Un emigrato veneto in Svizzera nella seconda metà dell”800 ha scritto: «La cosa più importante che ho imparato […] è che, per rigenerare un Paese, non bisogna fidarsi di una sola classe. C’è il pericolo di essere tagliati fuori, di finire come esuli anche nel proprio Paese…»
Queste parole ci sono saltate all’occhio insieme alla descrizione dei “reclutatori” stilata da Deliso Villa in «Storia Dimenticata» – Edizione a cura dell’Ente “Vicentini nel Mondo” (presso C.C.I.A.A. di Vicenza). Ne riportiamo alcuni brani che riteniamo interessanti per i nostri lettori, ma anche come premessa alla notizia che andremo a riportare e commentare successivamente, perché è la storia di milioni di persone costrette a vivere, anche oggi, tra soprusi e desolazione come esuli nella propria patria:
«Il Paese attraversa una difficile fase di assestamento. Dopo l’unificazione, infatti, tutto il risparmio è stato rastrellato per finanziare le strutture dello Stato: strade, ferrovie, scuole, l’Esercito, la Marina. Non ci sono più soldi per le altre cose pure importanti. Bisogna riconoscere che in questo sforzo immane lo Stato non dimentica il Mezzogiorno: il 50% delle somme utilizzate (e spesso una percentuale maggiore) è destinato al Sud. Tuttavia l’agricoltura meridionale non rinuncia all’antica anima feudale. I padroni non hanno alcuna voglia di cambiare; i sorveglianti di turno si limitano a sfruttare i contadini senza permettere loro di vivere. L’emigrazione appare per molti l’unica soluzione possibile, anche se arrivano da lontano racconti inquietanti.
«C’è, per esempio, la storia di un bastimento (siamo nell’inverno 1873) carico di contadini abruzzesi diretti a Buenos Aires, dove li attendono parenti ed amici, e che finisce invece a New York. O quell’altra che parla di alcune centinaia di emigranti che avevano venduto ogni cosa e avevano consegnato i soldi a un agente di emigrazione e avevano raggiunto faticosamente il porto di Napoli. Lì avevano scoperto di essere stati truffati ed erano stati rispediti a casa, tra molte lacrime e imprecazioni, a spese dello Stato.
«Sull’emigrazione, comunque, non ci sono ancora cifre precise, ma si parla oramai di 100.000 partenze all’anno. La quota maggiore si dirige, con molti viaggi di andata e ritorno, verso i Paesi europei. […] “Che bisogno c’è – osserva il Vescovo Giovanni Battista Scalabrini, (che darà vista all’Opera Pia Scalabrini per l’assistenza agli emigranti. Ndr) – di dare agli arruolatori una patente legale? Perché dare un’approvazione governativa a questi impresari di braccia umane, preoccupati solo di fare soldi alle spalle dei poveri!”. Mons. Scalabrini, a conferma della sua tesi, elenca fatti e testimonianze. È la stagione dei grandi progetti. Il governo brasiliano vuole importare dall’Europa 100.000 emigrati all’anno per 5 anni, offrendo viaggio gratuito e aiuti vari. L’Argentina, a sua volta, chiede 140.000 emigrati, 40.000 l’Uruguay, 60.000 il Perù, oltre al Messico e agli Stati dell’America Centrale. […]
«Fino all’irrompere della vera e propria emigrazione di massa (vale a dire verso il 1880) il flusso maggiore è dato dunque dall’emigrazione temporanea. Essa ha origini antiche, coinvolge in modo particolare le provincie di Bergamo, Brescia, Belluno, l’altopiano di Asiago, la Carnia e il Trentino. […] Ci sono voci che chiedono di spalancare le porte. L’emigrazione è oramai un fatto necessario; dovrebbe essere potenziata, perché dalle comunità italiane all’estero possono nascere nuove correnti di commercio. Ma mentre costoro chiedono l’abbandono della politica restrittiva portata avanti fino allora dal Governo, gli agrari del Sud reclamano per l’emigrazione freni ancora più severi. I padroni della terra hanno una sola preoccupazione: i contadini che partono lasciano dei vuoti che è possibile colmare solo aumentando i salari. E questo non lo vogliono accettare. Meglio costringere la gente a rimanere sul posto.
