“Le tendenze deflazionistiche hanno più cause, alcune benigne, altre meno: il rallentamento dell’economia cinese che contribuisce a far scendere il prezzo delle materie prime; l’innovazione tecnologica che riduce i costi del commercio; l’invecchiamento della popolazione che aumenta i risparmi; l’eccesso di debito che scoraggia la spesa. Indipendentemente dalle cause, tuttavia, la ricetta per contrastare queste tendenze è una sola: aumentare la domanda aggregata. Ma con i tassi di interesse a zero o negativi, gli strumenti tradizionali di politica monetaria non funzionano più. E anche gli strumenti non-convenzionali a disposizione delle banche centrali sono quasi esauriti (con la parziale eccezione della Federal Reserve americana)”. Lo ha detto Guido Tabellini, ma come ho già rilevato in diverse occasioni negli ultimi tempi, si fa sempre più insistente il supporto da parte del mondo accademico all’utilizzo di dosi massicce di stimoli monetari e fiscali, ignorando evidentemente quanto sosteneva Einstein, ossia che è folle ripetere lo stesso esperimento aspettandosi di ottenere risultati diversi.
In pratica, per anni il mantra è stato che era necessario ridurre i tassi, fino a zero. E’ stato fatto, ma ciò non ha risollevato l’economia. Allora si è cominciato a pensare che la soluzione consistesse nel portare i tassi sotto zero, ipotizzando che il tasso “naturale” fosse negativo. Una circostanza che in nessun mercato lasciato libero da interventismo mai si manifesterebbe. Addirittura si sono moltiplicate le richieste di abolizione del contante, in modo tale da poter rendere più efficace l’utilizzo dei tassi negativi. Nessuna ripresa dell’economia degna di nota.
Nel frattempo si lodavano le creazioni di base monetaria da parte delle banche centrali mediante acquisto di titoli (i cosiddetti quantitative easing). Esperimenti ancora in corso, che hanno distorto completamente i tassi di mercato su tutte le scadenze e i premi per il rischio, senza produrre effetti positivi apprezzabili sull’economia reale.
Ogni volta ci veniva detto che lo stimolo successivo sarebbe stato quello risolutore, salvo poi constatare che non era così. Per inciso, mai è stata presa in considerazione l’ipotesi di fare autocritica su tutto quel crescente interventismo. Se il problema persisteva, occorreva solo aumentare la dose di stimoli.
Il tutto per far crescere la mitica domanda aggregata, come da manuale keynesiano che si rispetti. Il che, ridotto ai minimi termini, consiste nel far aumentare la spesa, non importa come e per comprare cosa. Di certo, se la gente non spende abbastanza, occorre trovare il modo per far sì che il sistema, nel suo complesso, colmi il gap rispetto a quanto desiderato (dal pianificatore di turno, of course). L’importante è che qualcosa venga fatto. E allora ecco il mantra che sta prendendo progressivamente piede: “Eppure, dal punto di vista tecnico, uno strumento per aumentare la domanda aggregata esiste anche nella situazione attuale: è la cosiddetta “moneta distribuita con l’elicottero”, per usare le parole di Milton Friedman. Cioè la banca centrale stampa moneta e la distribuisce ai cittadini, non in cambio di qualcosa (titoli di stato o la promessa di una restituzione futura), ma in modo permanente e a fondo perduto”.
Confesso che continuo a chiedermi perché non ci sia ancora qualcuno che propone di dotare le banche centrali del potere di fissare un listino prezzi universale, in modo tale da ottenere il livello desiderato. E dubito che la proposta non arrivi per via di un improvviso aumento di lettori dei lavori di Mises riguardo l’impossibilità di funzionamento del calcolo economico in un sistema socialista. Probabilmente si arriverà a proporre il price fixing da parte delle banche centrali una volta passati anche per l’helicopter money. Bontà sua, chi parla di helicopter money, in questo caso Guido Tabellini, ammette che vi sono obiezioni, ma sostiene che siano solo di natura politica: “Le obiezioni nei confronti di questo strumento non sono economiche, ma politiche. Dal punto di vista economico non c’è dubbio che sarebbe efficace. Una parte della moneta addizionale verrebbe risparmiata, ma certamente vi sarebbero cittadini che si affretterebbero a spenderla, facendo salire la domanda aggregata e i prezzi. Anzi, la moneta con l’elicottero avrebbe minori contro-indicazioni rispetto ai tassi di interesse negativi (che mettono a repentaglio la solidità patrimoniale di assicurazioni e banche), e al Quantitative Easing (che alimenta bolle speculative e assunzione eccessiva di rischi)”.
