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Islam: massacri, schiavismo, oppressione e cultura predatoria (2ª parte)

Da leggere

di ANTONIO DE FELIP*

Una lunga scia di violenze

turkey_islamismIn sostanza, quella dell’Islam è una lunga storia non solo di feroci conquiste, di invasioni, di massacri, di violenze, di vessazioni, ma anche di “rapina dei talenti”. Una fonte assolutamente preziosa in merito a questa lunghissima serie di violenze è data da un argomentatissimo testo di una storica di nazionalità britannica nata in Egitto: BatYe’or: Il declino della Cristianità sotto l’Islam, Lindau, Torino 2009.  (Di quest’autrice Lindau ha anche pubblicato un altro fondamentale testo: Eurabia.) Nel libro l’autrice narra di come i tesori di tecnologia e di scienza accumulati dalle civiltà precedenti vennero messi al servizio dei nomadi e seminomadi arabi e più tardi turchi. E aggiunge: “La letteratura, le scienze, l’arte, la filosofia e la giurisprudenza islamiche non nacquero né si svilupparono in Arabia, vale a dire in un contesto arabo-musulmano, ma tra i popoli conquistati, nutrendosi della loro linfa vitale, del corpo morente ed esangue della civiltà dhimmi.”

Eppure, quante volte ancora dobbiamo ancora sentire la logora, irritante vulgata di una “civiltà islamica” tollerante con i “Popoli del Libro” che poterono prosperare, liberi nella loro fede? E’ questo un gigantesco, truffaldino, ignobile falso storico. Ovviamente, variegate e diversificate, nell’arco di circa 1.400 anni, furono le varie situazioni storiche e geografiche, e certamente ci furono anche sprazzi di periodi in cui i cristiani poterono sopravvivere, soprattutto se le loro conoscenze, il loro lavoro e il loro denaro erano necessari agli islamici. I massacri di cristiani si ripeterono in tutti i territori conquistati o depredati, e rappresentarono una lunga scia di sangue che arriva ai giorni nostri. Ma certamente ci furono anche tempi e posti ove i cristiani riuscirono, sia pure a carissimo prezzo, a sopravvivere. Erano dhimmi, “protetti”, obbligati a una pesantissima jizya, cioè a una tassa personale, in sostanza una taglia per la sopravvivenza. La jizya veniva pagata dai cristiani durante una umiliante cerimonia pubblica, nel corso della quale venivano colpiti violentemente alla nuca o al capo, per indicare la loro sottomissione. La parte maggiore delle entrate tributarie dell’impero ottomano proveniva dai cristiani, che non disponevano di alcuna protezione giuridica né della possibilità di ricorrere ai tribunali islamici, dove la testimonianza dei cristiani non valeva nulla (e questo ancora alla fine del XIX secolo). I cristiani erano considerati bestie inferiori e a loro veniva riservato un trattamento discriminante e umiliante: a Damasco e altrove, ad esempio, ai cristiani era vietato cavalcare animali di qualsiasi tipo. La costruzione di chiese cristiane era vietata così come era vietato il loro ripristino e restauro, in caso di danneggiamenti e vetustà. Esistevano inoltre diverse forme di discriminazione anche in merito al vestiario. Le conversioni forzate erano la norma, anche se frenate dal danno economico causato ai musulmani dalla perdita della jizya. E’ quindi da considerare miracolosa la sopravvivenza, nei secoli, di cristiani in Medio Oriente, anche se tuttora sotto la minaccia dei genocidi praticati dall’Isis e dalle altre forze islamiche, in continuità con la storia di sempre.

