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L’indipendentismo iniziò a vincere quando smise di fare l’alchimista

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sardi nuovodi REDAZIONE

Si, credo fosse il 2015, o giù di lì. Dovete sapere che sono sempre stato un appassionato d’arte, e un giorno mi chiesero di descrivere la situazione dell’indipendentismo con un quadro. Quale artista avrebbe potuto rappresentare al meglio la situazione sarda? Pensai immediatamente a Brueghel, celebre illustratore fiammingo della stoltezza umana. Nel 1558 realizzò “L’alchimista”: in quella stampa il protagonista appariva di spalle, intento ad arrovellarsi con la sua non-scienza, nella vana ricerca della formula perfetta per tramutare i metalli in oro. Tutt’attorno trionfava la miseria più nera. La moglie, collocata al centro della raffigurazione, nell’eloquente atto di mostrare le tasche vuote, mentre i figli giocavano ignari negli angusti spazi di una dispensa vuota. Ma c’era il colpo di scena! La finestra che dava sulla strada mostrava il loro futuro. Il sedicente alchimista, con la famiglia al seguito, finiva a mendicare assistenza in uno dei vari ospizi caritatevoli dell’epoca.

Pensai a quell’opera come alla miglior rappresentazione dell’indipendentismo sardo, alchimista di scissioni e di improbabili trovate teoriche che avrebbero dovuto condurre gli elettori ai loro piedi. Infatti il popolo non era dello stesso avviso, i livelli di povertà erano drammaticamente cresciuti e alchimistal’assistenzialismo imperava persino nei deboli ceti produttivi. In qualsiasi convegno delle associazioni di categoria non mancava una questua verso le istituzioni che avrebbero dovuto sovvenzionare le loro attività.
A quell’epoca gli intellettuali avevano smarrito qualsiasi contatto con la realtà, perché al posto di denunciare lo spregiudicato utilizzo della spesa pubblica locale come strumento di preservazione del potere politico, la sbornia ideologica da cui erano afflitti li spingeva verso una sterile caccia alle streghe nei confronti dei vertici finanziari internazionali.

E l’indipendentismo? Nel febbraio di quell’anno la stampa diede notizia di probabili infiltrazioni camorristiche nel miliardario appalto della sanità nuorese. La nostra dozzina di partiti autonomistici e indipendentistici non spese neppure mezza riga di comunicato. Per loro, i temi della trasparenza, della corruzione, dei legami politico-clientelari, parevano non avere alcuna importanza. Ma non si trattava di una delle dinamiche che strutturava il voto dei partiti italiani? Lo ripetei fino alla nausea. Pochi mesi prima la Corte dei Conti certificò il coinvolgimento di importanti esponenti della maggioranza che guidava la Regione nello sperpero di denaro pubblico: il caso Hydrocontrol, e anche allora silenzio assoluto. I dirigenti dei nostri movimenti preferivano occuparsi d’altro, perché mettere in difficoltà gli avversari? Perché turbare chi si faceva gli affari propri? O perché sostenere una cultura civica capace di responsabilizzare la nostra classe politica?
Forse non c’era tempo. Troppo pochi per occuparsi di tutto. Ma se non avessimo perso un decennio a parlare della vera bandiera dei sardi, di quale santone adorare o di quale strategia portare avanti, forse avremmo avuto meno movimenti ma più robusti, capaci di trattare ed estendere la sfera degli interessi che riguardavano il Popolo Sardo.
Intendiamoci, non dico che la nostra catasta di partitini dovesse avere un’opinione su tutto, ma credo che nessuno ne abbia visto alcuno con le centinaia di cittadini che in quei mesi scesero in piazza contro varie amministrazioni locali. Da Siniscola a Villacidro i temi erano alquanto definiti, perché l’incrocio della contribuzione statale con quella relativa ai servizi idrici, energetici e per la raccolta differenziata dei rifiuti, spinse parecchia gente al suicidio. L’indipendentismo era chiaramente assente, totalmente inesistente o magari solo indifferente ai problemi delle partite IVA, di cui solo occasionalmente si era occupato. Come se l’agitare il feticcio di un’agenzia sarda delle entrate avrebbe risolto quello stato generale di crisi, di mancanza di competitività e di costante emigrazione a cui eravamo sottoposti.
Prendete pure il problema dei trasporti. Fallita l’esperienza della flotta sarda, era calato il sipario. Idee finite. Aziende come Tirrenia o Meridiana erano svanite dall’agenda indipendentista, non i problemi che le riguardavano.
Non posso neppure affermare che i nostri numerosi movimenti fossero particolarmente attivi sul piano culturale. Le loro elaborazioni teoriche apparivano desuete, e tematiche come quelle della tutela della lingua e della cultura sarda parevano più un corredo estetico da esporre all’occasione che non un organico e ragionato tassello sul modello di politica che s’intendeva promuovere.

Ecco, diciamo che quei dirigenti indipendentisti non erano il massimo che la Sardegna potesse augurarsi.
L’aspetto più grave riguardò la faccenda della legge elettorale regionale. Finite le elezioni del 2014, gli indipendentisti scordarono di essere rimasti alla porta a causa di una legge antidemocratica, e non venne intrapresa alcuna battaglia, né nei confronti della pubblica opinione, né nei confronti del Consiglio Regionale, e men che meno sul piano legale. I nostri alchimisti parevano drizzare le antenne solo al sentir nominare il tema delle servitù militari o delle scorie nucleari. Temi importanti e da non abbandonare, ma che non erano sicuramente in cima all’agenda di chi serrava la sua attività, di chi perdeva il lavoro, di chi faceva i bagagli, e di chi ingrossava le fila di quanti si accalcavano al citofono di qualche politico per avere qualcosa con cui tirare a campare.

E’ dura ammetterlo, ma a quel tempo c’erano solo due modi di fare politica: il primo era quello di iniziare a denunciare questo stato di cose, ma agli svogliati indipendentisti non interessava. D’altronde c’era persino chi giustificava quei cadaveri ambulanti parlando di pluralismo, come se l’esistenza di varie sigle avesse una qualche finalità politica deputata a rappresentare precise fette di elettorato. Il secondo era quello di unirsi al club degli sperperatori di denaro pubblico, come i sovranisti, che nel volgere di pochi mesi divennero i più accesi sostenitori della dipendenza. Pensiamo alla curiosa filosofia del Partito dei Sardi, che da un lato tuonava contro un editore per i suoi affari nell’edilizia, e dall’altro faceva spesare ai cittadini dei carrozzoni pubblici in cui dei dipendenti timbravano il cartellino per poi andarsene a spasso. Come se i mattoni fossero più sudici del peculato che si agitava dentro enti di cui avremmo fatto volentieri a meno. Fortunatamente vari sindaci compresero che era tempo di opporsi anche al centralismo regionale, spingendo così sul decentramento di alcuni servizi.

Eh si, l’indipendentismo iniziò a vincere quando smise di fare l’alchimista, perché abbandonò il proprio edonismo a favore della famiglia che credeva di difendere. Ma questa è acqua passata…

di Adriano Bomboi – TRATTO DA QUI

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