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Riforme, crescita, flessibilità: le parole magiche dei keynesiani all’amatriciana

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crescitadi MATTEO CORSINI

Rispondendo a un giornalista che gli faceva notare le critiche avanzate dal presidente della Bundesbank in merito al debito pubblico dell’Italia e all’intreccio tra Stati e banche, oltre che i giudizi negativi sulla politica monetaria della BCE, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha affermato quanto segue: “A Weidmann rispondo così. Primo: è chiaro che c’è un rapporto tra debito e crescita. Per come la vedo io la crescita è la via maestra per ridurre il debito. Per Weidmann è il contrario. Non sono d’accordo con lui. È più corretta la mia tesi, che oltretutto è sostenuta dall’esperienza storica. Secondo: sulla Bce è smentito dai fatti. Non mi convince la relazione che fa tra politica monetaria e ritardo sulle riforme, tant’è vero che anche se beneficiamo dei tassi bassi siamo quelli che fanno più riforme. Terzo: sul debito sovrano nelle banche c’è già stata una discussione all’Ecofin. Per l’unione bancaria dobbiamo fare molti progressi e ci sono cose più importanti dei titoli di Stato nelle banche, a cominciare dalla garanzia dei depositi. I vincoli alle banche non mi sembrano utili e in ogni caso vanno discussi non in ambito europeo, ma a Basilea, perché riguarda anche Usa e Giappone. Ricordo infine in generale che finalmente in Europa si torna a discutere di cose importanti tipo un patto di Stabilità meno oscuro, meno farraginoso, più orientato alla crescita.”

In merito al primo punto, Padoan non fa che ribadire una posizione già espressa in diverse occasioni. E’ la posizione tipicamente keynesiana che, per essere esposta onestamente, dovrebbe riconoscere che gran parte del lavoro non lo fa la crescita reale, bensì quella nominale, magari in un contesto di repressione finanziaria, ossia di tassi di interesse tenuti artificialmente bassi mediante politiche monetarie e/o vincoli regolamentari che obbligano taluni soggetti (per esempio le banche) a detenere titoli di Stato.

Quando il debito pubblico in rapporto al Pil ha dimensioni simili a quelle del debito italiano, la riduzione del rapporto via crescita del Pil è dovuta in gran parte all’inflazione. Questo è successo, per esempio, negli episodi di forte indebitamento post bellici, ai quali probabilmente Padoan si riferisce quando parla di esperienza storica.

In merito al secondo punto, molte di quelle che Padoan e Renzi definiscono riforme, in realtà non hanno nessun impatto positivo sull’economia. Ma ormai pare che ogni legge che il Parlamento approva (spesso mediante voti di fiducia a provvedimenti governativi) sia una riforma. Resta il fatto che l’abbassamento artificiale della spesa per interessi riconducibile alla politica monetaria ha di molto ridimensionato (fin quasi ad azzerarli) gli sforzi di riduzione della spesa pubblica. In sostanza, la spesa per interessi è quella che sta diminuendo maggiormente, ma è anche l’unica per la quale il calo non può dirsi strutturale e che è in gran parte indipendente dall’azione governativa.

In merito al terzo punto, posso condividere che la questione, se proprio deve essere regolamentata, vada affrontata a livello di Basilea e non solo di Ue. Ciò non toglie che le esposizioni reciproche tra Stati e banche siano problematiche, e che far finta che i titoli di Stato siano privi di rischio è una palese negazione della realtà. Tuttavia la semplice previsione di accantonamenti patrimoniali in relazione agli investimenti in titoli di Stato o limiti massimi di esposizione non sarebbero di per sé sufficienti a scongiurare una crisi bancaria nel caso di crisi dello Stato. Fino a quando le banche resteranno soggetti con leva elevata (non da ultimo per via della riserva frazionaria) e con scadenze medie dell’attivo di molto superiori a quelle del passivo, la loro fragilità non verrà meno, né il contagio reciproco. Non credo, peraltro, che ci sia la volontà politica di cambiare questi aspetti dell’attività bancaria, perché ciò determinerebbe una riduzione del credito e un incremento dei tassi di interesse, cosa che neppure i tedeschi, in fin dei conti, vogliono.

Infine, se il Patto di Stabilità e crescita sarà più orientato alla crescita, nel linguaggio keynesiano significa che sarà più lasco in termini di deficit. Anche in questo caso, si potrà stabilire che una spesa non fa deficit, o che il limite è al 5% del Pil anziché al 3%, ma prima o poi accumulare deficit diventerà insostenibile, semplicemente perché nessuno sarà disposto a finanziarlo sottoscrivendo titoli di Stato. Sempre che non sia obbligato a farlo.

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