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Non c’è indipendentismo senza prima un progetto e nuove regole

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diada8-2015di ENZO TRENTIN

La democrazia rappresentativa non è democrazia, ed è moralmente ed eticamente inaccettabile, perché presuppone che gli altri: i “rappresentanti”, decidano per noi stessi. L’etica, in quanto scienza del comportamento umano, regola il bene dell’uomo in relazione ai valori, ai principi, e alle norme morali.

Come spesso accade (a dire il vero accade a chi punta a mantenere o aumentare il proprio consenso elettorale), non c’è alcuna logica, alcun sistema coerente di valori etici nel “rappresentante” che, una volta eletto, pretende di fare da sé o come il partito politico di appartenenza gli comanda. Chi afferma il contrario sostiene, anche non intenzionalmente, il diritto d’un gruppo di persone (i rappresentanti) di ridurre in schiavitù un altro gruppo di persone (gli elettori). Queste sono le basi da cui partire quando si parla di democrazia, non il fatto che l’avente diritto abbia votato per l’uno o l’altro candidato, o per l’uno o l’altro partito.

Tutto ciò che spetta all’uomo di conoscere e di fare nella sua vita non può essere altro che la promozione del suo bene. Qui, il problema non è tanto il bene da raggiungere ma come raggiungerlo. Se al di dentro del valore e come suo fondamento non esistesse una struttura della realtà del bene, o essenza, allora il valore cesserebbe di essere tale e sarebbe una semplice illusione. Le armi della democrazia sono il rispetto delle regole, l’onesta, la solidarietà, e l’assistenza verso i più deboli ed i meno abbienti, praticando l’etica dei doveri per sconfiggere le possibili derive individualistiche, e quelle del potere.

La debolezza della democrazia è insita nel concetto di rappresentanza. La democrazia rappresentativa deve essere equilibrata con la democrazia diretta per mezzo dei referendum e dell’iniziativa popolare senza quorum per la validità del risultato. I referendum così intesi stabiliscono un nesso di reciprocità fra rappresentanti e rappresentati, e si configura come un contratto politico o di federazione. Questo tipo di “contratto” ha per fondamento la quantità di potere decisionale che il popolo, essendo sovrano, conferisce ai propri rappresentanti. Infatti col voto i cittadini riservano per sé la quantità maggiore di potere decisionale di fare, modificare o abrogare le leggi. Nessun mass-media italiano, mai ha fatto il minimo accenno a queste semplici osservazioni che potrebbero essere la medicina in grado di guarire dalla peste nera del potere dei partiti, e delle varie mafie, incarnato in un Parlamento in mano a veri e propri criminali sociali.

Solo mediante il cosiddetto “comprehensive approach”, è possibile riconquistare quel consenso della popolazione che ora la democrazia rappresentativa ha imposto con i suoi proclami e le sue leggi. La democrazia non e un’ideologia che può essere esportata o imposta, bensì quell’insieme di regole (diritti e doveri) valide per tutti, che bisogna impiegare per la costituzione di un governo e per la determinazione di decisioni politiche vincolanti per l’intera comunità.

Ogni popolo deve ricercare ed adottare nell’ambito dei propri processi tradizionali, culturali ed etnici la via per conseguirla. L’ideologia, invece, trova la sua giusta collocazione nei partiti politici, che sono gli strumenti attraverso i quali realizza la democrazia rappresentativa. Da constatare poi che i partiti post-ideologici sono «illegittimi» nel modo più radicale. Sotto i loro artigli, lo Stato è diventato uno spazio vuoto, pieno solo del denaro dei contribuenti; una res nullius esposta al saccheggio.

Pericle ebbe a connotare la democrazia come il miglior governo possibile, qualificandola quale mediatrice fra gli interessi pubblici e quelli privati. Per lo statista ateniese, lo Stato democratico si incarica di comporre – in un equilibrio dinamico, ancorché carico di tensione – il mondo discorde e contrastante del privato e dell’economia con quello dell’armonia e della concordia corrispondente al dominio della “cosa pubblica” e della collettività, per raggiungere un accordo valido ed efficace volto a costruire una società armonica.

