di ENZO TRENTIN
Per invertire la regressione incivile è necessario studiare il funzionamento della macchina amministrativa pubblica e, successivamente, entrare nel merito delle scelte rispetto ai principi dell’autentica sovranità popolare. Un popolo saggio e maturo dovrebbe essere in grado di giudicare l’operato dei politici rispetto agli obblighi istituzionali, e un popolo consapevole e visionario è capace di indicare la giusta strada per migliorare la società.
Se i veneti guardano alla loro storia troveranno evidente come il sistema dei partiti, con la loro costante conflittualità all’interno di essi per la conquista della leadership, e all’esterno per prevalere sugli altri partiti, risulti perniciosa per il vivere civile. A Venezia – in piena civiltà comunale, e non ancora nell’era patrizia -, nel 1265 vi fu contro le imposizioni fiscali una sommossa di tale violenza, che il doge Ranieri Zeno, già condottiero nelle guerre per il dominio del Golfo e promulgatore del codice marittimo del 1255, dovette far mostra di cedere ai sediziosi, salvo poi dare la caccia e far impiccare i caporioni. Nello stesso periodo la lite fra due delle famiglie più eminenti degenerò in aperta violenza quando Lorenzo Tiepolo fu ferito in Piazza San Marco da Giovanni Dandolo o da un suo partigiano. La gente del popolo cominciò a schierarsi da una parte o dall’altra, adottando lo stemma della fazione preferita; e per impedire che la divisione in partiti si generalizzasse, fu approvata una legge che vietava ai cittadini non appartenenti a famiglie nobili di comparire in pubblico con l’arme di una di queste.
I partiti politici sono considerati da noi come un elemento essenziale di qualsiasi governo che rispecchi il volere della comunità, ma George Washington e altri fondatori degli Stati Uniti condividevano l’opinione dei veneziani e invero di tutti i primi repubblicani, cioè che la rivalità dei partiti era un male e portava alla rovina della libertà. Come i veneziani, i padri Fondatori degli Stati Uniti cercarono di evitarla con vari accorgimenti, come il collegio elettorale; ma senza successo, come i fatti hanno dimostrato.
Fra gli accorgimenti che essi non adottarono, ma che i veneziani applicavano con molta efficacia, c’era, oltre all’obbligatorietà dei mandati, la nomina per sorteggio. L’usanza di mettere i nomi dei cittadini qualificati in una borsa o in un’urna e di estrarli alla cieca era diffusissima nelle Città-Stato italiane del tardo Medioevo. Il sistema, variamente applicato, introduceva un elemento di casualità e di rotazione nella scelta dei detentori delle cariche. Il sorteggio impediva che pochi cittadini, quelli più noti per meriti personali o per virtù di famiglia, fossero i soli a ottenere l’onore e il potere che accompagnava le cariche stesse; e impediva altresì campagne elettorali che avrebbero intensificato le rivalità, gli odi e l’organizzazione delle fazioni. Lo svantaggio naturalmente era che con questo sistema si assegnavano gli uffici senza distinguere fra uomini più o meno zelanti e capaci.
I veneziani trovarono un compromesso che diminuiva gli svantaggi mantenendo il vantaggio principale, quello di limitare le ostilità di fazione. La scelta dei membri dei consigli e delle magistrature avveniva in due fasi: la nomina o designazione (che i veneziani chiamavano electio) e l’approvazione (che noi chiameremmo elezione). Da principio sembra che tutte le nomine fossero fatte dal doge e dal suo consiglio, ma prima della fine del Duecento nomine importanti erano affidate a commissioni i cui membri erano scelti per sorteggio. Dopo il 1272 fu stabilito che almeno due commissioni di designazione, ciascuna eletta per sorteggio, si riunissero immediatamente per presentare un candidato o una lista di candidati da votarsi subito, possibilmente lo stesso giorno. La scelta per sorteggio della commissione di nomina e l’immediatezza della designazione e della votazione erano espressamente intese a impedire che i candidati facessero propaganda a proprio favore con appelli destinati a infiammare le fazioni. D’altro canto la necessità di ottenere l’approvazione del Maggior Consiglio era una salvaguardia contro la scelta di persone incompetenti.
