Capita piuttosto di frequente di imbattersi in affermazioni, o in interi articoli, nei quali sono dati per scontati alcuni concetti fondamentali per la tesi che l’autore sostiene, ma che scontati non lo sono affatto. Per esempio, mi sono di recente imbattuto in un articolo di Franco Gallo in memoria di Ezio Vanoni, figura venerata in Italia pressoché da ogni esperto (o presunto tale) di questioni tributarie.
Gallo inizia così: “Siamo tutti cresciuti sotto l’insegnamento dei principi fondamentali del cristianesimo, che sono la solidarietà, la sussidiarietà e la garanzia del bene comune. Non possiamo, quindi, non apprezzare istintivamente l’attualità di un pensiero, come quello di Ezio Vanoni, fortemente ispirato a tali principi. Non è necessario essere cristiani professanti o aver letto Socrate per rendersi conto che una vita non sottoposta a verifica in termini di valore non vale granché e che, se vogliamo che questa verifica avvenga, è necessario muoverci nella direzione indicata negli anni Cinquanta del secolo scorso da Vanoni, negli scritti e nell’azione di governo”.
Non è affatto detto che tutti quanti siano cresciuti sotto l’insegnamento dei principi fondamentali del cristianesimo, ancorché sia ragionevolmente presumibile che ciò sia vero per una netta maggioranza di italiani. Ciò nondimeno, non è affatto detto che chi ha ricevuto quel tipo di insegnamento lo condivida, né che debba “istintivamente” apprezzare il pensiero di Ezio Vanoni. Per di più, i giudizi di valore sono per definizione soggettivi, mentre per Gallo sembra scontato che tali valori siano oggettivi, e coincidano con quelli di Ezio Vanoni.
Prosegue infatti Gallo: “Dobbiamo, cioè, non solo accordarci sul significato di «giusto» e di «bene» e di «equità distributiva», ma convincerci che nelle democrazie parlamentari spetta al potere pubblico, allo Stato, alla politica fissare i confini della libertà economica e dosare ragionevolmente gli strumenti da utilizzare perché una società sia più giusta nella libertà e ciascuno abbia diritto a un’esistenza dignitosa. Per Vanoni il tributo è, insieme alla spesa, il più importante di questi strumenti”.
Io credo che nessun concetto di giustizia e di equità distributiva possa prescindere dal rispetto del principio di non aggressione, perché se per migliorare la situazione di Tizio prelevo risorse a Caio contro la sua volontà, commetto ingiustizia nei confronti di quest’ultimo. Credo, quindi, che non riuscirei ad accordarmi con Gallo e chi la pensa come lui sui concetti richiamati. Ma mentre l’applicazione del principio di non aggressione non viola la proprietà di nessuno, l’idea che spetti allo Stato “fissare i confini della libertà economica” equivale a rendere l’individuo totalmente alla mercé di chi rappresenta tempo per tempo lo Stato.
Secondo Gallo, poi, lo Stato deve fare giustizia dosando “ragionevolmente” gli strumenti redistributivi (ossia tasse e spesa pubblica). Ma “ragionevolmente” cosa significa? E quanto al “diritto a un’esistenza dignitosa”, cosa si intende per “dignitosa”? Suppongo che Gallo dia per scontato che il contenuto di tali parole debba intendersi stabilito dalla costituzione e dalle leggi emanate da chi tempo per tempo detiene la maggioranza. Il che equivale a sostenere che, in nome di ciò che la maggioranza ritiene “giusto”, l’individuo può essere sottoposto a ogni trattamento. Si tratta, a ben vedere, di una posizione che potrebbe giustificare anche un regime totalitario. Non a caso gran parte dei dittatori si autodefiniscono democratici e professano un grande amore verso il popolo.
Ma andiamo avanti con le parole di Gallo: “Si tenga presente che ai tempi di Vanoni il prelievo fiscale era ancora considerato una sorta di premium libertatis o, al più, l’altra faccia negativa del costo dei diritti. Egli è stato uno dei primi a capire che il tributo deve essere, invece, uno strumento per correggere le distorsioni e le imperfezioni del mercato a favore delle libertà individuali e collettive e a tutela dei diritti sociali. Come diceva spesso, si tratta non di vedere quanta parte dei servizi pubblici è consumata da ogni individuo per prelevarne il prezzo corrispondente, ma «di determinare quanta parte dello sforzo comune deve essere sopportato da ogni singolo, secondo i concetti politici, etici, giuridici, economici dominanti in un determinato Stato, in un determinato momento»”.
In pratica, in nome dei “concetti politici, etici, giuridici, economici dominanti in un determinato Stato, in un determinato momento” si può sottoporre l’individuo a ogni quantità di “sforzo comune”, a prescindere dal suo punto di vista. Il tutto (senza alcun senso del pudore) in nome delle “libertà individuali”. Il riferimento alle libertà collettive mi sembra privo di logica, perché non vedo come possa esistere una libertà collettiva che violi la libertà individuale, come inevitabilmente avviene con la tassazione.
Quanto alle “distorsioni e imperfezioni” del mercato, Vanoni sosteneva l’inadeguatezza del “mercato concorrenziale tanto ad affrontare i problemi dell’accumulazione e dello sviluppo equilibrato, quanto a produrre una redistribuzione della ricchezza eticamente accettabile”. Di conseguenza serve “un ordinamento tributario che corregge gli esiti del mercato pur nel rispetto della concorrenza e delle libertà economiche, che attribuisce al tributo una funzione di giustizia sociale in attuazione del principio costituzionale di uguaglianza e che disciplina il dovere di concorrere alle spese pubbliche come dovere di solidarietà”. Posto che il mercato produce (preferibilmente se privo di distorsioni dovute a interventismo) una distribuzione delle risorse conforme alla volontà di chi effettua gli scambi, mi sembra evidente che per “eticamente accettabile” sia inteso ciò che lo Stato considera tale. Il che, tra l’altro, è coerente con la difesa dell’istituto dell’esproprio per ragioni di pubblica utilità, che rappresenta una delle massime forme di disprezzo del diritto di proprietà.
Correggere il mercato nel rispetto delle libertà economiche è semplicemente un ossimoro, così come è vuoto il significato di giustizia sociale se perseguita mediante l’aggressione della proprietà individuale. Quale giustizia si rende al soggetto privato contro la sua volontà di una parte più o meno consistente di risorse prodotte o ottenute con scambi volontari?
Un’ultima citazione di Vanoni, riportata da Gallo: “La finanza, attraverso il tributo, può intervenire in una politica tendente al fine di attuare una maggiore giustizia sociale, indirizzando la propria azione redistributiva nel senso di ridurre le disuguaglianze nella ripartizione della ricchezza, di dare stabilità al risparmio, di favorire il determinarsi delle migliori condizioni per l’occupazione e per l’incremento dei salari”. In pratica, in nome di ciò che il governante ritiene “giusto” e “migliore”, la libertà e la proprietà del singolo possono essere compresse a piacere mediante la tassazione. Affermazioni che dovrebbero terrorizzare, e invece sono considerate perle di saggezza.