«I padroni delle terre hanno i loro uomini in Parlamento; non è difficile per loro imporre soluzioni comode, attribuendo ogni colpa ai reclutatori, che cominciano proprio allora a percorrere la Penisola in cerca di lavoratori e di famiglie da avviare verso le Americhe. Sono soprattutto l’Argentina e il Brasile, in quegli anni, che impostano grossi piani di colonizzazione e bussano alle porte dell’Italia. Nel 1873 il Ministro Lanza, pressato dall’opinione pubblica, emana una nuova circolare per disciplinare il fenomeno degli espatri. È ancora una volta una circolare restrittiva: vi si sente la mano pesante degli agrari. Ancora una volta si fa appello ai Prefetti perché scoraggino l’emigrazione, facendo conoscere al pubblico, in tutta la loro crudezza, le esperienze terribili alle quali vanno incontro spesso coloro che si imbarcano. La conseguenza è che si intensifica l’emigrazione clandestina. Il Governo da una parte sconsiglia, ammonisce, annuncia pene più gravi per i reclutatori; dall’altra offre agli emigranti commiserazione per una classe tanto sventurata di cittadini. Niente di più.
«La rete degli agenti di emigrazione raggiunge oramai tutta la Penisola. “Usurai, preti, sindaci, notai – scrive in proposito Giustino Fortunato – trovano in questo mestiere un nuovo modo di applicare la consueta arte del sensale, che la piccola borghesia meridionale era solita esercitare su qualunque operazione economica si compisse sopra le masse contadine…”. Succede così che gli emigranti vengano ceduti dagli arruolatori alle Compagnie di navigazione, che poi li fanno viaggiare a fantasia. Succede pure che i mezzani si trasformino tranquillamente in usurai. Dai reclutatori (siamo a Bari nel 1874) gli emigranti ricevono in prestito 100 ducati in lire di carta. Dovranno restituirne 150 in oro. L’operazione è fatta per gruppi di dieci persone, ognuna delle quali è responsabile per tutto il gruppo. Se qualcuno muore durante la traversata o dopo per malattie infettive, quelli che si salvano, anche se è uno solo, devono pagare per tutti. Se spediscono i risparmi a casa, vengono sequestrati alla posta. Eppure non mancano esempi che avrebbero potuto suggerire strade diverse per vincere il terribile flagello. Ad esempio nella provincia di Como l’antica abitudine di andare per lavoro nella vicina Svizzera era stata eliminata sviluppando sul posto nuove industrie e aumentando i salari degli operai.»
La fuga all’estero degli italiani per lavoro continua. Delfina Licata, curatrice del “Rapporto Migrantes 2014”, si è soffermata su alcune cifre del panorama attuale: sono 4.482.115 i cittadini italiani residenti all’estero iscritti all’AIRE al 1° gennaio del 2014; l’aumento in valore assoluto rispetto al 2013 è di quasi 141 mila iscrizioni, il 3,1% nell’ultimo anno. La maggior parte delle iscrizioni sono per espatrio (quasi 2,4 milioni) e per nascita (più di 1,7 milioni). Il 52,1% degli italiani iscritti all’AIRE è di origine meridionale – più di 1,5 milioni del Sud e circa 800 mila delle Isole – mentre il 32,6% (quasi 1,5 milioni) è partito dalle regioni del Nord. Quasi 700 mila, infine, coloro che hanno dichiarato di essere originari di una regione del Centro Italia. L’Argentina è il primo paese di residenza seguito da Germania, Svizzera, Francia e Brasile. Nel corso del 2013 si sono trasferiti all’estero 94.126 italiani – nel 2012 sono stati 78.941 – con un saldo positivo di oltre 15 mila partenze. Dal 2012 al 2013 si registra una crescita generale delle migrazioni del +19,2%, un trend che non sembra destinato a fermarsi ma che anzi appare di gran lunga sottodimensionato rispetto alla reale consistenza delle partenze che in questo momento caratterizzano l’Italia.