Nelle istituzioni italiane, invece, gli incompetenti o comunque gli inadeguati abbondano. In questo contesto cominciano a proliferare sperimentazioni di followership, cioè di condizionamento dei partiti attraverso il sistema di sondaggi continui attraverso l’impiego di algoritmi informatici. Così come gli algoritmi informatici elaborano informazioni delle borse telematiche e tali informazioni condizionano multinazionali, banchieri, giornalisti e politici, in un modo analogo gli stessi sistemi condizioneranno i “leaders” politici attraverso i suggerimenti delle masse e della società nel suo insieme. Ma se i sondaggi vanno ad ascoltare gli umori di masse immature, quale sarà la qualità delle opinioni espresse? Quale sarà la qualità delle decisioni politiche? È del tutto evidente che in questo modo i leaders politici abdicano al loro ruolo di tutela dei diritti, poiché si andrà ad affermare una nuova consuetudine plebiscitaria controllata dai vizi delle masse immature che potranno suggerire norme inadeguate.
Questa nella più bonaria delle ipotesi, perché attualmente nel “Belpaese” esiste una legiferazione che tende addirittura allo schiavismo. Pensiamo all’iniziativa introdotta dall’articolo 24 della legge n. 164 dell’11 novembre 2014 [VEDI QUI], denominata “Sblocca Italia”, e voluta dal Governo Renzi. Per capirci: le amministrazioni comunali sono autorizzate a realizzare un “patto di collaborazione” tra cittadini (che, per esempio, non sono in grado di pagare i tributi) e l’amministrazione comunale che in cambio potrà richiedere agli stessi la pulizia delle strade, interventi di manutenzione, abbellimento di aree verdi e piazze etc. E c’è già chi ha preso la palla al balzo: Veronica Rigoni (M5S) in qualità di consigliere comunale ha presentato all’amministrazione comunale di Creazzo (VI) una proposta in questo senso.
Occorre allora capire in quale maniera superare queste situazioni che sono fatte proprie anche da chi programmaticamente si dichiara contro i partiti, ma che “culturalmente” non riesce ad affrancarsi dal loro modus operandi. In altri termini bisogna superare quello che gli psicologi definiscono la riprova sociale. Secondo questo termine si suppone che se molte persone fanno la stessa cosa devono sapere qualcosa che noi non sappiamo. Molto spesso non è vero che agiscono in base a una maggior conoscenza, ma reagiscono al principio della riprova sociale.
Per comprendere questo fenomeno prendiamo ad esempio due automobilisti che per coincidenza decidono di cambiare corsia insieme, i due successivi possono fare lo stesso, supponendo che ci sia una ragione. L’informazione che ne risulta per chi segue diventa potente: quattro auto successive che lampeggiano cercando di infilarsi nella corsia accanto. Altri lampeggiatori si accenderanno e da questo punto in avanti la riprova sociale diventa innegabile: «Tutta quella gente davanti deve sapere qualcosa», penseranno gli automobilisti che seguono, e nessuno si curerà di verificare coi propri occhi la situazione reale sulla strada.
La lezione è chiara: mai fidarsi ciecamente di un dispositivo di guida automatica come questo principio. Anche se non c’è stato un sabotaggio, si può sempre guastare da solo. Dobbiamo di tanto in tanto accertarci che non siamo usciti di sintonia rispetto ad altre fonti d’informazione presenti nella situazione: i fatti oggettivi, le nostre esperienze precedenti, i nostri giudizi personali. Per fortuna, questa precauzione non richiede molto tempo né sforzi eccessivi: basta guardarsi intorno e ne vale la pena, viste le conseguenze disastrose che può avere affidarsi ciecamente alla riprova sociale.
Ritornando alla Serenissima, essa stava all’erta per reprimere non solo ogni possibilità di insurrezione armata, ma qualsiasi nobile che si comportava come se fosse al di sopra della legge, e qualsiasi tentativo di organizzare fazioni o partiti sia pure con semplici sollecitazioni e baratti di voti. Appositi istituti non consentivano alcuna opposizione organizzata. Ogni avvio di partiti organizzati, anche se promossi da coloro che erano al potere, sarebbe stato giudicato una corruzione dello spirito pubblico.
È bene evidenziare che i nostri predecessori non avevano gli strumenti, le conoscenze e la tecnologia d’oggidì. Va altresì osservato come l’attuale campagna elettorale per le elezioni regionali venete veda in campo più movimenti, partiti o gruppi sedicenti indipendentisti, i cui aderenti non trovano di meglio che lanciarsi pubbliche accuse ed insulti nei social network ed altrove. Così facendo creano non solo discredito alla causa indipendentista, ma anche fratture difficilmente sanabili passata la tornata elettorale. Spetta, dunque, agli indipendentisti sinceri non tradire l’eredità spirituale della Repubblica del Leone, e rendersi conto che esiste una sola via per la libertà: la secessione. E questa non passa certo attraverso la Regione Veneto.
Maglio fa la svizzera, che con i referendum toglie potere ai politici. E fine della campagna elettorale
Come sabbe non passa attraverso la Regione Veneta? Sarebbe meglio una maggioranza trasversale extrapartitica?