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Spending review, basta un po’ di buon senso per non crederci

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di MATTEO CORSINI

Mentre chi ha un minimo di buon senso e non guarda ai numeri della finanza pubblica con gli occhi bendati coglie quanto meno la pericolosità, quando non anche la mancanza di senso economico, dell’ideona renziana di portare il deficit al limite di Maastricht per cinque anni mandando al contempo in soffitta il Fiscal Compact, non mancano i sostenitori. Ovviamente si tratta della vasta schiera dei keynesiani nostrani, che vedono nel deficit la via per la prosperità.

Per esempio Gustavo Piga, che dopo aver commentato positivamente il proposito renziano afferma: “Rimane una questione più difficile da gestire: come convincere i nostri partner europei e i mercati della bontà di una politica volta così fortemente alla ripresa degli investimenti pubblici e dunque della spesa? Solo affiancando all’abbandono del fiscal compact una seria politica di spending review, mai avviata nei fatti e strategica anche per rassicurare i nostri partner europei sulla qualità della nuova spesa per investimenti. Saprà Renzi cambiare idea sulla necessità di una vera spending? Avendolo lui già fatto – e gliene va reso atto – contro il fiscal compact, non dubitiamo che possa rinnovarsi anche in tale campo”.

Pensare che Renzi sia realmente intenzionato a fare una “seria politica di spending review è una incredibile ingenuità. Renzi non ha neppure cambiato idea sul Fiscal Compact: semplicemente adesso dà fiato alle trombe più che in altri momenti (siamo pur sempre all’inizio di una campagna elettorale).

Per di più le due cose sarebbero anche abbastanza contraddittorie, soprattutto considerando il tipo di spese che sono state finanziate con la “flessibilità” (ossia il maggior deficit) che Renzi rivendica di aver ottenuto dai partner europei quando ha governato.

Se il buon senso invita ad avere dubbi in Italia, figuriamoci per chi la cosa la valuta a nord delle Alpi.

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