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Libertà economica e libertà di pensiero, nel paese del “capitalismo reale”

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di PAOLO L. BERNARDINI

Una domanda che legittimamente ogni liberale deve porsi, è questa: la libertà economica garantisce anche la libertà di pensiero, oppure quest’ultima si può raggiungere indipendentemente dalla situazione politica in cui ci si trova? Detto altrimenti, e rovesciando le prospettive: un cittadino del Venezuela, o di altre dittature, non sarà forse maggiormente consapevole di cosa significa “libertà” piuttosto che un cittadino di una “democrazia liberale”, poniamo, la maggiore al mondo, gli USA?

Che cosa rende veramente liberi?

La risposta più semplice è una: la libertà, alla fine, è una conquista interiore, è qualcosa che prescinde dal tipo di regime sotto cui si vive. Ma anche questa risposta può essere pericolosa, nelle sue conseguenze, nella misura in cui in questo modo si legittima ogni regime, anche quelli palesemente liberticidi, anche quelli ove la libertà economica è ridotta a zero sotto la parvenza di un sistema di libertà “correlate”, quella di stampa e di espressione, ad esempio.

La convinzione, più passionale che razionale, che un regime confederale in Italia, oppure l’indipendenza del Veneto o altre regioni garantirebbe non solo maggior benessere, ma anche maggiore libertà (o “indipendenza”) che dir si voglia di pensiero, si basa su considerazioni concrete: maggior benessere, maggior senso di identità, maggiore capacità critica, e dunque maggiore libertà di pensiero. Ma è davvero così? Gli USA sono una potenza economica e politica egemone. Sono stati “concepiti nella libertà” e hanno conquistato la loro libertà effettiva in una lunga e durissima guerra con il Regno Unito.

In una afosa giornata di fine agosto, con i grattacieli avvolti dalle nubi, e scrosci di pioggia torrenziale, passeggiavo nei dintorni della De Paul University, l’ateneo vincenziano nel pieno centro di Chicago, dopo aver preso la Blue Line della metropolitana fino a Rogers Park, zona degradata. Un’emozione, sempre, leggere le indicazioni stradali che parlano di un “Independence Boulevard”, che racconta la storia della maggiore potenza del mondo, del cuore del potere, e spesso, nel bene e del male, della cultura e del pensiero.

Eppure, non si riesce a percepire davvero il risultato di questa libertà. Sembra di incontrare un popolo ove il conformismo ha trionfato, assai più che in Europa, e dove, pur in un regime di benessere, certo, tutto ricorda l’omologazione imposta ai cittadini nei paesi di socialismo reale.

E’ questo il “capitalismo reale”?

Nello stile di vita, ma perfino nei modi di espressione del dissenso, tutto pare stereotipato, prevedibile, in qualche modo già scritto, e nel regno dell’abbondanza domina l’obesità, il Prozac, uno stile di vita che rende l’aspettativa di vita degli USA più bassa rispetto a paesi molto più poveri. Il Museo della Scienza e dell’Industria di Chicago dedica sale ai danni del riscaldamento globale, dell’effetto-serra, eppure sulle tangenziali che intersecano la megalopoli sciamano milioni di veicoli super-inquinanti, SUV e altri, assolutamente non necessari in un contesto urbano, ma obbligatori come status symbol in un Paese che sembra averne disperatamente bisogno. Addirittura, passeggiando sul lungolago da Van Buren, verso il Museum Campus, dove vi sono notevolissime strutture museali, mi ha colpito, sulla passeggiata a lago, un’indicazione di viabilità sull’asfalto, per pedoni: come se fossero auto! Vi immaginate qualcosa del genere in Corso Italia a Genova, sulla Promenade des Anglais di Nizza, o sul lunghissimo, bellissimo lungomare di Salonicco? Sarebbe oggetto di ilarità generale.

Che cosa si nasconde dietro tale terribile, solo apparentemente innocente indicazione? Quale volontà di controllo, eccessiva, ma inquietantissima, si nasconde in colui che ha deliberato la realizzazione di tale disegno? Per certi aspetti agghiacciante, indica anche la disponibilità di un popolo ad essere guidato, anche nelle cose più banali, più sciocche, meno necessarie. E se qualche pedone non segue il corso del traffico suggerito, sarà multato? Non siamo in un mondo peggiore di quello di Orwell, o di tutte le distopie da “Utopia” di Thomas More ad inizio Cinquecento, ad oggi?

Per fortuna l’America è grande e al grande conformismo, che culla e rassicura come una droga, il Prozac, appunto, corrisponde anche tanta inquietudine, vi sono luoghi dove il libero pensiero davvero si coltiva, e milioni di individui che vanno, per dir così, contro-corrente. Ma non dubito che per loro la vita sia molto difficile, perché la gigantesca corrente è fatta di un conformismo, di una visione gretta, meschina, e tristemente monocorde, programmata, della vita: cui si ribella, ma di nuovo in modo prevedibile – una ribellione che fa parte del gioco – il cinema, la letteratura, il teatro.

Se il liberalismo è la filosofia dell’individuo, prima di essere quella della libertà economica che è un diritto fondamentale dell’individuo stesso, ma che non esisterebbe in assenza del primo (ovviamente), allora, in qualche modo, è l’individuo che solo può conquistarsi qualche spazio vero di libertà.

Parafrasando Sant’Agostino: “Noli ire foras. In interiore homine habitat libertas”. Questo non delegittima certo la lotta politica dei liberali, sia essa per una riduzione del peso dello stato, o per la creazione, con l’indipendentismo, di piccoli stati leggeri. Ma il problema della libertà di spirito vera, la sola salvezza per l’individuo, continuerà di certo a ripresentarsi.

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