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La “grande frode intellettuale” nei prodotti finanziari

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di MATTEO CORSINI

Plus24, il supplemento del sabato del Sole 24 Ore, ha la missione di rendere edotto il risparmiatore delle tante fregature nelle quali gli potrebbe capitare di incappare rivolgendosi agli intermediari finanziari. A volte lo fa con eccesso di zelo e qualche incoerenza.

Per esempio, scrivere peste e corna di alcuni prodotti, ospitandone poi la pubblicità a pagamento. La redazione attribuirà la responsabilità alla proprietà, ma evidentemente quella pubblicità contribuisce a pagare gli stipendi di coloro che scrivono e senza quella pubblicità forse gli stipendi sarebbero inferiori e/o pagati con minore puntualità.

Uno dei cavalli di battaglia di Plus24 sono gli scenari probabilistici da inserire nella documentazione informativa sui prodotti finanziari. Previsti da Consob nel 2009 su prodotti assicurativi e strutturati, furono poi ritirati. Secondo Plus24, per via di una potente azione dei lobbisti di settore. Ufficialmente, perché gli scenari probabilistici non offrirebbero una rappresentazione certa o precisa dei rischi che si corrono quando si investe su uno strumento finanziario.

Pur non escludendo la prima ipotesi, la seconda si basa su una considerazione indubbiamente vera. Gli scenari probabilistici dovrebbero essere accompagnati da una spiegazione delle assunzioni statistiche sottostanti il calcolo che, in base alla ignoranza del risparmiatore medio (più volte denunciata da Plus24 stesso), finirebbero per essere fonte di confusione, fornendo certezze laddove non è possibile fornirle.

Purtroppo gli stessi redattori di Plus24 cadono in un errore piuttosto grossolano. Per esempio Marcello Frisone, che scrive, riferendosi al motivo per cui gli scenari non vengono esposti: “Per essere ancora più chiari e spiegare meglio di cosa stiamo parlando, non darebbe nessuna tutela ai risparmiatori il calcolo di quante probabilità si hanno di perdere e di guadagnare su uno strumento finanziario (non azionario). Come dire che lo stesso calcolo delle probabilità di vincita delle lotterie (stessa “algebra” utilizzata per i prodotti finanziari) non vale nulla, nonostante lo Stato imponga di evidenziarlo agli scommettitori (decreto legge 158\2012, articolo 7, comma 4 bis, «La pubblicità dei giochi che prevedono vincite in denaro deve riportare in modo chiaramente visibile la percentuale di probabilità di vincita che il soggetto ha nel singolo gioco pubblicizzato»). Non solo. Le Autorithy sembrano dimenticare che buona parte della disciplina prudenziale sul capitale delle banche verte proprio sugli scenari probabilistici; le banche (italiane e non) utilizzano cioè questi calcoli probabilistici per valutare la rischiosità dei propri investimenti finanziari.”

L’applicazione dei calcoli a cui fa riferimento Frisone ai prodotti finanziari è bollata da Nassim Taleb (uno che qualche dimestichezza con quel tipo di matematica ce l’ha) come una “grande frode intellettuale”.

Il problema di fondo consiste nella confusione tra rischio e incertezza. In una lotteria il calcolo delle probabilità consente di quantificare un rischio in modo preciso. Lo stesso non può dirsi in riferimento a prodotti finanziari che dipendono da variabili che dipendono a loro volta dalle azioni di una moltitudine di individui. Applicare il calcolo delle probabilità a eventi incerti non porta a risultati certi in termini probabilistici. Per questo è necessario specificare quali sono le assunzioni (necessariamente arbitrarie) alla base del calcolo.

Detto in modo ancora più semplice, mentre lanciando un dado c’è una probabilità su sei che esca un determinato numero, la stessa certezza non la si può avere quando si cerca di quantificare le probabilità di guadagnare o perdere soldi su un determinato prodotto finanziario. Dipende da quali ipotesi si assumono circa la distribuzione degli eventi e la variabilità dei fattori che influenzano il prezzo di quel prodotto. Indubbiamente le autorità di vigilanza impongono al risk management delle banche di usare quei metodi di calcolo. Ma altrettanto indubbiamente ciò che esce da quei calcoli deve poi essere considerato con tutte le cautele del caso. Prova ne sia che l’uso di quegli strumenti di calcolo non ha evitato crisi bancarie a ripetizione.

Quindi gli scenari probabilistici non sono una soluzione. Ma Frisone e colleghi saranno accontentati a partire dal 2018, quando gli scenari probabilistici saranno introdotti obbligatoriamente per tutti i prodotti definiti PRIIPs. Tra qualche anno anche loro si renderanno conto che gli scenari non sono una panacea. Forse.

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2 COMMENTS

  1. Meglio semplificare.
    Non acquistando “prodotti” finanziari.
    Già il termine “prodotto” non si attaglia a questi pezzi di carta straccia.
    Ma fidarsi di chi li propone è davvero da autolesionisti.
    Se non mi fido dello stato non acquisto i suoi titoli.
    Idem per banche, finanziarie, aziende quotate o no.
    E’ semplice, se si vuol essere coerenti.

  2. Fare investimenti finanziari per un comune risparmiatore (quindi senza certe informazioni che invece altri hanno…) è un po’ come giocare la roulette: il banco vince sempre, se è fortunato andrà in pareggio.

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