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Il fisco impone regole truffa: imponibili aumentati dal 49 fino al 70%

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tassa-in-culo-300x236di REDAZIONE

Il Centrostudi Anticrisi della Federcontribuenti dimostra come le regole per il calcolo delle imposte aumenti l’imponibile fino al 49% in caso di impresa individuale e fino al 70% ad un libero professionista rispetto al reddito effettivo. Un piccolo imprenditore pagherà fino a 4.500 euro in più in un anno e un libero professionista fino a 3.000 euro. In entrambe le attività l’incremento dei contributi previdenziali hanno la stessa percentuale. Il fisco tassa anche le spese di lavoro.

Esempio di impresa individuale con fatturato di 100.000 euro e con un dipendente a libro paga.

Calcolo del costo effettivo per la produzione di lavoro con guadagno al netto delle imposte parziali.

Locazione laboratorio di 800 euro al mese: 9.600 all’anno; utenze 200 euro al mese: 2.400 euro annue; costo del dipendente per un totale di 30.000 euro; autovettura di servizio tra acquisto, o leasing, bollo, assicurazione e carburante: 8.000 euro l’anno e solo 1.600 euro sono deducibili. Il materiale acquisito per svolgere l’attività 15.000 euro l’anno, interessi e spese bancarie pagate per far fronte agli investimenti dell’attività sono pari a circa 250 euro al mese. Costo totale annuo pari a euro 61.663,80.

Da questo quadro emerge che all’imprenditore resta un reddito (ancora al lordo di imposte e contributi) di 31.200 euro annui. Qui l’inganno fiscale. Il reddito dichiarato, applicando quanto richiesto dall’Erario, sarà pari a 38.336,20 per l’Irpef e ben 69.336,20 per l’Irap, che producono un importo di imposte (irpef e addizionali) pari ad euro 13.635. Se il fisco avesse consentito di dichiarare il reddito effettivo, con le stesse regole, l’importo delle imposte si sarebbe ridotto ad euro 9.133 euro, quindi il fisco ha aumentato le imposte effettive del 49%!

L’imprenditore guadagnerà al netto delle imposte sulla propria attività 17.565 euro dalle quali andranno decurtate le spese del commercialista e le imposte dirette e indirette come capo famiglia partendo da un utile di 100 mila euro.

Esempio di libero professionista con un fatturato di 40.000 euro.

Tra le spese per svolgere l’attività ha un ufficio che costa 600 euro al mese di affitto, utenze per 200 euro al mese, software per programmi tecnici 1.000 euro l’anno, trasferte 200 euro al mese e si sposta con un’autovettura di sua proprietà di 20.000 euro che costa 250 euro al mese di carburante e spende 800 euro l’anno di assicurazione. Da questo quadro emerge che al professionista resta un reddito (ancora al lordo di imposte e contributi) di 18.200 euro annui.

Il reddito dichiarato, applicando quanto richiesto dall’Erario, sarà pari a 26.936,20, che producono un importo di imposte (irpef e addizionali) pari ad euro 6.602.

In buona sostanza il professionista è tassato per 6.602,00 euro su 18.200,00 effettivamente guadagnati.

Se il fisco avesse consentito di dichiarare il reddito effettivo, con le stesse regole l’importo delle imposte si sarebbe ridotto ad euro 3.875, quindi il fisco con le sue regole ha aumentato le imposte effettive del 70%!

Il libero professionista al netto delle imposte avrà un guadagno pari a euro 20 mila circa a fronte di un ricavo di 40 mila euro. Anche qui si deve tener conto che il giadagno al netto sarà decurtato da altre imposte, dirette e non per la gestione della vita privata o familiare.

”Con questo pallottoliere abbiamo voluto dimostrare l’accanimento fiscale effettivo del governo ricordando che abbiamo escluso dalla somma delle imposte altre tasse come la spazzatura. La domanda resta la stessa: tutto questo è legittimo, è tollerabile, è equo?”. Totò diceva, ”è la somma che fa il totale”, significa che nella vita contabile di un contribuente dobbiamo tener conto dell’intero carico fiscale che gli toglie denaro sia come lavoratore sia come cittadino.

Comunicato Stampa Federcontribuenti

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1 COMMENT

  1. Non dimentichiamoci la truffa esistente da anni, ci sono costi aziendali altrove deducibili ed in Italia solo parzialmente, p.e. auto, cellulari, telefoni, ecc. Quindi in un confronto internazionale limitato alle aliquote la fiscalità italiana sulle imprese magari sembra in linea o poco superiore, ma in realtà essendoci molti costi non deducibili l’imponibile è in realtà superiore. A questo se si aggiungono imposte altrove non esistenti come l’Irap o l’adeguamento agli studi di settore, le varie marche da bollo, imposte locali, ecc alla fine si vede che l’unico confronto è sul versato in fiscalità della singola azienda. Non si può neanche fare il confronto sulla pressione fiscale, essendo il PIl italiano gonfiato con il sommerso, il numeratore costituito dall’incassato dallo Stato e non dal preteso o dal rateizzato, dall’evasione fiscale enormemente diversa geograficamente e settorialmente o il fatto che le imposte locali o previdenziali vengano lasciate fuori.
    Alla fine rimane quel dato mostruoso: una azienda italiana paga il 70% dell’utile in tasse.

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