Le armi della democrazia, quindi, sono:

  1. Le regole con cui si circoscrive la libertà illimitata dei singoli ponendovi un limite, individuato in un principio giuridico che sanziona le conseguenze dannose delle azioni che possono investire la libertà di altri soggetti, perché un regime democratico si caratterizza per il diritto di poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri, vale a dire che bisogna rispettare il principio del “neminem laedere” (non danneggiare alcuno).
  2. I doveri, che sono i vari comportamenti che ogni persona è obbligata a sopportare o ad evitare, per non ledere la libertà delle altre persone, oltre ai diritti che sono rappresentati da quelle libertà che competono ad ogni singola persona. Sono i doveri che costituiscono l’essenza delle democrazia e della modernità politica. Mediante il rispetto dei doveri la democrazia rende compatibili dottrine ideologiche e politiche antitetiche, ancorché ispirate da convinzioni religiose e definisce, inoltre, “procedure universali” accolte come parametri dell’attività istituzionale, per consentire lo svolgimento – libero e pacifico – della competizione politica.

Orbene, attraverso quali dottrine politico-giuridiche gli indipendentisti veneti affronteranno il tema del potere politico e dei suoi limiti? Quali saranno i documenti solenni che legittimeranno e, allo stesso tempo, limiteranno il potere politico ed i suoi abusi? Ad oggi non lo sappiamo!

Una cosa che purtroppo la Lega Nord, i politicanti, e tutti gli altri sedicenti indipendentisti che oggi siedono nelle istituzioni italiane non hanno mai spiegato pur definendosi federalisti, è che il federalismo si basa due principi fondamentali:

  1. La sovranità che tramite il voto i cittadini conferiscono ai rappresentanti, è inferiore alla sovranità che riservano per se stessi sui fatti.
  2. Gli oneri che il “foedus” implica devono essere inferiori (o quanto meno uguali) ai benefici che se ne ricavano.

Se ci si pensa un po’, il primo è il principio cardine della democrazia, il secondo di una «assicurazione» civica.

refe venetoI sedicenti indipendentisti veneti che oggi siedono nelle istituzioni italiane non hanno, a tutt’oggi, mai avanzato uno straccio di documento o proposta di deliberazione che proponesse strumenti deliberativi come i referendum di iniziativa e di revisione. Per «iniziativa», s’intendono azioni tese ad imporre a Sindaco, Giunta e Consiglio comunale (vale anche per gli omologhi regionali), deliberazioni su argomenti che interessano l’intera comunità. Per «revisione», s’intendono quelle deliberazioni che, già assunte dall’Amministrazione pubblica, si vogliono, eventualmente, prese con differenti norme. In ambedue i casi: «d’iniziativa» e «di revisione» i referendum devono essere validi con qualsiasi numero di partecipanti al voto. Niente assurdi quorum, dunque!

Al contrario, hanno approvano e votano la nomina del difensore civico materializzando un vero conflitto d’interessi, laddove è il controllato a nominare il suo controllore. In Italia, la legge che lo istituisce è la n. 142 del 1990. All’articolo 8 si legge: “Il Difensore Civico svolge un ruolo di garante dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione comunale o provinciale (per anni imitato anche dalla Regione Veneto), segnalando, anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze ed i ritardi dell’amministrazione nei confronti dei cittadini”. Vedasi ora: Garante regionale dei diritti della persona. Non diversamente fanno alcuni Sindaci pseudoindipendentisti.

Ora cosa fa un sedicente indipendentista Consigliere regionale, eletto per mezzo di espedienti elettoralistici? Tutti perfettamente legali s’intende. Del resto era legale anche la schiavitù prima di venire abolita per ragioni etico-morali. Ebbene il “nostro” sedicente indipendentista non si preoccupa di promuovere la vera democrazia, perché trova molto più utile impegnare il tempo del Consiglio regionale veneto su una mozione di solidarietà alla nazione catalana. Tsz! Ed i peones senza rilievo e senza cariche importanti, utili solo per esprimere passivamente quanto deciso dagli organi dirigenti del suo partito, plaudono beotamente.  [VEDI QUI]

Tornando al diritto all’autodeterminazione dei popoli esso include il diritto ad un proprio Stato. Tuttavia, la fondazione di uno Stato non aumenta la libertà di un popolo. Il sistema delle Nazioni Unite che è basato sugli stati-nazione si è rivelato non efficace. Nel frattempo, gli stati-nazione (vedi la Spagna) sono diventati ostacoli seri per ogni sviluppo sociale.