Chissà perché i tassi di interesse negativi e il Qe siano messi (timidamente) in discussione adesso e non ex ante. Che i tassi negativi danneggino il margine di interesse di banche e assicurazioni (e io non dimenticherei quella specie spesso bistrattata che va sotto il nome di risparmiatore) era prevedibile anche prima di introdurli, così come che il Qe generi bolle e sottovalutazione dei rischi era altrettanto prevedibile.
Ciò detto, non è affatto vero che le obiezioni all’helicopter money siano solo politiche, così come non è affatto vero che non vi sia dubbio sulla sua efficacia dal punto di vista economico. Ovviamente ci si deve intendere su cosa significhi crescita economica. Se ci si limita alla versione keynesiana di crescita nominale del Pil, allora ogni forma di monetizzazione qualche effetto di breve periodo lo produce. Ma la crescita nominale non corrisponde a quella reale, altrimenti basterebbe stampare soldi a volontà per vivere tutti quanti nell’abbondanza. Una tesi che finora era sostenuta da sparute minoranze come i fautori della MMT, che temo presto verranno raggiunti dal mainstream (il che la dice lunga, a mio parere, sulla crisi della economia accademica). Chi vorrebbe vedere elicotteri far piovere denaro da cielo dovrebbe anche spiegare come ciò possa avere un effetto permanente e non temporaneo. L’unico modo sarebbe far volare in continuazione quell’elicottero, il che, però, farebbe venire dubbi anche al più stupido degli uomini circa il valore di quanto viene lanciato.
Ma ecco la “vera obiezione”, quella politica. “La vera obiezione è che in questo modo la banca centrale si metterebbe a fare politica fiscale. Anziché intervenire sui mercati finanziari, la banca centrale si troverebbe a decidere entità e modalità di un trasferimento ai cittadini, senza alcuna legittimazione politica o istituzionale. Anche se non fosse proibito dalla legge, una banca centrale che effettuasse trasferimenti permanenti ai cittadini si troverebbe presto privata della sua indipendenza e della sua legittimità.” In realtà ogni intervento monetario è redistributivo: si tratta solo di stabilire chi sono i beneficiari. Ma niente paura, esiste un’obiezione all’obiezione.
“L’obiezione naturalmente è corretta. Ma non per questo l’idea va scartata. Il problema infatti non è lo strumento economico, ma l’attuale assetto istituzionale, che impedisce un coordinamento efficace tra politica monetaria e fiscale. Come hanno scritto Adair Turner (ex Presidente della Financial Service Authority inglese) e Ben Bernanke (ex Presidente della Federal Reserve), l’indipendenza e legittimità della banca centrale possono essere pienamente preservate, in questo modo: in circostanze eccezionali, la banca centrale può dichiarare che ha esaurito gli strumenti convenzionali, e che pertanto effettuerà un trasferimento permanente a favore del governo (o dei governi nell’area Euro). L’importo trasferito è scelto discrezionalmente dalla banca centrale, può essere diluito nel tempo, ed è motivato dalle circostanze economiche. Il governo (o i governi) non possono in alcun modo interferire con la decisione unilaterale della banca centrale, ma scelgono liberamente come disporre della somma trasferita: se e come distribuirla ai cittadini, se usarla per finanziare particolari voci di spesa, o per ritirare debito pubblico o semplicemente se accantonarla per il futuro. Naturalmente, se davvero le circostanze sono eccezionali, la pressione politica costringerebbe i governi a distribuire o spendere questa somma, raggiungendo così l’obiettivo di un effettivo coordinamento tra politica monetaria e fiscale.” Tranquilli: in piena “autonomia”, la banca centrale stabilisce quando le circostanze sono eccezionali e ha esaurito gli altri strumenti. A quel punto può stabilire, ovviamente sempre in totale “autonomia”, quanto denaro creare da nulla accreditandolo direttamente al Tesoro, senza nulla chiedere in cambio. Ogni governo poi stabilirà cosa fare con quei soldi. E c’è da scommettere che in poco tempo vivremo nel paradiso terrestre.
