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Mettere in discussione lo stato (democratico)? perché no!

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di MATTEO CORSINI

Nel dibattito sulla flat tax si è inserito il punto di vista di Enrico De Mita, che considera evidentemente la Costituzione della Repubblica un testo sacro e, per ciò stesso, immodificabile. Oltre che blasfemi tutti coloro che ne mettono in discussione (e non è detto peraltro così nel caso della proposta in questione) i cardini.

Ecco il suo esordio:Il dibattito che c’è stato, su questo giornale, sull’opportunità di introdurre in Italia la flat tax ha avuto una grave carenza: non ha tenuto conto adeguatamente dei principi costituzionali contenuti negli articoli 2 e 53 della Costituzione. C’è di più. Si è liquidato questi principi come una specie di fisima che affliggerebbe la mente di alcuni italiani. La crisi politica italiana è caratterizzata dalla sottovalutazione dei principi costituzionali come è dimostrato dalla vicenda del referendum costituzionale per fortuna sconfitto dagli italiani”.

Ritenere che la prevalenza del NO al referendum sulle riforme costituzionali dello scorso dicembre sia attribuibile a una preferenza della maggioranza dei votanti per la intangibilità della Costituzione credo sia in conflitto con la realtà. La maggior parte di chi vota non sa neppure cosa c’è scritto nella Costituzione. Semplicemente quel voto è stato un SI o un NO a Renzi.

Ancora:Il dovere fiscale è compreso (secondo dottrina e giurisprudenza costituzionale) fra i doveri costituzionali: l’adempimento dei doveri inderogabili è stata definita (Mortati) come una norma chiave in quanto con essa si è voluto affermare che «non l’uomo in funzione dello Stato ma quest’ultimo in funzione dell’uomo».”

Non sono un costituzionalista, ma credo che considerare il “dovere” fiscale propedeutico a mettere lo Stato in funzione dell’uomo e non il suo esatto contrario equivalga a utilizzare un approccio da neolingua orwelliana. Chi paga le tasse è, volente o nolente, schiavo dello Stato.

E ancora:Mi spiace dirlo ma la proposta della flat tax persegue un obbiettivo politico attraverso la discutibile strada tecnica. L’obbiettivo sembra non la giustizia fiscale ma vuole essere l’eliminazione dello stato sociale voluto dall’art.2 della Costituzione”. A prescindere da considerazioni di tipo etico sulla redistribuzione che è alla base di ogni cosiddetto stato sociale, il problema fondamentale, che nessun articolo di qualsivoglia costituzione può eliminare, è che lo stato sociale è basato su uno schema Ponzi.

Come è noto, ogni schema Ponzi è destinato a crollare quando il flusso dei nuovi entrati (paganti) è insufficiente a remunerare chi è già dentro. Le dinamiche demografiche di gran parte dei Paesi con welfare state esteso testimoniano che la loro implosione è solo questione di “quando”, non si “se”. Nessun fisco, per quanto rapace, può cancellare questa realtà, il cui sviluppo a dismisura è stato peraltro alimentato proprio dalla tassazione crescente.

De Mita:Difatti la solidarietà di cui parla l’art. 2 della Costituzione è proprio quella unità morale e politica del Paese senza la quale è difficile che una democrazia possa sopravvivere. Si afferma un nuovo modo di intendere la libertà dei singoli: le situazioni derivanti dai diritti di libertà trovano una naturale limitazione nei doveri pubblici ad essi collegati. Il concorso alle spese pubbliche deve essere commisurato alla capacità contributiva. L’utilizzazione dell’imposta a fini economici e sociali redistributivi in particolare realizza il principio della capacità contributiva”.

Nessuna solidarietà è tale se imposta mediante il fisco. La limitazione della libertà difesa dai De Mita di questo mondo comporta, seguendone la logica, l’accettabilità di un fisco che aggredisca a piacere la proprietà privata in funzione di un livello di redistribuzione arbitrariamente stabilito da chi ha la maggioranza parlamentare e governa. La distinzione tra democrazie e totalitarismi, da questo punto di vista, è di forma, ma non di sostanza.

Infine:Se il quadro costituzionale e la politica sono quelli descritti, toccare l’art. 2 della Costituzione vuol dire mettere in discussione lo Stato democratico.”

Se a qualcuno interessa la libertà individuale, perché no.

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2 COMMENTS

  1. E’ anche strano o assurdo che nell’era della crisi esistano cittadini costretti ad accedere un finanziamento per riuscire a pagare le tasse, nel caso peggiore, il suicidio.
    Vivere o pagare le tasse ?
    Ovviamente non mi riferisco a chi spreca o vive nel lusso, chi truffa o ruba, ma solo a chi non riesce più a coprire le spese di un minimo vitale. Oggi appare sistemico il fatto di innalzare a dismisura le tasse in maniera tale che il Sistema possa e riesca ad attuare quell’appropriazione che a questo punto ritengo indebita, perpetrata semrpe contro le fasce più deboli. A questo punto sparisce lo Stato e subentra un’azienda privata di avvoltoi.

  2. La Costituzione italiana è stata messa in discussione dagli stessi italiani con il trattato di Osimo, ma lasciamo perdere. Rimane sempre il problema di una costituzione che considera uno ed indivisibile uno Stato che ne ingloba un altro volente o nolente (la Padania?) al quale non è mai stato chiesta opinione al riguardo o si sono fatte votazioni con brogli macroscopici (perché non includere anche la Curlandia o la Tasmania a questo punto? Probabilmente hanno più cose in comune con la sedicente Italia quesi due territori che la Padania, che ha l’unica colpa di confinarci. Comunque se il problema è che le tasse dei padani devono servire a pagare i forestali calabresi o le pensioni sociali in Sicilia o gli stipendi dei magnagreci nella pubblica amministrazione o i deficit sanitari delle regioni delle Due Sicilie non è stato sociale e neppure solidarietà, l’elemosina è sempre volontaria, se no si chiama estorsione o rapina.

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