Il federalismo democratico, invece, è il paradigma di contrasto dei popoli oppressi. Tralasciando la solita Svizzera, si pensi alla democrazia in California. C’è tutta una serie di aspetti positivi da segnalare: nessuna materia è esclusa, neanche le tasse e le imposte; non si prevede una norma per coprire i costi di una riforma introdotta con referendum; è sconosciuto il quorum di partecipazione; tutti gli aventi diritto al voto ricevono a casa un libretto informativo con gli argomenti pro e contro; tutte le donazioni pro e contro il quesito devono essere rese pubbliche. Ma c’è di più: nei referendum il Parlamento a Sacramento non ha nessun diritto di contrattare con i promotori, e di formulare una controproposta. Inoltre esiste una garanzia del risultato di una votazione referendaria: se il Parlamento volesse attuare una modifica senza permesso, questa va sottoposta al referendum confermativo.

Una bella differenza con i ladri di democrazia che siedono in Consiglio regionale veneto che affermano coram populo di voler indire comunque un referendum consultivo, malgrado la sentenza avversa della Corte costituzionale, e previa l’ulteriore spremitura dalla tasche dei veneti di ulteriori 14 milioni di Euro.

Il federalismo democratico è un paradigma sociale che non implica lo Stato. Non viene controllato dallo Stato. Allo stesso modo, il federalismo democratico è il piano culturale ed organizzativo di una nazione democratica. E qui è bene fare una precisazione per non indurre ad equivoci gli spiriti più semplici. Il federalismo in sé non avrebbe necessità di aggettivazioni; tuttavia è utile notare che l’URSS era una federazione sedicente democratica. La storia si è occupata di spiegare bene cosa sia il comunismo. E ancora: in Italia, durante il famoso ventennio, il partito unico era territorialmente organizzato su federazioni locali. Ciò nonostante il fascismo non ha mai preteso d’essere democratico.

Il federalismo democratico, quindi, è basato sulla partecipazione totale. I suoi processi decisionali stanno all’interno delle comunità. Livelli superiori servono solo al coordinamento ed all’implementazione del volere della comunità che manda i suoi delegati alle assemblee generali. Per un limitato spazio di tempo ci sono istituzioni, portavoce ed esecutivi. Tuttavia, il potere decisionale di base rimane nell’elettorato a livello radicale.

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4 COMMENTS

  1. infatti non ci sarà indipendentismo catalano (purtroppo) proprio perché nella tensione emotiva dell’orgasmo populistico il vero intendo è quello di arrivare a dar vita ad un nuovo stato nazione con gli stessi limiti generali e speciali di quello di provenienza.
    Le persone concrete (che sono la maggioranza) danno più peso al come pervenire ad una nuova organizzazione sociale perché nella pentola ci son già ed è nelle braci che non vogliono finire.
    Le persone concrete si giocano, come imprenditori, le loro prospettive nella speranza che quattro agitatori (sia pur legittimamente) si mettano …..poi …..in seguito …..forse…d’accordo su come spartirsi il potere prima di poter discutere di un poco fantasioso impianto etico e legale da offrire ai liberati.
    Gli imprenditori poi sono la parte che ha messo tutto sul tavolo e d’anticipo. A chi si trova in trincea col patrimonio (grande o minimo) ed una vita di sacrifici non si può pretendere ulteriore atto di fede.
    A chi vive di perspicace e vigile ricerca di nuovi modi per produrre ricchezza per se e per gli altri, giocandosi tutto, non basta sapere che qualcuno in qualche modo provvederà a regolare le libertà economiche.
    I rischi d’impresa non dicono nulla alla testa dei politici? I politici, che nulla rischiano nel compromesso, lo piglieranno in quel posto.
    Quel che è drammatico è che il popolo dovrebbe dimostrare di volere la secessione senza alcun indirizzo, o meglio, fino a prova contraria, con lo stesso indirizzo di prima mediato dai cavalieri dell’Apocalisse, solo più in piccolo.
    Il socialismo monetario e democratico non ha ancora terminato di fare danni.
    Questi republistronzi, per totale ignoranza della complessità ed articolazione dei processi della collaborazione sociale spontanea, tolgono una reale possibilità alla gente ed una speranza a tutti gli altri indipendentismi orbi che scimmiotterebbero inconfessabilmente. (spero vivamente di sbagliarmi, ma non credo).

  2. Platone ed Aristotele non davano giudizi lusinghieri sulla “democrazia”. In essa manca del tutto la responsabilità delle decisioni, dei comportamenti e conseguentemente degli errori. Così come viene interpretata e realizzata si basa sulla “quantità” e non sulla “qualità”.

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