Questa lunga scia di sangue provocata dall’Islam è ben decritta e spiegata, tra gli altri, dal citato libro di BatYe’or Il declino della Cristianità sotto l’Islam, a cui rimandiamo e da cui abbiamo tratto molte informazioni per le presenti note.

islamNelle popolazioni e nella letteratura cristiana-europea è sempre stata presente la percezione della pericolosità dell’Islam, delle stragi e delle violenze compiute, delle migliaia e migliaia di uomini, donne, bambini resi schiavi dagli islamici. Ben due ordini religiosi, i Trinitari e i Mercedari furono dedicati dalla Chiesa al riscatto degli schiavi cristiani, spesso con i monaci che si “sostituivano” agli schiavi liberati.  A partire dal XVIII secolo, tuttavia, la condivisa consapevolezza in Europa della crudeltà insita nella “civiltà” islamica sembrò attenuarsi. La pesantissima sconfitta dei turchi sotto le mura di Vienna nel 1683, le successive vittorie del Principe Eugenio di Savoia e degli imperiali nei Balcani, che portarono a una loro parziale liberazione, le conquiste russe nel Caucaso e in altre regioni centro asiatiche, il progressivo declino della Sublime Porta, anche per l’impossibilità di sfruttare nuove conquiste di terre cristiane, la sua decadenza tecnologica e quindi anche militare, il cosmopolitismo anticristiano dell’Illuminismo, non privo di “simpatie” islamiche, portarono a una raffigurazione e una narrazione dell’Islam in Europa più edulcorata, quasi “pre-romantica”.

Languide e ammiccanti raffigurazioni degli harem e degli hammam comparvero in pittura; allegre marce, marcette e rondò alla turca fiorirono nella musica dell’epoca (nella sonata n. 11 per pianoforte di Mozart, o nel quarto movimento della nona di Beethoven, ad esempio). Gioachino Rossini scriveva l’opera buffa L’Italiana in Algeri, il cui libretto prendeva peraltro lo spunto da un fatto vero, il rapimento da parte dei corsari algerini di una nobildonna milanese. Insomma, un’invasione di turquerie che contrabbandavano un’immagine esotica ma tutto sommato non negativa dell’impero ottomano. Più tardi, a questa islamofilia e turcofilia estetizzante si affiancherà una ben più pericolosa turcofilia politica britannica, in funzione antirussa, che affiancò al tradizionale, astioso anti-cattolicesimo inglese un inedito astio anti-ortodosso. Fu un vero e proprio scatenarsi di russofobia britannica, a cui non furono estranei cospicui finanziamenti dalla Sublime Porta ai giornali radicali e liberal inglesi, spesso di orientamento metodista (cioè calvinista), che generò una sorta di “guerra fredda” tra Russia e Gran Bretagna intorno alla Turchia, nel Caucaso e soprattutto nell’Asia Centrale (il “grande gioco” descritto da Kipling in Kim). In più di una situazione la Russia fu sul punto di far cadere definitivamente l’impero Ottomano, liberando Costantinopoli e i cristiani dei Balcani, del Medio Oriente e dell’Egitto dalla feroce oppressione turca. Ma l’Inghilterra lo impedì sempre, minacciando l’uso della flotta. Poi la guerra fredda si trasformò in conflitto vero, con la Guerra di Crimea. Eppure, se la Russia zarista fosse riuscita nel suo intento di smembrare definitivamente l’ormai in disfacimento impero turco,si sarebbero risparmiati molti massacri successivi, quello degli armeni, ad esempio, ma non solo. Costantinopoli sarebbe ritornata cristiana e i greci avrebbero continuato a risiedere nelle loro millenarie città in Asia Minore.

