“E certamente troppa inflazione è un male. Ma un po’ di inflazione è necessaria per oliare le ruote del capitalismo, perché consente alle imprese di ridurre prezzi e salari reali quando necessario (dato che ridurre i prezzi e i salari direttamente è spesso psicologicamente e politicamente difficile). Quando l’inflazione è troppo bassa, trasferisce ricchezza da coloro che hanno debiti – imprese e mutuatari – a coloro che possiedono obbligazioni. Ciò può rallentare l’attività economica rendendo più difficile per famiglie e imprese ripagare i loro debiti”. Credo di non destare meraviglia in nessuno se affermo che uno degli idoli di Noah Smith, autore delle parole di cui sopra, ancorché non lo dica mai esplicitamente (pur citandolo spesso), è Paul Krugman.
Come sempre in questi casi, per inflazione viene intesa la crescita di un indice dei prezzi al consumo, che sarebbe più appropriato definire una conseguenza dell’inflazione. Per comodità, comunque, adotterò la definizione mainstream a cui fa riferimento Smith.
L’idea che l’inflazione serva ad “oliare le ruote del capitalismo” per abbassare prezzi e salari in modo reale senza doverli ridurre in via nominale è una delle idee che si trovano già nelle prime pagine della Teoria Generale di Keynes. Si ricorre alle difficoltà psicologiche e politiche per giustificare l’ottenimento con l’inganno – non credo la cosa possa essere definita diversamente – di una allocazione della ricchezza diversa da quella che verrebbe determinata se domanda e offerta fossero libere dai condizionamenti indotti dalla politica monetaria. Il tutto in base al pregiudizio per cui se a essere danneggiato dall’andamento dei prezzi è chi ha debiti occorre aiutarlo, mentre in caso contrario nessun problema.
Il fatto è che, per essere “efficace”, la svalutazione reale può basarsi unicamente su un andamento dei prezzi inatteso, oppure su una vera e propria repressione finanziaria, posta in essere anche con obblighi e divieti normativi. Le inflazioni inattese, difatti, possono raggiungere lo scopo degli inflazionisti se non attuate in via continuativa, altrimenti finiscono per non essere più inattese. D’altra parte, la repressione finanziaria assume ben presto la forma di una vera e propria tassazione, ancorché la si chiami diversamente.
Entrambe sono forme di redistribuzione della ricchezza al pari della tassazione. Quindi non si “olia” un bel nulla: semplicemente si redistribuisce, aggredendo la proprietà di alcuni per beneficiare altri. E ovviamente quanto sia “troppo” e quanto sia “poco” lo stabilisce il governante (keynesiano) o il banchiere centrale (keynesiano) di turno. E ci si mette perfino Smith.