Odio lo Stato e gli statalisti. Ne ho abbastanza di leggere articoli scritti da zecche che osservano chi produce ricchezza agitarsi nei capannoni o dietro ad un registratore di cassa, con le loro lenti distopiche: laddove brulica una vita che le zecche non vivono, così come non la vivono tanti giornalisti e politici che la osservano e la giudicano dai loro laboratori separati, asettici, fuori dai quali annasperebbero e perirebbero come in un’acqua che non è la loro.
È dal 1992 che leggo analisi basate su altre analisi, sommate ad altre analisi fratto altre analisi, commenti su altri commenti, il tutto mentre tengono al caldo il loro culo flaccido: con lo stesso rapporto che ha il portaborse liberale con gli imprenditori dell’esistente, vite degli altri che si limitano a guardare e a sezionare da parassiti quali sono, da non-protagonisti, da non viventi. Ma non ci sono più le parole, scrissi una quindicina d’anni fa: eppure, da allora, hanno fatto solo quelle, anzi, hanno anche preso a vendere fumo anziché concretezza.
Eccone il risultato, ecco alfine la mia concretezza, le mie parole: che io odio gli statalisti anche quelli travestiti, tutti gli statalisti, di destra, di sinistra, di centro, atei o credenti, con la loro religione più schifosa addirittura di tutte le altre, odio il loro odio che è proibito odiare, i loro palazzi squallidi, la loro cultura del bene comune e il tanfo dei loro soldi, le loro cadreghe sfondate e la loro moneta fiat, i giudici, i loro velli, i culi sul marciapiede che dovrebbe essere mio, il loro cibo rubato a chi lavora, i digiuni pannelliani, i maiali che stanno seduti in parlamento, l’ipocrisia sull’alcol e su ogni vizio umano, il vestigio, la loro permalosità sconosciuta alla cultura anarco-capitalista, le teocrazie, il taglione delle tasse, le “povere” donne alla ricerca delle “pari opportunità”, quel manualetto militare che è la “Costituzione più bella del mondo”, anzi, quella merda di libro con le sue due parti e i suoi articoli, parole orrende che ci hanno costretto a imparare.
Odio lo statalismo, anzi no, lo disprezzo! Perché un anarco-capitalista non odia e non invidia, ma disprezza, perché disprezzare è anti-democratico esattamente come l’amare, odio dover precisare che l’anti-capitalismo è per loro legittimo mentre l’antistalismo no, perché è a loro che fa paura doversi guadagnare da vivere: e io non ne ho, di paura.
Io non disprezzo il diverso, anzi: disprezzo lo statalismo che ci vuole uguali, perché la mia (non so la vostra) è storia di responsabilità, cattolica, laica, greco-latina che sia, ma non rousseiana: ma è la storia di un’opposizione lenta e progressiva e instancabile a tutto ciò che gli gli statalisti dicono e fanno, gente che non voglio a casa mia, perché non ci voglio parlare, non ne voglio sapere. E un calcio ben assestato contro quel loro culo che occupa impunemente il mio marciapiede e mette le mani nel mio portafoglio è il mio miglior editoriale.
Disprezzo lo statalismo, ma gli statalisti non sono un mio problema: qui, dove sono o sarò, in Occidente o meno, sono io a essere il loro.
*L’articolo di cui sopra è una mia personale revisione del pezzo che è costato a Filippo Facci due mesi di sospensione, senza stipendio, da parte dell’Ordine dei giornalisti, intitolato “Io odio l’Islam”. L’articolo originale lo potete leggere QUI. Ora, mi aspetto che l’Ordine fascista – visto che anche io come Filippo sono un giornalista professionista- mi sospenda per un po’, dato che il mio è un attacco proditorio alla più criminale di tutte le “religioni” ed ai suoi fedeli.
Una brillante rielaborazione, in chiave anti-statale, del pezzo che è costato a Facci la condanna da parte dell’ordine dei giornalisti.
Murray Rothbard diceva che difficilmente si può essere veri libertari senza odiare lo Stato. Non era sufficiente, per lui, sollevare qualche obiezione allo Stato, in modo freddo e distaccato, per le sue “inefficienze”.
Leonardo Facco passa sicuramente il test di Rothbard 🙂
🙂 Un buon segno allora 😉