crimeaCome sappiamo, la guerra di Crimea scoppiò in difesa della Turchia, che da decenni provocava la Russia la quale, dopo lungo tollerare, si decise a rispondere con le armi. Lo zar Nicola I, fervente cristiano, dopo vari tentativi di mantenere la pace, intraprese la guerra, come dichiarò, “per uno scopo esclusivamente cristiano” e “sotto lo stendardo della Santa Croce”. Per lo Zar, gli scopi della guerra erano chiarissimi:Tutte le regioni cristiane della Turchia devono necessariamente diventare indipendenti, devono ridiventare ciò che erano in precedenza: principati e stati cristiani”. In un recente e molto documentato libro sulla guerra di Crimea (Orlando Figes, Crimea – L’ultima crociata, Einaudi, Torino 2015), l’attacco della Gran Bretagna e della Francia, con il ridicolo, ininfluente e cinico supporto del Piemonte di Cavour, contro la Russia viene giustamente definita “una guerra ipocrita”. Come avvenne, infatti, che paesi cristiani ed europei entrarono in guerra contro un altro paese cristiano ed europeo in difesa di un impero musulmano che aveva rappresentato per secoli una minaccia per il nostro continente? La Gran Bretagna, come si diceva, era in preda a una furiosa russofobia. Fanatici radicali e liberali accreditavano un’immagine della Turchia fatta di tolleranza, modernizzazione e moderazione, ovviamente totalmente falsa, mentre la Russia veniva dipinta come stato oppressore e dispotico (nel frattempo l’Inghilterra opprimeva e uccideva con la fame l’Irlanda rimasta, nonostante la feroce occupazione, ostinatamente cattolica.) La Massoneria inglese, che era infiltrata nelle classi dirigenti turche (il ministro degli Esteri ottomano Mustafa Resid era in contatto con la Massoneria), soffiava sul fuoco per odio anti-ortodosso. Inoltre pesava una presunta minaccia, in Asia Centrale, della Russia contro l’India, quando in realtà l’impero zarista non aveva nessuna intenzione bellica contro i possedimenti inglesi. Per quanto concerne la Francia, pesavano l’intento di Napoleone III di riacquistare un peso in Europa e antichi dissapori con la Russia sulla protezione del Luoghi Santi.

Ovviamente, la cronaca della guerra di Crimea è estranea alle presenti pagine. Non è comunque inutile ricordare come, anche in questo evento storico, i turchi e gli altri musulmani (soprattutto albanesi e tartari di Crimea) si resero colpevoli di stragi e saccheggi di città cristiane. A Giurgevo, nella regione danubiana,1400 soldati russi arresisi vennero massacrati dai turchi mentre gli ufficiali inglesi stavano a guardare. Tutte le chiese vennero saccheggiate e l’intera popolazione cristiana costretta alla fuga. Scene simili si ripeterono in tutti i teatri di guerra, in Crimea e nei Balcani. In Bulgaria, in particolare, le forze turche attaccarono cittadine e villaggi, distruggendo chiese, decapitando sacerdoti, mutilando cadaveri e stuprando donne. Non per nulla, migliaia di volontari bulgari, rumeni, greci, valacchi si unirono alla Russia nella “ultima crociata” contro i turchi.

Ma veramente nel XIX secolo, sotto le spinte della diplomazia occidentale e di alcune caute riforme modernizzatrici, l’impero ottomano – e l’Islam in generale – si convertì alla moderazione, alla tolleranza e a un atteggiamento pacifico nei confronti dei cristiani? Per nulla. Nonostante l’immagine edulcorata, esotica e estetizzante che si era diffusa in Europa, l’Islam rimase, anche in questo secolo, quello di sempre: sanguinario, schiavista e oppressore.

Nel 1815, pirati barbareschi provenienti da Tunisi attaccarono l’isola d’Elba, facendo numerosi prigionieri destinati alla schiavitù o alle armi. Tra questi un bambino di sei anni, Giuseppe Vantiniche, cresciuto nel palazzo del Bey di Tunisi e convertito all’Islam, sarebbe poi diventato, sotto il nome di Yussuf, generale di truppe irregolari turche utilizzate dai francesi nella guerra di Crimea.

Nel Caucaso, terra di confine e di continue lotte tra la Russia e i khanati musulmani, i mercanti di schiavi, in maggioranza kirghisi, razziavano villaggi, fattorie e carovane di commercianti russi per farne schiavi. Nel 1819 le cronache descrivevano un mercato di schiavi fiorente del khanato di Chiva, attestando tra essi la presenza di almeno 3.000 sventurati russi, spesso razziati da bambini. Furono viaggiatori inglesi ad accertare la presenza a Buchara, nel 1832, di almeno 130 schiavi russi. Nel 1853, sempre nel Caucaso, ad Ardahan, truppe irregolari turche attaccarono, tra l’altro in violazione di un precedente trattato, la fortezza russa di San Nicola, massacrarono un migliaio di soldati cosacchi che si erano arresi, torturarono centinaia di civili, violentarono donne e caricarono sulle navi ragazzi e ragazze georgiani da vendere come schiavi a Costantinopoli.

