di ALESSANDRO MORANDINI
L’indipendenza tra movimentisti ed istituzionalisti
Negli anni 90 la Lega Nord è stata, prima che un partito, l’esito di un grande movimento per l’indipendenza dei popoli, il più grande d’Europa.
Oggi la Lega Nord e molte altre organizzazioni indipendentiste si sono istituzionalizzate; le critiche che alcuni indipendentisti avanzano verso la Lega Nord e verso altre organizzazioni venete e lombarde sono il frutto della delusione, del rammarico o della rabbia di chi ancora immagina che attraverso un movimento di grandi dimensioni si possa raggiungere l’indipendenza della Padania o di una singola regione.
Chi ha ragione? I movimentisti, autentici interpreti di un profondo desiderio indipendentista, o le organizzazioni istituzionalizzate, che hanno accettato di stare alle regole dello stato italiano? Non c’è qualcuno che ha ragione. In altre occasioni ho tentato di spiegare che senza l’azione dei primi, le seconde hanno meno potere (anche se i capi dei partiti tendono a pensare il contrario). Senza l’azione tonificante, distruttiva e rinnovatrice dei movimenti, le istituzioni tendono a ricalibrare i loro scopi, a riadattarli, a renderli utili unicamente alla loro sopravvivenza. Le ragioni dell’organizzazione prendono il sopravvento sulle ragioni del risultato ideale. Più passa il tempo e più le persone meno autenticamente motivate accumulano importanti quote di potere, anche nel caso in cui i leader conservino le motivazioni iniziali.
D’altro canto è impossibile che un movimento possa raggiungere l’indipendenza di un territorio. Più il movimento è grande più, prima o poi, avrà bisogno di organizzarsi. In ogni movimento politico gli individui esprimono istanze generali ed identiche; per raggiungere i propositi comuni presto si accorgono che devono combattere contro i nemici che si sentono minacciati dalle loro proposte di rinnovamento e perciò devono organizzarsi, reclutare più persone e normarne i comportamenti. Intanto chi desidera conservare i propri privilegi non su ferma a guardare gli esiti dell’entusiasmo movimentista; reagisce.
A che punto siamo?
Penso che oggi la crisi delle organizzazioni indipendentiste padane, venete, lombarde sia conseguenza della mancanza di un movimento rinnovatore (ovviamente il mio giudizio sullo stato dell’istituzione degli indipendentismi padani è critico perché misuro il successo con la realizzazione dell’indipendenza delle regioni padane dallo stato italiano, non con il successo elettorale o con i successi negoziali di una organizzazione rispetto alle altre).
Un movimento, però, non promuove convegni o cose di questo tipo, ma semplici momenti di incontro; non organizza assemblee, ma meeting durante i quali le persone riconoscono il reciproco entusiasmo e le motivazioni autentiche ed inventano azioni decentralizzate. I movimenti non hanno bisogno di organizzazioni rigide ma solo di coordinamenti, perché la loro caratteristica non è quella di combattere un nemico, di mediare, negoziare; la loro caratteristica è quella di dare speranza, energia, razionalità; indicare nuovamente gli ostacoli che si erano persi di vista e che, non essendo stati superati, appaiono insormontabili.
Oggi, in Lombardia e in Veneto, alcune organizzazioni pensano di essere movimenti, ma non lo sono. Non cambiano nulla, cercano solamente di contribuire o partecipare del potere che le istituzioni private padane e le istituzioni pubbliche italiane hanno. Spesso queste organizzazioni hanno bisogno di razionalizzare, a posteriori, i loro scarsi risultati ed ingigantirne la portata.
Il meccanismo della razionalizzazione
Il meccanismo della razionalizzazione, a differenza del wishful thinking e dell’autoinganno, è sempre successivo ad un comportamento. Funziona così: se ho la necessità di sostenere una credenza che rischierebbe di essere falsificata da prove contrarie, devo a posteriori giustificare il comportamento, mio o degli altri, che da quella credenza dipende. Poiché devo avere una buona ragione per fare ciò che ho fatto, a posteriori costruisco ragionamenti ad hoc.
Attualmente non pochi militanti e dirigenti di Lega ed altre organizzazioni indipendentiste sono interessati da questo meccanismo. Essi conservano la credenza, profonda ma non razionale, ovvero non disposta all’esame di realtà, che l’organizzazione nella quale militano è indispensabile per raggiungere l’indipendenza. E’ questa necessità che li costringe a razionalizzare ogni decisione presa ed ogni azione promossa dal partito.
Un effetto diretto del processo di razionalizzazione è quello di aumentare il valore dei comportamenti rispetto allo scopo. Un effetto indiretto è, quindi, quello di allontanare o addirittura ostacolare il raggiungimento dello scopo stesso, ovvero di non riuscire a valutare correttamente le azioni che altri soggetti intraprendono.
Il meccanismo della razionalizzazione tende ad interessare i militanti di ogni partito, perché propedeutico alla conservazione dell’organizzazione quindi alla soddisfazione del desiderio prevalente del militante.
Un esempio
Ecco un tipico esempio. Sintetizzo in poche righe il contenuto di un comizio di un esponente leghista; comizio avvenuto durante un convegno che era stato qualificato come laboratorio politico. “E’ un dovere morale disobbedire allo stato italiano, uno stato che rapina la parte più produttiva della società italiana. La Lega Nord lo dice da anni, ma purtroppo rileviamo che anche nel Nord dell’Italia le persone non accolgono come si dovrebbe questa nostra proposta. I popoli padani sono ancora troppo mansueti ed inclini a farsi rapinare da Roma ladrona. Noi della Lega abbiamo avanzato una proposta sull’incremento delle autonomie alle regioni del nord, ma da Roma hanno risposto picche. Così domenica pomeriggio faremo una manifestazione per sostenere questa nostra proposta. Purtroppo raggiungere l’indipendenza non è facile, bisogna fare una guerra, ma noi siamo determinati ad ottenere l’indipendenza usando le vie democratiche, e sicuramente un giorno l’indipendenza arriverà, perché lo stato italiano è sull’orlo del fallimento”.
L’esponente leghista deve continuare a credere che la Lega è un formidabile strumento di liberazione, indipendentemente dai risultati che produce e da come è evoluta nel corso del tempo. Ammette che la disobbedienza è un imperativo morale, forse per rassicurare se stesso (se è in buona fede) ed i militanti. Poi, per ridurre la dissonanza tra credenza, comportamenti e dati di fatto, riconduce l’assenza di lotta all’indisponibilità del popolo, alla sua timidezza, al fatto di non votare in massa per la Lega Nord. L’esponente leghista ha capovolto, cioè, la relazione tra sostegno popolare, disposizione alla lotta ed istituzione indipendentista.
(4 – continua)