Mentre si consuma nello squallore senza pari di fraudolenti postulanti rivali la campagna elettorale per eleggere i tenutari di uno stato che dal 1861 occupa con la violenza la mia terra, la mia cultura e la mia storia, e anche la mia lingua, vorrei iniziare l’anno veneto, oggi primo marzo 2018, con un inno alla bellezza. Questa bellezza che ci viene ogni giorno sottratta dalle lordure che ci propina la stampa, la televisione, la rete, il sapere pubblico, che rende caricatura ogni verità, e dà lustro solo alla menzogna. Ricordando sempre che la libertà del Veneto è la meta finale della mia lotta, il primo oggetto dei miei sogni. E così, da sempre rapito dall’immagine canoviana di Amore e Psiche, traduco qui – credo per la prima volta – nella lingua italiana, quella lingua che i tenutari d’Italia dal 1861 violano e stravolgono nella loro gretta baldanza –, una poesia di Friederike Brun.
Chi era costei? Una poetessa danese, nata nel 1765, morta nel 1835, autrice di vaste ed elaborate narrazioni di viaggio in Italia, che attendono ancora un interprete adeguato, o almeno così mi pare. Figlia di un neoclassicismo ormai di maniera, seppe intrecciare rapporti con i maggiori letterati del tempo, viaggiò in Svizzera a lungo, narrandone le libertà e le bellezze naturali, e scrisse uno straordinario diario romano. Rimase incantata dall’opera di Canova, e volte esternare il gruppo marmoreo in una poesia. La dedico (la mia traduzione, libera anch’essa) alla libertà del Veneto, terra irredenta, che trovi la sua Psiche, o il suo Amore, che la sollevi finalmente dal gorgo dell’impresentabile, dell’indicibile, del misero, del triste.
Gedichte von Friederike Brun, Zürich 1806, p. 263
Amore e Psiche di Canova
Prassitele l’intuì, per primo
La dea celeste dell’Amore…
La scolpì e alla pietra diede vita
E da allora e per sempre ci appare.
E la Madre allora gli concesse
Di scolpire il Figlio suo adorato:
Ma non ancora con la sposa ch’egli amava.
A te Canova per primo
Fu concesso di ritrarre questa unione, sublime.
E ora infine guardiamo
Al dio unito per sempre coll’Amata.
Udite quel dolce sussurro
Che toglie alle labbra il respiro…
E Amore che tenero dice
A colei ch’egli sopra tutto ama:
“Mi ami mia Psiche davvero?”
“Oh, promettimi eterne promesse
Spegni il timore ch’antevede,
Placa il cuore che batte impazzito…”
E Psiche divina sorride, e risponde nel suo sorriso
Con mossa di donna lo cinge con la rosea mano
Donandogli dell’anima imago:
E finalmente gli dice:
“Sono tua, tua per sempre,
Lo sono il mio spirito e il cuore…”
Ed egli allora risponde:
“Psiche allora che anche di me
Tutto ma tutto sia tuo
E dunque prenditi l’anima mia,
Quel che ti manca, ancora…”.
Grazie Signora Caterina, apprezzo il Suo commento appassionato. Segnalo due refusi (quando mi entusiasmo, scrivo troppo velocemente): otto righe dall’inizio: “meta finale” per “mia finale”; e quarta riga dalla fine, “volle eternare” per “volte eternare”. Saluti cari a tutti.
…ci manca a tutti ancora… perche’ e’ nostra a meta’… ma vogliamo ardentemente l’altra meta’…si’, prima di morire… di attesa e di speranza!