Durante la guerra di liberazione greca, che tanta partecipazione scatenò nei romantici europei come Byron, le rappresaglie turche contro la popolazione civile furono terribili: basti pensare al massacro dell’isola di Chio, nel 1822, che contava 113.000 abitanti: furono almeno 20.000 gli uomini, le donne e massacrati dalle truppe ottomane. Il resto della popolazione venne deportata come schiava. Sull’isola rimasero solo 1.800 sopravvissuti.  L’emozione in Europa per questo massacro è testimoniata da un intenso dipinto di Eugène Delacroix, attualmente al Louvre. Nel 1821, le insurrezioni anti-ottomane in Moldavia e in Morea generarono nuovi massacri di Cristiani a Costantinopoli, in Tracia, in Asia minore, in Macedonia. Il terrore anticristiano, aizzato da dervisci provenienti dall’Asia, imperversò per almeno due mesi: a Costantinopoli, la domenica di Pasqua il patriarca e diversi vescovi furono impiccati sulla pubblica piazza, le chiese demolite, i cristiani massacrati, i loro beni saccheggiati e incendiati.

armenia2Nel 1836, su ordine diretto del sultano, migliaia di bambini armeni, soprattutto dell’Anatolia, vennero strappati alle loro famiglie e, dopo un trasferimento a tappe forzate a Costantinopoli, costretti a lavorare come schiavi nei cantieri navali nelle mansioni più pericolose. Questi rapimenti si ripeterono anche negli anni successivi.

Costretta dalle pressioni internazionali, la Sublime Porta proclamò, in più occasioni, editti il cui scopo era quello di garantire una maggiore protezione ai cristiani. Tali editti, tuttavia non vennero mai applicati e, anzi, generarono rabbiose e sanguinose reazioni tra i musulmani. In Siria e in Libano, nel 1860, almeno 20.000 cristiani vennero massacrati dalle folle musulmane: le autorità pubbliche ottomane non intervennero.

Tra il 1855 e il 1866, gli ottomani tentarono una massiccia islamizzazione dei Balcani: più di un milione di curdi e circassi vennero insediati in questa regione. I nuovi “migranti” iniziarono a depredare e taglieggiare i contadini cristiani, rispondendo con massacri a ogni tentativo di resistenza. La stessa politica di incoraggiamento alla migrazione venne esercitata dalla Sublime Porta nei confronti dei territori armeni.

Nel 1856, a Nablus, in Palestina, l’uccisione di un ladro musulmano da parte di un missionario protestante scatenò un pogrom contro i cristiani: come al solito, chiese vennero distrutte, beni saccheggiati. L’odio anticristiano e anti-europeo non si fermò davanti ai residenti europei: alcuni funzionari del consolato prussiano vennero linciati assieme a dozzine di altri cristiani locali.

Nel 1875 e 1876 rivolte anti-ottomane scoppiarono in Erzegovina, in Bosnia, in Montenegro e in Bulgaria. Anche in questo caso, la repressione turco-musulmana fu ferocissima: solo in Bulgaria le vittime civili cristiane della rappresaglie turche furono più di 112.000. A Batak, un villaggio tra i monti, un migliaio di cristiani avevano cercato rifugio in una chiesa. I turchi diedero fuoco all’edificio uccidendoli tutti.

Di fronte a simili crudeltà, anche l’opinione pubblica liberal in Gran Bretagna incominciò a rivedere le proprie convinzioni, e in particolare l’ingenua visione, instillata dai protestanti metodisti, dalla massoneria e dai giornali radicali, di un impero turco tollerante, moderato e volenteroso discepolo del liberalismo albionico. Ciò non impedì tuttavia la Gran Bretagna di mandare ancora una volta la Royal Navy in difesa dell’impero ottomano, quando, nel 1877, la Russia irruppe nei Balcani, assieme a migliaia di volontari bulgari, serbi e di altri paesi, per liberare definitivamente la regione dalle crudeltà turche e riconquistare Costantinopoli alla Cristianità.