Di converso l’inchiesta che passa sotto il titolo di “Mafia-Capitale” c’informa [VEDI QUI] che per la “cupola” di Roma l’emergenza immigrati è una miniera d’oro: i fondi per i centri d’accoglienza sono un piatto ricco e il sodalizio criminale ipotizzato dagli inquirenti fa in modo che parte di questi finanziamenti finisca nelle tasche delle cooperative amiche. Gli inquirenti lo chiamano “Sistema Odevaine“: «La gestione dell’emergenza immigrati è stato ulteriore terreno, istituzionale ed economico, nel quale il gruppo riconducibile a Buzzi si è insinuato con metodo eminentemente corruttivo – si legge nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari firmata dal Gip Flavia Costantini – alterando per un verso i processi decisionali dei decisori pubblici, per altro verso i meccanismi fisiologici dell’allocazione delle risorse economiche gestite dalla P.A.».
Insomma sembra ci siano dei neo “reclutatori” che, ancora una volta, agiscono all’ombra delle leggi dello Stato italiano. È necessario riflettere su questa questione, come pure spaziare la speculazione intellettuale sulla “bontà” di operazioni pseudo umanitarie come la “Mare Nostrum” oggi sostituita da quella europea nota come “Triton”. Attenzione poi va data al sovra popolamento delle carceri italiane, per circa il 50% composto da extra-comunitari. Ed in aggiunta riflettere sulla crescente criminalità che dalle strade si è estesa quasi quotidianamente anche a veri e propri assalti alle abitazioni di privati cittadini. Mentre manifestazioni di legittima difesa divengono sempre più rischiose e foriere di guai a non finire. Si pensi al caso del benzinaio di Ponte di Nanto (VI) di cui si sono occupate anche le pagine di «MiglioVerde», formalmente indagato per eccesso di difesa. Incredibile, infine, l’iniziativa dei famigliari del Rom ucciso nell’espletamento d’una rapina a mano armata, che hanno denunciato il benzinaio per lesioni e minacce.
Per parte nostra vorremmo proporre qualche riflessione. Quelli che sottomettono gli esseri umani con la costrizione e la crudeltà li privano simultaneamente di due vitali nutrimenti, la libertà e l’ubbidienza; perché questi individui non sono più in grado di accordare il loro consenso interiore all’autorità che subiscono. Quelli che favoriscono uno stato di cose dove l’esca del guadagno sia il movente principale tolgono agli uomini l’ubbidienza; perché il consenso, che ne è il principio, non è cosa che si possa vendere. Mille indizi dimostrano che gli uomini della nostra epoca erano da lungo tempo affamati di ubbidienza. Ma ci si è approfittati di loro; e hanno avuto la schiavitù.
L’iniziativa e la responsabilità, il senso di essere utili e perfino indispensabili sono bisogni vitali dell’anima umana. Una completa privazione di tutto questo si ha nel caso del disoccupato, anche quando riceve sovvenzioni che gli consentono di mangiare, di vestirsi, di pagare l’affitto. Egli non rappresenta nulla nella vita economica e il certificato elettorale che costituisce la sua parte nella vita politica non ha per lui alcun senso. Il manovale si trova in una situazione appena migliore.
Per soddisfare questo bisogno occorre che un uomo prenda spesso decisioni su problemi, grandi o piccoli, i cui interessi gli sono estranei, ma verso i quali si sente impegnato. Occorre anche uno sforzo continuo. E infine che possa appropriarsi col pensiero l’intera opera della collettività di cui fa parte, compresi i settori sui quali non avrà mai né decisioni da prendere, né pareri da dare. Per questo bisogna fargliela conoscere, chiedergli il suo interessamento, rendergliene sensibili il valore, l’utilità e, se è il caso, la grandezza; e fargli chiaramente comprendere la parte che egli ha.
Ogni collettività, di qualsiasi specie essa sia, che non soddisfi queste esigenze dei suoi membri è guasta e dev’essere trasformata. Poiché «La dove i cittadini si manifestano in generale incapaci di affermare la loro personalità, i governanti li dirigono a modo loro come fossero marionette o li considerano come strumenti a loro disposizione.» (1)
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NOTE:
(1) Moisei Ostrogorski, “La democrazia ed i partiti politici”, Cap XII, par. VIII.