“Draghi ha ricordato che la politica monetaria può favorire la ripresa ciclica, ma non una crescita strutturale, che solo le riforme possono garantire”. (ilsole24ore.com). Se “ripresa ciclica” si riferisce a “bolla”, sul primo punto Draghi ha ragione. Tuttavia egli ha tralasciato di ricordare un paio di cose.
La prima è che le distorsioni nella struttura produttiva create dalla “politica monetaria” (cioè dall’inflazione monetaria) allontanano e impediscono la crescita strutturale, cioè lavorano contro di essa. Questa è una cosa molto diversa dal “non poterla favorire”. La manipolazione monetaria e del credito non è neutra rispetto alla “crescita strutturale”. Tale manipolazione produce necessariamente, in primo luogo attraverso un tasso d’interesse artificialmente basso (e quindi segnali sbagliati agli agenti economici), un orientamento della struttura produttiva in una direzione diversa da quella dei beni e servizi maggiormente richiesti dal mercato. Le crisi cicliche e (quando si continua a confondere il male -l’interventismo, a partire da quello monetario- con la cura) le depressioni non sono altro che il tentativo del sistema di auto-curarsi dal male, cioè di ripulirsi da questi malinvestments prodotti dall’interventismo.
Le parole di Draghi vogliono dare l’immagine di una situazione in cui la BCE con l’inflazione monetaria ha costruito la metà del ponte chiamato “crescita strutturale”, la seconda metà di quel ponte dovendo essere costruita dal potere politico con le “riforme”. In realtà quel ponte è sempre costruito spontaneamente dal mercato e tanto la BCE da una parte (con la manipolazione monetaria e del credito) quanto il potere politico dall’altra (con la regolamentazione e la tassazione) non fanno altro (e non possono fare altro) che continuare a distruggerlo.
In secondo luogo, Draghi si scorda di dire che le uniche “riforme” che potrebbero portare su un percorso di crescita strutturale e sostenibile sono quelle di ripristino del libero mercato. In altre parole, queste riforme sono quelle che, come prima cosa, porterebbero a un’immediata abolizione di ogni banca centrale, del corso forzoso e della discriminazione fiscale (p. es. della progressività fiscale, ma non solo): tutte cose che egli non solo vorrebbe mantenere ma consolidare, naturalmente.
La discriminazione fiscale è quella che consente agli stati di sottrarre più denaro a chi ne ha o ne guadagna di più col pretesto di una maggiore “equità” di posizione materiale. E’ sempre bene ricordare che questa “equità”, a cui Draghi ha fatto riferimento in un altro passaggio dello stesso discorso, implica necessariamente una disuguaglianza davanti alla Legge intesa come principio, cioè come regola generale e negativa di comportamento individuale che deve valere per tutti (stato per primo, ove ci fosse) allo stesso modo. Uguaglianza davanti alla Legge e uguaglianza di posizione materiale ottenuta attraverso misure coercitive sono infatti logicamente incompatibili fra loro. La seconda può essere perseguita solo a scapito della prima e viceversa: date le infinite differenze fra gli individui, una maggiore “equità” di posizione materiale fra di essi può essere ottenuta solo trattandoli in modo diverso, p. es. dando solo ad alcuni di essi dei “diritti” sulla proprietà di altre persone. Non deve sorprendere che un banchiere centrale difenda l’“equità” di posizione materiale, cioè la redistribuzione coercitiva delle risorse: ciò che la rende possibile è la stessa disuguaglianza legale (cioè la stessa violazione legale dell’uguaglianza davanti alla Legge), e quindi in ultima istanza la stessa idea di “legge”, che rende possibile l’esistenza della banca centrale e del suo monopolio legale di stampa di denaro fiat a corso forzoso, cioè che rende possibile la manipolazione monetaria e del credito.
