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Spendere e spandere: il paradiso della casta, l’inferno dei risparmiatori

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pollospennatodi MATTEO CORSINI

“Come evidenziato già dall’economista inglese John Maynard Keynes, se il settore privato risparmia molto e consuma poco, il settore pubblico dovrà intervenire aumentando i propri consumi, per ripristinare l’equilibrio tra domanda e offerta aggregate. È tanto sbagliato dunque demonizzare una situazione di deficit fiscale e di debito pubblico, quanto lo è acclamare come virtuoso un bilancio in pareggio. Le politiche fiscali devono essere calibrate, piuttosto, in base alla struttura della propria economia domestica e non inseguendo un livello obiettivo di debito/Pil”. Riprendendo gli argomenti di un economista cinese di impostazione keynesiana, Vito Lops scrive un lungo post sul Sole 24 Ore per evidenziare quanto sia errato considerare nocivo un elevato rapporto tra debito pubblico e Pil.

A lungo andare non poteva ovviamente mancare il riferimento al “maestro”: se c’è un eccesso di risparmio che non si traduce in investimenti, o quei soldi li prende in prestito lo Stato e li spende, oppure si crea una spirale deflattiva. Una tesi molto cara ai keynesiani, che è basata sulla confusione tra quantità nominali e reali. Buona parte di quello che oggi appare risparmio inutilizzato in realtà non deriva da redditi non consumati, bensì da denaro creato dal nulla nell’ambito delle politiche monetarie espansive condotte dalle banche centrali.

Il maggior deficit di oggi non sarebbe comunque un pasto gratis, quanto meno non per tutti. E la crescita del debito porrebbe prima o poi un problema di sostenibilità, se tale crescita fosse superiore a quella del Pil (cosa che accade praticamente sempre, visto che il mitologico moltiplicatore della spesa pubblica non è superiore a uno).

Come fare allora? “Il modo più efficace per ridurre questo rapporto, in ogni caso, è quello di aumentare il denominatore, dal momento che ad una crescita del Pil nominale corrisponde una riduzione esponenziale del rapporto debito/Pil. Al contrario, una battaglia volta a cercare di ridurre la variabile al numeratore (e quindi il livello del debito) difficilmente ha successo, dal momento che ostacola il principale meccanismo di conduzione del risparmio negli investimenti, risultando in un accumulo di risparmio e in una riduzione del PIL nominale.”

Se vi pare di avere già sentito questa storia non è un’impressione sbagliata, dato che tutti i keynesiani la vanno raccontando. Ciò che dicono meno esplicitamente è che quando il rapporto tra debito e Pil è particolarmente elevato (superiore al 100%), il metodo più efficace per far aumentare il denominatore più del numeratore è mediante l’inflazione.

Un metodo che consente di evitare tagli di spesa pubblica, avere un aumento di gettito fiscale a invarianza di aliquote per via dell’aumento nominale degli imponibili e una riduzione del valore reale del debito da restituire. Un vero paradiso per chi governa, molto meno per chi ha risparmia.

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1 COMMENT

  1. Dice , il genio, che le politiche fiscali vanno calibrate.
    Già da questa affermazione si capisce che ha il cervello all’ammasso.
    Da come la vedo io, che sono nessuno, le tasse devono essere bassissime e il sistema fiscale semplice, chiaro.
    Talmente chiaro e semplice da renderne controproducente ogni modifica.
    A meno retta ad ulteriore riduzione e snellimento.
    Questi fenomeni modulano le tasse come se fosse roba da ridere, dimenticando che chi le paga è gente che lavora, produce, si spacca la schiena ed impiega la propria esistenza.
    Se questi babbei hanno voglia di giocare possono andare alle conventions di Monopoli, e non rompere le scatole col fisco che si può calibrare.
    Ci sono delle esistenze dietro le tasse , delinquenti.

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