L’importante, par di capire, è salvare la forma: “Rispetto all’assetto attuale, non verrebbe stravolta la divisione dei compiti. La banca centrale resterebbe indipendente a avrebbe la responsabilità tecnica di decidere che è giunto il momento di fare ricorso a questo strumento eccezionale. E il governo avrebbe la responsabilità politica di scegliere se e come allocare le risorse a sua disposizione. Rispetto alle politiche seguite finora, tuttavia, l’efficacia sarebbe molto maggiore. Il QE infatti allenta il vincolo di bilancio del governo solo per la parte relativa agli interessi, e non costituisce un trasferimento permanente a favore dei governi. Nell’area Euro, in particolare, i governi rimangono soggetti ai vincoli sul debito pubblico. E anche se questi vincoli fossero allentati, in nome della “flessibilità”, l’attenzione dei mercati impedirebbe ai paesi più indebitati di spendere la liquidità immessa sui mercati dalla banca centrale, perché anche il debito comprato dalla Bce con il QE prima o poi andrà ripagato. Un trasferimento permanente, invece, non sarebbe soggetto a questi vincoli e sarebbe assai più efficace nel sostenere la domanda aggregata. Inoltre, la consapevolezza che politica monetaria e fiscale possono essere attivate con questo nuovo strumento contribuirebbe a ridare fiducia all’economia, rendendo con ciò meno necessario ricorrervi.”
In pratica, ognuno continuerebbe a fare “il suo”: la banca centrale a stampare denaro e lo Stato a spenderlo. Senza quell’impedimento dell’aumento del debito pubblico che accompagna il Qe e ogni altra forma di politica monetaria espansiva. Sul sostegno alla domanda ho già espresso prima alcune considerazioni. Quello che vorrei qui osservare è che, anche prescindendo dalla confusione tra ricchezza nominale e reale, se si considera il settore pubblico a livello consolidato le passività non cambiano, a parità di creazione di denaro dal nulla.
Con il Qe le passività dello Stato sono coperte da passività della banca centrale, che però ha al suo attivo i titoli emessi dal Tesoro. Si tratta di una partita di giro contabile, dato che la quasi totalità di quanto ricavato dalla banca centrale sui titoli torna al Tesoro in forma di tasse o retrocessione di utili.
Con la monetizzazione diretta lo Stato non ha passività, ma non ha neppure i ritorni di tasse e utili sui titoli da parte della banca centrale, mentre le passività di quest’ultima, a parità di utilizzo della stampante monetaria, non cambiano. E tutto quello che lo Stato spende finisce per generare depositi in banche e riserve presso la banca centrale. E’ pur vero che queste riserve oggi non costano nulla (anzi, in Area Euro sono a tassi negativi), ma pensare che ciò possa durare all’infinito rendendo “appetibile” la monetizzazione della spesa pubblica pone seri rischi sulla fiducia nella stabilità della moneta. Credere, poi, che banca centrale e governo non si facciano prendere la mano è come credere a Babbo Natale. E in caso di calo di fiducia, non ci sarebbe imposizione legislativa sufficiente a contrastare una fuga da quella moneta.
Al di là di tutto, resta il fatto che creare ricchezza dal nulla non è umanamente possibile. Anche l’elicottero non risolverebbe il problema, anzi lo renderebbe ancor più grande. Per rendersene conto basta il buon senso, che pare sempre meno diffuso tra chi si occupa professionalmente di economia.