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Consulta contro i veneti? in lombardia c’è chi ci vede un’opportunità

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Ieri è accaduto un fatto straordinario e inaspettato.
No, non sto parlando della bocciatura, da parte della Corte Costituzionale italiana, della legge 16 del Veneto,
quella che prevedeva l’indizione del referendum consultivo sull’indipendenza: bocciatura regolarmente avvenuta, come da pronostici pressoché unanimi.

E non sto parlando nemmeno della parziale bocciatura, altrettanto già pronosticata, dell’altra legge referendaria veneta, la numero 15 del 2014, nella parte in cui prevedeva l’indizione di una consultazione sull’autonomia tributaria e sull’attribuzione di uno statuto speciale per la Regione marciana.

Il fatto straordinario e, questo sì, inaspettato, cui mi riferisco, è l’ammissione di costituzionalità che la stessa suprema Corte ha stabilito, con preciso riferimento al primo dei cinque quesiti previsti dalla citata legge 15. La sentenza 118 dei giudici costituzionali ha infatti dichiarato non fondata l’eccezione, sollevata a fine agosto 2014 dal ricorso del Governo Renzi, in merito al primo quesito referendario autonomista: “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”. Il referendum è costituzionale e possibile.
Il quesito, previsto dall’art. 2 comma 1 numero 1 della citata legge 15, richiama direttamente il contenuto dell’art. 1 della stessa, che stabilisce quanto segue:

1.    Il Presidente della Giunta regionale è autorizzato ad instaurare con il Governo un negoziato volto a definire il contenuto di un referendum consultivo finalizzato a conoscere la volontà degli elettori del Veneto circa il conseguimento di ulteriori forme di autonomia della Regione del Veneto.

2.    Al termine del negoziato, e comunque entro centoventi giorni dall’approvazione della presente legge, il Presidente della Giunta riferisce al Consiglio circa il suo esito.

3.    Qualora il negoziato non giunga a buon fine entro il termine di cui al comma 2, il Presidente della Giunta regionale procede ai sensi dell’articolo 2.

Ora, considerando che lo stato italiano, ben lungi dal porsi in una posizione dialogante e tantomeno collaborativa, ha preferito fin da subito mettersi di traverso rispetto alla volontà veneta di poter votare, e lo ha fatto presentando un formale ricorso costituzionale, possiamo considerare che la fase del “negoziato”, prevista dalla legge 15, sia da considerarsi pienamente superata. Roma ha preferito opporsi a gamba tesa invece che negoziare: adesso, nel day after della sentenza della Corte Costituzionale che ha ammesso il quesito numero 1, non resta al Presidente Zaia che l’indizione del referendum. Così stabilisce infatti l’articolo 2 della legge marciana, egualmente dichiarato costituzionale:

1.    Qualora il negoziato non giunga a buon fine entro il termine di cui al comma 2 dell’articolo 1, il Presidente della Giunta regionale è autorizzato ad indire un referendum consultivo per conoscere la volontà degli elettori del Veneto in ordine ai seguenti quesiti:

[…]

Torniamo adesso alla sentenza della Corte. Si tratta di un documento molto interessante e altrettanto importante, non solo per i nostri vicini Veneti, ma anche per noi Lombardi. Già, perchè le motivazioni con cui i giudici costituzionali hanno ammesso il quesito autonomista marciano ci riguardano in prima persona. Come sapete, lo scorso 17 febbraio il Consiglio Regionale della Lombardia ha indetto un referendum sull’autonomia differenziata, ai sensi dell’art. 116 della Costituzione italiana. Ebbene, proprio facendo riferimento a tale norma, la Corte ha dichiarato ammissibile la consultazione prevista dalla legge 15 del Veneto.

Leggiamo un estratto dalla sentenza 118 della Corte Costituzionale:

“La domanda da sottoporre agli elettori evoca il disposto dell’art. 116, terzo comma, Cost., a norma del quale la legge dello Stato può attribuire alle Regioni a statuto ordinario «[u]lteriori forme e condizioni particolari di autonomia». Nonostante il richiamo testuale implicito all’art. 116, terzo comma, Cost., il ricorrente [Governo Renzi, n.d.a.] ritiene che il referendum contrasti con la citata disposizione costituzionale sotto due profili: anzitutto perché sarebbero pretermessi le condizioni e i limiti, segnatamente di materia, indicati tassativamente dall’art. 116, terzo comma, Cost., per il conferimento di tali forme ulteriori e condizioni particolari di autonomia; in secondo luogo, perché lo speciale procedimento legislativo previsto dalla disposizione costituzionale non permetterebbe l’introduzione di un preliminare referendum consultivo regionale.

Vero è che manca nel quesito qualsiasi precisazione in merito agli ambiti di ampliamento dell’autonomia regionale su cui si intende interrogare gli elettori. Non è men vero, però, che il tenore letterale del quesito referendario ripete testualmente l’espressione usata nell’art. 116, terzo comma, Cost. e dunque si colloca nel quadro della differenziazione delle autonomie regionali prevista dalla disposizione costituzionale evocata; cosicché deve intendersi che le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» su cui gli elettori sono chiamati ad esprimersi possano riguardare solo le «materie di cui al terzo comma dell’art. 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s)», come esplicitamente stabilito nelle suddette disposizioni costituzionali. Così interpretato, il quesito referendario non prelude a sviluppi dell’autonomia eccedenti i limiti costituzionalmente previsti e pertanto, sotto questo profilo, la censura non è fondata.

