Gli indipendentismi padani sembrano non riuscire più, come in passato, ad impensierire, intimorire il loro naturale nemico: lo stato italiano. Eppure se pensiamo a quaranta o cinquanta anni fa, possiamo capire che anche per gli indipendentismi padani il tempo non è passato invano.
Giustamente attribuiamo alla comunicazione televisiva un peso importante; e in televisione l’indipendentismo non c’è più. Allo stesso tempo confondiamo le istituzioni indipendentiste, la Lega Nord ed altre organizzazioni non necessariamente politiche, con i movimenti popolari, ed immaginiamo questi ultimi aggregazioni di decine se non centinaia di migliaia di persone. Non è così.
La nostra visione degli indipendentismi padani è ormai quella di chi immagina che l’indipendenza passi esclusivamente dalla partecipazione alla democrazia rappresentativa italiana, attraverso partiti più o meno consolidati, ovvero attraverso l’incremento del numero di persone che partecipano alle iniziative delle varie organizzazioni che compongono l’istituzione degli indipendentismi padani.
Ma un movimento popolare che insorge e recupera l’obiettivo indipendentista è qualificato dalla motivazione delle persone e dalla libertà con cui le persone immaginano, inventano e realizzano le iniziative in vista dello scopo condiviso. Così facendo esse portano nuova energia, nuova forza, nuovo vigore, nuovi apprezzamenti, nuove speranze.
Il movimento popolare che cambia le istituzioni, anche quelle private padane, è sempre un prodotto originale ed imprevedibile di poche decine, centinaia, al massimo un migliaio di persone che capiscono e sentono in anticipo che è diventato indispensabile il cambiamento, insopportabile e pericolosa la situazione. Se non si verificano queste condizioni non avviene alcun cambiamento perché in realtà non è necessario, perché le istituzioni, anche quelle pubbliche italiane, funzionano.
Tutte le istituzioni vogliono sopravvivere; gli individui privilegiati, che non possono avvertire gli ostacoli che le istituzioni irrigidite pongono al progresso civile ed umano, fanno di tutto per ostacolare i movimenti, per incanalarli, per disinnescarli, talvolta per annientarli. Ma senza i movimenti, senza, nel nostro caso, le persone che veramente sono pronte alla lotta per l’indipendenza, anche le istituzioni appassiscono, implodono, si autodistruggono perché sempre più occupate da persone prive di motivazioni altruistiche, di speranze collettive, di slancio vitale. Ma morendo trascinano con sé tutti.
La crisi delle istituzioni pubbliche italiane non condurrà necessariamente all’indipendenza del Veneto. Gli stati possono trascinare la società in regressi e miserie inimmaginabili. La crisi dell’istituzione degli indipendentismi padani non si risolverà con scissioni o cambi di leadership nella Lega Nord (come si è già visto) o con nuovi partiti indipendentisti. Se è vero che la crisi troverà una sua soluzione con la fine dello stato italiano e l’indipendenza dei popoli che abitano la penisola, e se è vero che questa soluzione passa dal pluralismo delle organizzazioni indipendentiste, è altrettanto vero che solo un movimento promosso dai migliori e più autentici indipendentisti può generare rinnovamento nel mondo indipendentista. Mondo che ormai non riesce ad esprimere quella forza senza la quale l’indipendenza resta un sogno; un sogno che si allontana.
(10 – FINE)
UNA TAVOLA ROTONDA SUL FUTURO DELL’INDIPENDENTISMO, COORDINATA DA GIANLUCA MARCHI, SI TERRA’ A TREVIGLIO IL 28 GIUGNO PROSSIMO: VEDI QUI
Va bene.
Chi è che trova uno come il Prof.Miglio?