Molti ritengono che il genocidio degli armeni – inteso come intenzionale atto di distruzione totale di un popolo –sia da far iniziare nel 1915 con un picco di massacri nel 1916. In realtà, a parte precedenti, ricorrenti violenze di cui in parte abbiamo già dato conto, i massacri sistematici iniziarono ancora prima.Tra il 1895 e il 1896, tra i 100.000 e i 200.000 armeni vennero massacrati dagli ottomani nell’Armenia turca, a Trebisonda, a Sassun e in altre città della Mesopotamia. Non si colpirono solo gli armeni, ma anche altri cristiani in Siria, i cui villaggi vennero incendiati, gli uomini uccisi e le donne rapite. Nel 1895 circa 3.000 cristiani vennero bruciati vivi nella cattedrale di Edessa. Altri 30.000 armeni vennero uccisi ad Adana nel 1909.

Del genocidio degli armeni del 1915-1917 molto è stato detto e scritto: una stima prudentissima valuta in 1,5 milioni il numero delle vittime di questo Olocausto cristiano. Meno noto è il fatto che questo genocidio non riguardò solo gli armeni, ma molti altri cristiani dell’area di varie confessioni: cristiani giacobiti, caldei, siriaci cattolici e protestanti. Solo aMardin, in Mesopotamia, furono massacrati 86.000 giacobiti.

L’obiettivo di una completa “turchizzazione” etnica della Turchia (ricordiamo che, solo agli inizi del secolo scorso, i “non turchi”, greci, armeni, ebrei, europei in genere erano una consistente parte della popolazione di Costantinopoli) venne completato nel 1923, quando un milione di greci dovette abbandonare, a seguito della pulizia etnica turca, i millenari insediamenti storici in Ionia, in Asia Minore, come a Smirne. E’ stato calcolato che, nelle guerre e nelle persecuzioni, un numero calcolabile tra i 750.000 e 900.000 greci venne ucciso per mano turca solo tra il 1914 e il 1922. Nel Ponto, regione dell’Asia Minore affacciata sula Mar Nero, furono 360.000 i greci, che da tempo immemorabile lì vivevano, ad essere uccisi dai turchi. Molte istituzioni riconoscono il carattere di “genocidio” a questo massacro, analogo a quello degli armeni, ma molto meno conosciuto.

Ancora nel 1974, truppe turche invasero la pacifica Repubblica di Cipro, dove solo il 18% della popolazione era turco. Tutta la parte nord di Cipro cadde nelle mani degli invasori turchi, che cacciarono i 200.000 greci che vi vivevano. Venne insediato un governo fantoccio, mai riconosciuto dalla comunità internazionale e migliaia e migliaia di contadini dell’Anatolia vennero deportati a Cipro per “ripopolare” l’area invasa. Oggi, nella città cipriota di Famagosta, che vide il martirio di Marcantonio Bragadin per mano turca, la stupenda cattedrale gotica di San Nicola è stata trasformata in moschea.

Questo per quanto riguarda il Medio Oriente ottomano. Ma, nel secolo scorso, anche l’Italia ha conosciuto la violenta ferocia di truppe arabo-musulmane, in un episodio che sembra essere stato cancellato dalla documentazione e dalla memoria, ma che le popolazioni interessate non hanno dimenticato. Nel 1944, le truppe marocchine, inquadrate nell’esercito francese gollista e guidate dal generale Juin, ebbero da questi, probabilmente con l’assenso del Comando alleato, l’autorizzazione allo stupro e al saccheggio dopo lo sfondamento della linea Gustav. Questi “liberatori” avevano iniziato le loro violenze in Sicilia, ma il culmine di queste venne raggiunto, appunto, nel maggio del 1944nel Lazio, soprattutto nel Frusinate e poi nella Toscana del sud. Si calcola che circa 60.000 donne, bambine, bambini, ragazzi, vennero violentati e decine furono i cittadini torturati, sodomizzati e uccisi perché si erano opposte alle violenze: tra questi, alcuni sacerdoti. Vi furono paesi in cui tutte le donne vennero violentate. Ovviamente le case, gli edifici, le chiese venivano contemporaneamente depredati. Persino i “cobelligeranti” del Regno del Sud protestarono per queste violenze la cui ferocia indignò anche le truppe americane, certo di solito non tenere con la popolazione civile.

