole dimenticate che hanno fatto crescere il Veneto.

1.2 Fare da soli per fare prima e fare di più.

  1. Italia indivisibile ma non una.

2.2 Solidarietà irresponsabile.

  1. Diventare poveri facendo grandi affari: edilizia, aeroporti, reti, autostrade, banche e fondazioni bancarie.

3.1 La svendita del territorio.

3.3 La sfida che il Comune di Refrontolo ha portato all’ENI.

3.5 Abbiamo (perso) tre banche.

3.6 El Paron. Storia di quel che può accadere ad una fondazione bancaria.

ET: sì capisco. Molti si attardano su concetti triti come “l’unione fa la forza”, ma la forza per fare cosa? La maggior parte dei sedicenti partiti indipendentisti è in fregola per partecipare alle elezioni regionali del prossima primavera. Ma anche se riusciranno ad eleggere qualche Consigliere, cosa della quale io dubito fortemente, cosa potranno mai fare costoro?

partiti_venetiRS: A scorrere la lista degli pseudo leader indipendentisti salta agli occhi una lista di persone avvezze all’arte del traghettatore partitico. Tutti hanno un preciso pedigree politico. Quasi tutti provengono dalla deludente esperienza della Lega Nord. Alcuni, prima della LN, avevano militato nell’estrema destra, altri sono trasmigrati in AN dopo la dipartita dalla Lega; altri ancora tra i post democristiani, o in altre formazioni. Ce ne sono altri ancora che partendo dalla Liga Veneta hanno creato e via via distrutto innumerevoli partitini. Entrati e usciti dalla Lega Nord come dalle porte girevoli di certi hotel di lusso sono sempre stati oculati curatori del proprio curriculum “rappresentativo” e niente più. Ci sono poi coloro che hanno iniziato autodefinendosi autonomisti e sono diventati federalisti (senza peraltro averne la cultura), oggi si dichiarano indipendentisti. Qualcuno periodicamente si autodefinisce “patriota”, e… dio li perdoni, ogni volta mi fanno venire in mente ciò che Samuel Johnson [senza dubbio il letterato più illustre nella storia inglese] diceva della patria: «l’ultimo rifugio delle canaglie». Ci sono, poi, gli schizofrenici [un sintomo di alterazione del pensiero. Il termine, coniato dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler nel 1908, deriva dal greco schizo (diviso) e phren (cervello), sta per ‘mente divisa’.] che dopo aver dichiarato pubblicamente l’indipendenza del Veneto, ora si scapicollano per farsi eleggere alla Regione veneto, ente di quello Stato dal quale hanno affermato di non voler più appartenere.

Tutti, comunque, in che cosa si sono distinti durante il loro mandato di pubblici amministratori? Abitando io a Barcellona forse mi sono perso qualcosa, ma non mi sembra che possano vantare gran che. Se è così, cosa ci garantisce che una volta eletti diverranno migliori o più efficace sarà la loro azione politica?

Se non sono capaci di prefigurare ora un progetto istituzionale, come faranno dopo che saranno invischiati nelle regole istituzionali dello Stato italiano?

Da ultimo, ma non ultimo, è oramai certo che avremo ben tre liste che si autodefiniscono indipendentiste. Tutti i loro pseudo leader contano di racimolare una fetta consistente di quelle “disponibilità all’indipendenza” rilevate dai sondaggi di cui sopra. La storia pregressa ci dice che gli esiti elettorali saranno comunque non determinanti. Insomma, l’impressione è che ancora una volta di “peones” dei movimenti e partitini indipendentisti lavoreranno gratis per l’arrampicata sociale (posto che ci sia) di pseudo leader chiacchieroni e inconcludenti sul piano della realizzazione di quelle nuove strutture governamentali che sono indispensabili. Del resto la fanfaluca rappresentata dall’argomentazione: cambiamo le istituzioni dal loro interno, non regge più. Non c’è solo l’ultra ventennale esperienza della LN, anche il M5S, malgrado la buona volontà dei propri eletti non riesce a modificare nulla dello stato fallimentare delle cose.

Alcuni, poi, sono ex parlamentari o ex consiglieri regionali; sproloquiano (tutti o quasi) contro i privilegi dei “rappresentanti”, ma non muovono un dito quando il «Coordinamento nazionale delle associazioni di consiglieri ed ex consiglieri regionali e di ex deputati delle assemblee regionali» che non si mantiene soltanto con le quote dei soci, ma pure con i contributi dei consigli regionali (quindi dei contribuenti), ha avviato una serie di ricorsi al grido «i vitalizi di lusso sono diritti acquisiti e non si toccano!», per evitare il taglio del 10% del vitalizio. (Tsz!) [Vedi qui].

