di GILBERTO ONETO
Nell’estate del 1993 i boss mafiosi Leoluca Bagarella e Tullio Cannella avrebbero fondato il movimento secessionista “Sicilia Libera” per separare l’isola dall’Italia e formare un bello Stato mafioso in mezzo al Mediterraneo. Oggi lo stesso Bagarella con una memoria inviata alla Corte d’assise di Palermo smentisce i suoi afflati autonomistici di vent’anni fa sostenendo di non avere “mai coltivato idee separatiste o secessioniste” e di “essere sempre stato un fautore dell’unità nazionale”.
La cosa stupisce solo chi non conosce la storia e fa sorridere chi invece se la ricorda bene.
Le organizzazioni criminali non possono che essere graniticamente patriottiche proprio perché hanno contribuito in maniera determinante all’unità della (loro) patria e perché sono state fra i più importanti beneficiari della stessa.
Garibaldi è sbarcato in Sicilia grazie alla santa alleanza fra inglesi, massoni e mafiosi, è entrato a Palermo con l’aiuto dei picciotti, ha ripulito l’isola dai “reazionari” grazie all’azione determinante e truculenta dei tagliagole dell’onorata società, è entrato a Napoli in virtù di un accordo con la camorra. Questi servigi patriottici sono stati pagati con numerose prebende e – soprattutto – con lo “sdoganamento” dei sodalizi criminali e consentendo loro il libero accesso alle strutture amministrative e statali. Crispi ha governato con l’aiuto mafioso e Giolitti era detto “il ministro della malavita”. Nei primi cento anni di unità le mafie sono uscite dal loro ambito campagnolo e sono penetrate nelle città e nei palazzi del potere, si sono incistate nella burocrazia e nella politica meridionale e da lì hanno preso a condizionare il potere nazionale. Solo il regime fascista ha tentato di contrastarle, pur fra mille difficoltà e contraddizioni. Proprio per reazione antifascista la mafia ha collaborato in maniera determinante allo sbarco alleato in Sicilia e ha vissuto una breve stagione “indipendentista”, quando voleva trasformare l’isola nel 49° Stato americano e farla diventare lo snodo di tutti gli “affari” mediterranei. Non ce n’è stato bisogno: fatto fuori qualche ingenuo fascista padano, le porte dello Stato erano di nuovo spalancate. Un rapido accordo con il nuovo potere politico ha fatto dimenticare ogni velleità indipendentista e la mafia è tornata saldamente tricoloruta.
Il secondo dopoguerra ha favorito l’espansione verso nord delle organizzazioni criminali sempre più infiltrate nello Stato e da esso favorite con una serie di “agevolazioni”, come il confino dei mafiosi che è stato determinante nel creare una rete di interessi e organizzazioni anche in Padania.
Può darsi che all’inizio degli anni 90 il pericolo leghista abbia fatto ritornare di attualità il progetto separatista siciliano ma il subitaneo “scampato pericolo” ha dato nuova baldanza e vigore patriottico ai malavitosi.
Le dichiarazioni d’amore di Bagarella per l’Italia unita non sono che la conferma dell’ovvio. Stato e mafia sono ormai un corpo solo: fanno ridere le indagini sulle trattative che hanno coinvolto ministri e presidenti. Non erano trattative ma solo discussioni in famiglia.
Non mostra maggiore avvedutezza chi spera di risolvere i problemi d’Italia – malavita organizzata compresa – rilanciando una opzione di unità nazionale. Non si combatte il male accettandone le regole e utilizzandone le creature. L’Italia unita è questa e non può essere che così. Secessione.