Conclusioni

islam2Di fronte ai massacri e alle crudeltà commessi da militanti musulmani praticamente in tutto il mondo, la cultura mainstream richiama spesso l’esistenza di un Islam “moderato” (ma l’aggettivo, riferito a una religione, a una qualsiasi religione, è del tutto incongruo), tollerante, pacifico, saggio come gli intellettuali islamici che, nello storytelling medioevale, dialogavano con teologi ebrei e cristiani. Questa cultura richiama i filosofi islamici medioevali, la bellezza dell’arte e dell’architettura islamica, la sapienza insita nella letteratura che produsse Le mille e una notte. Ovviamente nessuno può negare questi aspetti della civiltà musulmana, considerando anche che di “civiltà islamiche” ve ne sono state, storicamente e geograficamente, parecchie e spesso assai diverse tra loro. Inoltre è difficile parlare di un solo islamismo, suddiviso com’è non solo nelle due grandi correnti dei sunniti e degli sciti, ma in ulteriori suddivisioni e spesso in sette “di frangia” come i drusi e gli alawiti.  Tuttavia è altrettanto difficile negare come le razzie, la schiavizzazione e l’oppressione di intere popolazioni, i massacri di “infedeli”, siano una verificabile costante dell’agire storico di molte società musulmane.

Spesso, persino in ambienti cattolici, si invoca una “parentela” tra il Cristianesimo e l’Islam. Al di là di ambiguità conciliari e postconciliari, questa parentela è stata vigorosamente negata da molti teologi, tra i quali anche il protestante Jaques Ellul (cfr. Jaques Ellul, Islam e Cristianesimo – Una parentela impossibile, Lindau, Torino 2006, con una bella prefazione di Alain Besançon). Come già accennato le due religioni presentano una visione di Dio completamente opposta, un Dio creatore di ragione e amore, quella cristiana, un Dio a-razionale, pura volontà quella islamica. Nel testo citato, Besançon scrive, riferendosi alle leggi che governano il mondo,del “puro capriccio di Dio che caratterizza la religione musulmana” e Ellul definisce l’azione di Dio “puramente arbitraria”, il che rende impossibile lo sviluppo della scienza nel contesto culturale islamico: se il mondo è stato creato non secondo ragione, ma sulla base della pura volontà di Dio (“il fuoco brucia, ma Dio avrebbe potuto crearlo anche ghiacciato”), ogni sforzo per individuarne le leggi che lo governano non è solo inutile, ma anche blasfemo.

Un dato peraltro è inoppugnabile: nonostante le opinioni di molti intellettuali, giornalisti, politici, l’Islam è stato per secoliuna minaccia per la nostra civiltà europea, basata sulle sue molteplici e variegate radici (greche, romane, cristiane, celto-germaniche, slave ed altre ancora) ma tra le quali non troviamo quella musulmana. E una minaccia lo è tuttora, attraverso le varie forme citate all’inizio del testo: invasione demografica, terrorismo, pulizia etnica, propaganda. Negare questa minaccia, negare la storia, edulcorare e falsificare il linguaggio per impedire persino il solo insorgere delle opinioni “politicamente scorrette” (come ad esempio, negare il diritto, come è già avvenuto, di usare la definizione “terrorismo islamico”) significa solo accelerare il nostro declino e facilitare la nostra sottomissione. Che è esattamente il significato della parola Islam.

*Associazione Gilberto Oneto

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