Le “riforme” necessarie per tornare alla crescita strutturale sono quindi quelle necessarie per passare da una società totalitaria come lo stato moderno, a una libera. Queste riforme non possono logicamente avvenire all’interno dell’idea di “legge” che ha prodotto ciò che vuole essere riformato, cioè all’interno del positivismo giuridico (della “legge” intesa come strumento di potere politico, come provvedimento particolare, come decisione arbitraria e legalmente corretta dell’autorità): ciò è tecnicamente impossibile. Che avvengano in forma gradualistica o meno, e che piaccia o meno a coloro che si ritengono immuni dall’ideologia (come se il positivismo giuridico non fosse un’ideologia) e che hanno poca pazienza per le chiacchiere filosofiche, queste riforme devono necessariamente avvenire all’interno dell’idea astratta di Legge intesa come limite non arbitrario al potere politico. Solo questa idea di Legge, che la si intenda in senso giusnaturalistico o (secondo me più correttamente) come ordine spontaneo, è compatibile col libero mercato, il quale non può esistere senza di essa.
In altre parole, oggi le riforme necessarie per avere crescita strutturale richiedono necessariamente l’abolizione della “democrazia” totalitaria, cioè di quel sistema sociale collettivista in cui la “legge” è un provvedimento deciso da una maggioranza e può concedere speciali privilegi a (o prevedere maggiore coercizione su) particolari soggetti o gruppi arbitrariamente classificati da quella maggioranza. Per questa ragione, è un controsenso logico aspettarsi che le riforme necessarie alla crescita strutturale possano essere partorite all’interno delle attuali istituzioni “democratiche”. Chi si aspetta questo, soprattutto se ritiene di essere una persona che sta dalla parte della libertà, sta lavorando attivamente contro di essa e quindi per la povertà strutturale.
L’abolizione della “democrazia” totalitaria e l’inizio del cammino nella direzione di una società libera (e quindi della crescita economica sostenibile) richiedono dunque un cambiamento culturale che è molto più di un cambiamento di idee. E’ un cambiamento di sistema di riferimento non inferiore, come importanza e implicazioni, alla rivoluzione copernicana. Questo cambiamento di sistema di riferimento implica il passaggio dalla visione che è la “legge” a derivare dall’autorità a quella che invece è un’eventuale autorità a derivare dalla Legge, nel senso che quell’autorità, ove ci fosse, “deve essere rispettata perché (e fino a quando) difende una legge che si suppone esistere indipendentemente da essa” (Hayek).
In un sistema che possiamo chiamare nomocentrico (cioè in cui al centro c’è la Legge ed è l’autorità a derivare da essa, cioè a “orbitare” attorno a essa – da nomos = legge), a differenza di un sistema come quello attuale (“socialdemcoratico”) o come quello fascista che possiamo chiamare cratocentrico (cioè in cui al centro c’è il potere politico ed è la “legge” fiat a derivare da esso, cioè a “orbitare” attorno a esso – da kratos = potere violento), non solo non potrebbe esistere la BCE ma alcuna banca centrale. Né sarebbe concepibile il corso forzoso, e quindi la “sovranità monetaria”. Né sarebbe immaginabile una qualsiasi regolamentazione al di là della Legge intesa come principio, chiunque sia a difenderla. Né sarebbe legittima la tassazione (e ancora di meno lo sarebbe la discriminazione fiscale, naturalmente).
La strada per la libertà non è mai stata così impervia come lo è oggi. Questa tuttavia non è una ragione per lavorare contro di essa (cioè per cercarla all’interno dell’idea di “legge” che l’ha distrutta). Nessuno vivrà mai in una società libera, ma con coraggio, coerenza, tenacia, fantasia, creatività, perseveranza e tanta fortuna, il senso di marcia può essere invertito. E in molti sensi invertire il senso di marcia, o anche solo il battersi per questa inversione, ciascuno a modo suo, vorrebbe dire avere già vinto.
Un bell’articolo che mette le cose bene in chiaro.
Davvero un piacere per la mente leggere un simile articolo, anche se personalmente non ho così tanta fiducia nella possibilità di invertire il corso degli avvenimenti. Ringrazio comunque l’autore per la chiarezza e l’efficacia di questo bellissimo articolo.