Da non sottovalutare, anche, che una volta eletti sentono di appartenere alla “classe dirigente”, o per osmosi ne assumono i comportamenti. Ecco, allora, che eviteranno gli scontri frontali; che diverranno accondiscendenti con la maggioranza; che faranno opposizione di facciata e faranno della demagogia. Salvo venirci poi a dire che essendo in minoranza loro sono pressoché impotenti, etc.; accetteranno d’entrare in questa o quella Commissione, in questa o quella istituzione in rappresentanza di…; poi ci sono ragioni (come dire…?) compassionevoli, che suggeriscono di non contrapporsi troppo decisamente alla maggioranza, per trovare una residenza protetta al vecchietto di famiglia o del clan, per favorire fuori dal circuito delle normali prenotazioni una analisi o visita medico specialistica, o un intervento chirurgico. O per infilare dentro a questo o quell’Ente il figlio, il nipote, il parente, l’amico o trovare per essi un incarico “fiduciario”. La LN, nata per contrastare questo “tengo famiglia” ci ha poi sguazzato in maniera indecente. Insomma, si omologheranno. E se non lo faranno, la storia della prima LN, ed oggi del M5S, è lì ad insegnarci che verranno dileggiati, emarginati, resi inoffensivi dal sistema. Tutti questi candidati a diventare “classe dirigente” si sgolano a dichiarare le efficienze del sistema svizzero e della sua democrazia diretta. Hai ma visto qualcuno di questi politici organizzare una campagna massiva di informazione su come funziona la confederazione Svizzera? Io no! Non sarà perché a fare il politico in Svizzera non si diventa ricchi?

ET: Come tu sai io sono per la secessione, previa la proposta d’un nuovo progetto istituzionale. Ma anche qui si tende a “non disturbare il manovratore”. Si adottano quindi speculazioni semantiche tipo: autodeterminazione, sostituita con “diritto a decidere”; secessione concordata, ed altri artifici verbali. Ciò che vedo io è l’attività di alcuni pseudo leader volta a convincere i loro accoliti affinché lavorino per loro; parlino in loro favore o del loro (sin qui scarso) operato; li sostengano persino economicamente in qualche caso. Sproloquiano poi quotidianamente sulle esperienze scozzesi o catalane.

Io sono anche per la sostituzione della forma partito tradizionale, attraverso la nascita di «organizzazioni single issue» [per singola questione], in grado di riunire i propri aderenti su obiettivi specifici e destinate a sciogliersi una volta raggiunto lo scopo prefisso.

RS: Sì! Ho letto di questa teoria che, se non sbaglio, è stata concepita dal politologo russo  Moshei Ostrogorski nei primi anni del 1900. Gli iscritti, secondo Ostrogorski, sarebbero così  affrancati dall’esigenza di assicurare una fedeltà irrazionale ed eterna ai leader partitici; verrebbe meno l’oppressione di una struttura organizzativa votata alla conquista del potere, innanzitutto attraverso il ricorso alla corruzione ed al clientelismo. Avremmo soluzioni tecniche e ponderate – non politiche o ideologiche – su infiniti problemi, sui fatti del vivere in comunità, e questo non pregiudicherebbe quella sana ambizione di voler emergere nel contesto sociale, poiché i migliori esponenti delle «single issue» troverebbero comunque il modo di avere successo. E poi anche se Ostrogorski attribuiva alla sua proposta di leghe tematiche in sostituzione dei partiti permanenti un significato ideologico ed istituzionale del tutto peculiare, non si può sostenere che questa soluzione rappresentasse un’assoluta “invenzione” del pubblicista russo; infatti, la sua proposta scaturisce da un ambito problematico per più versi comune a quello della pubblicistica e degli studi che avevano affrontato sino ad allora il tema dei “rimedi” da apportare ai mali della democrazia.

Non dimentichiamo poi di osservare come l’influenza che Ostrogorski ha esercitato su Max Weber per l’elaborazione della sua teoria del partito politico. In tale prospettiva analitica anche Adhémar Esmein [autore di numerosi libri di testo sulla storia del diritto pubblico francese e il diritto costituzionale francese] veniva a cogliere aspetti decisivi del contributo ostrogorskiano, abitualmente passati sotto silenzio dalla critica del tempo. La sua attenzione, infatti, si concentrava non tanto sulla più evidente critica al partito politico ed alle sue degenerazioni, quanto sulla complessiva proposta istituzionale che Ostrogorski aveva posto in campo a sostegno della richiesta di sostituire i partiti permanenti con organizzazioni temporanee. Esmein riportava queste teorie dall’esclusivo ambito delle dottrine, nel quale avevano prevalentemente preso forma, a quello più concreto della pratica istituzionale, ricercando su tale terreno il loro significato e le forme di pragmatica esplicitazione.

Del resto le figure carismatiche che emergono nella storia, sono rare; esse, inoltre, agiscono per un breve periodo di tempo e, in genere, non riescono a istituzionalizzare il loro carisma.

Ai nostri giorni la leadership politica si svolge entro un contesto di istituzioni, sulla base di una relazione politica con un elettorato di massa, dove gli attori (rappresentanti e cittadini) si devono interfacciare costantemente. I rappresentanti fanno o propongono le Leggi; i cittadini le accettano o rifiutano, e quando il personale politico-burocratico non provvede adeguatamente, i cittadini devono avere tutto il diritto d’intervenire tempestivamente e direttamente. Quest’ultima azione è semplicisticamente definita: democrazia diretta. Svizzera docet!

ET: Concordo! In questo contesto sono chiaramente individuate le caratteristiche fondamentali della democrazia. La precondizione è un’attiva democratizzazione di massa. Le due condizioni di base sono che né i partiti né il parlamento risultano più in grado di produrre leadership. Il meccanismo centrale della produzione di leadership è costituito dall’elezione popolare diretta. La democrazia costituisce un’opzione ricca di opportunità indissolubilmente collegate con pericoli. Saranno le donne e gli uomini, con la loro partecipazione o con la loro astensione dalla politica, a decidere la qualità della democrazia in cui desiderano vivere.

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