Quanto al secondo profilo, occorre osservare che non vi è alcuna sovrapposizione tra la consultazione popolare regionale e il procedimento di cui all’art. 116, commi terzo e quarto, Cost., che pertanto potrà svolgersi inalterato, nel caso in cui fosse effettivamente attivato. Il referendum consultivo previsto dalla disposizione regionale impugnata si colloca in una fase anteriore ed esterna rispetto al procedimento prestabilito all’art. 116 Cost., il quale richiede l’approvazione di una legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, con voto favorevole delle Camere a maggioranza assoluta dei propri componenti e sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione stessa.

Il referendum oggetto della disposizione impugnata precede ciascuno degli atti e delle fasi che compongono il procedimento costituzionalmente previsto. Lo stesso atto regionale di iniziativa di cui al citato art. 116, comma terzo, Cost., come la procedura per la sua adozione da parte degli organi regionali competenti, rimane giuridicamente autonomo e distinto dal referendum, pur potendo essere politicamente condizionato dal suo esito. Né d’altra parte la consultazione popolare, qualora avvenisse, consentirebbe di derogare ad alcuno degli adempimenti costituzionalmente necessari, ivi compresa la consultazione degli enti locali. Anche sotto questo profilo, dunque, la questione non è fondata.”

Come ben si comprende, la Corte, esprimendosi sul caso veneto, ha di fatto respinto anche le due obiezioni giuridiche che il PD lombardo ha mosso al referendum votato dalla maggioranza che sostiene il Presidente Maroni e dal Movimento 5 Stelle: non importa che la richiesta di maggiore autonomia non sia dettagliata, poiché tale dettaglio costituirà proprio il nucleo centrale della successiva trattativa con lo Stato; e, soprattutto, non è vero che il referendum consultivo regionale, per il fatto di non essere previsto dalla procedura dell’art. 116, sia da considerarsi automaticamente contrario alla Costituzione, semmai ne costituisce un arricchimento.
Si tratta di considerazioni fondamentali che, peraltro, chi scrive aveva già elaborato in tempi non sospetti.

Ma non è finita. Leggendo altri passi della sentenza 118 della Corte Costituzionale, rileviamo che il referendum regionale, ben lungi dall’essere considerato una pura testimonianza senza alcun valore giuridico, rappresenta invece un percorso serissimo e dotato di un notevole peso specifico, politicamente parlando.
Ecco cosa scriveva l’Avvocatura generale dello Stato opponendosi al referendum:

“[…] una consultazione su un quesito siffatto altererebbe il procedimento previsto nell’art. 116, comma terzo, Cost. Tale disposizione consentirebbe di ‘qualificare il previsto ampliamento dell’autonomia come una revisione costituzionale, sia pure su scala ridotta’; e ciò renderebbe ‘ancora più sensibile la formazione del contenuto della riforma rispetto alle suggestioni ed alle pressioni del voto popolare preventivo’. Tanto più perché il citato art. 116, comma terzo, individua nei rappresentanti politici della Regione e degli enti locali i soggetti legittimati a promuovere la riforma, evitando di coinvolgere direttamente gli elettori nella fase di avvio della proposta, in linea con un’impostazione per cui le scelte fondamentali della comunità nazionale, che ineriscono al patto costituzionale, sono riservate alla rappresentanza politica, sulle cui determinazioni il popolo non può intervenire se non nelle forme tipiche previste dall’art. 138 Cost.”

In poche parole, secondo l’Avvocatura non si dovrebbe dare la parola al popolo.

Leggiamo ancora un passo della sentenza; questa volta la fonte riportata dai giudici costituzionali è la Presidenza del Consiglio stessa:

“[…] il referendum consultivo non attiene tanto alla libertà di espressione dei cittadini, quanto ai poteri dell’ente regionale di ‘formalizzare una proposta predefinita in funzione di un confronto della Regione con il Governo dello Stato che altera gli equilibri previsti dal Costituente’: la vis peculiare del referendum starebbe proprio nella sua formalizzazione, che gli consente di raccogliere lo scontento degli elettori regionali e, in particolare, di rivolgerlo come strumento di condizionamento nei confronti dei rappresentanti che quegli stessi cittadini hanno eletto al Parlamento”

Ed è la stessa Corte Costituzionale in prima persona, infine, a riconoscere la natura giuridica e politica di primaria importanza delle consultazioni referendarie regionali:

“[…] è giuridicamente erroneo equiparare il referendum consultivo a un qualsiasi spontaneo esercizio della libertà di manifestazione del pensiero da parte di più cittadini, coordinati tra loro. Il referendum è uno strumento di raccordo tra il popolo e le istituzioni rappresentative, tanto che si rivolge sempre all’intero corpo elettorale (o alla relativa frazione di esso, nel caso di referendum regionali), il quale è chiamato ad esprimersi su un quesito predeterminato. Inoltre, anche quando non produce effetti giuridici immediati sulle fonti del diritto, il referendum assolve alla funzione di avviare, influenzare o contrastare processi decisionali pubblici, per lo più di carattere normativo

Bene. Il referendum autonomista ai sensi dell’art. 116 della Costituzione si può fare. In Veneto e in Lombardia. Adesso è ufficiale. E se vogliamo arrivare un giorno all’indipendenza, il cammino comincia proprio da qui, da questi due referendum, fondamentali per iniziare a riportare il governo a casa, a Venezia e a Milano, un pezzo alla volta, un passo dopo l’altro. Avanti.

di Alessandro Stori – Comitato Avanti

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2 COMMENTS

  1. Mah, l’opportunità in senso di acqua calda. Leventuale referendum non può essere su ordinamento speciale. Quindi…no schei…nulla di nuovo sotto il ponte…

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