Il 9 ottobre 1963 era stata una giornata più primaverile che autunnale. Era di mercoledì e la sera, in tv, davano Real Madrid-Glasgow, ma la tv in casa, allora, quasi manco esisteva. Dunque, come era prevedibile, gli uomini si ritrovarono al bar a guardare una partita di calcio, senza sapere però che di li a poco si sarebbe consumata una delle più grandi catastrofi del secolo. La partita cominciò alle 21.30, e proprio in quel momento sulla piana di Longarone si alzò un vento strano. Alle 22.39 accadde il disastro. Saltò la luce. E con essa saltarono le vite di 1910 persone.
La frana del Vajont, il monte Toc, dal Veneto e Friulano «patoc», che tradotto in lingua italiana significa completamente marcio, che è riuscito a mollare migliaia di metri cubi (290 milioni, all’incirca) nell’invaso sottostante, e anche un muro d’acqua accompagnato dal fango, che fece letteralmente sparire il paese di Longarone. La diga resse perfettamente, venne scavalcata dall’acqua. Del caso Vajont è spuntata anche una lettera denuncia, anni fa, e la procura della Repubblica di Belluno aprì un’ inchiesta sulla lettera pubblicata dal Gazzettino, lettera in cui Francesca Chiarelli, figlia del notaio Isidoro Chiarelli, sostenne che un’esplosione programmata provocò il disastro. Ma venne, successivamente, considerata non significativa. Quella frana – diceva la lettera – era stata pilotata, decisa a tavolino e menzionata da due dirigenti della SADE allora società proprietaria della diga del Vajont, nello studio del notaio Chiarelli. Era il periodo in cui la SADE definiva le compravendite dei terreni, e proprio in quella occasione nello studio Chiarelli si definì uno di quei passaggi di terreni, quando a un tratto il discorso virò e si parlò di pilotare il distacco della frana del monte Toc facendola cadere piano nell’invaso.
Su quel tragico passato, ogni anno si scrive e si ricorda. Oggi, nel giorno dell’anniversario, molti diranno la loro, come al solito.
Della tragedia, in cui molti ancora pensano si sia trattato del crollo della diga, Paolini è stato uno dei primi a riportarla nei ricordi delle cronache contemporanee. Poi, il film di Renzo Martinelli ha fatto la sua parte e Mauro Corona, scrittore alpino molto noto, ce la ricorda in continuazione, oltre ad averci dedicato un libro. Molti sono i ricordi di una tragedia immane, che segna una delle “grandi opere” volute dallo Stato, a cui va attribuito questo disastro.