Due anni fa, il presidente Trump annunciò che avrebbe iniziato il processo formale di ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul clima di Parigi. Al tempo, i media e gli allarmisti del clima andarono in bestia: per esempio, il famoso fisico Stephen Hawking disse che l’azione di Trump avrebbe spinto la Terra “sull’orlo del baratro”. Eppure, come mostrerò in questo articolo, l’Accordo di Parigi è sempre stato un esercizio gigantesco di simbolismo, piuttosto che di sostanza; non servirebbe a risolvere il “problema” del clima, nemmeno secondo i termini degli allarmisti.
Sia che si pensi che il cambiamento climatico sia un problema secondario da osservare, sia che lo si ritenga una vero motivo di crisi esistenziale, in entrambi i casi l’azione di Trump dovrebbe essere accolta favorevolmente. Sfidando la riverenza per l’accordo di Parigi, il ritiro di Trump ha dato il permesso agli scienziati e agli altri di pensare ad approcci alternativi piuttosto che a un controllo politico coordinato a livello globale sull’energia e sui trasporti.
L’accordo di Parigi era avviato al “fallimento” già rispetto ai suoi stessi termini
Il punto più importante da sottolineare è che l’Accordo di Parigi non avrebbe liberato l’umanità dalla piaga del cambiamento climatico, anche accettando per amore di discussione la retorica allarmistica. Dal sito ClimateActionTracker.org, ecco l’ultima stima degli impegni di Parigi e il livello implicito del riscaldamento globale per tutto l’anno 2100:
Come mostra la figura, anche se tutti i paesi (compresi gli Stati Uniti, che sono ancora tecnicamente parte dell’accordo) rispettassero le promesse di Parigi, si prevede che il riscaldamento raggiunga i 3,0 gradi Celsius, ben oltre i livelli “sicuri” di 1,5 o al massimo 2,0 gradi, che sono gli obiettivi che vanno di moda in questo momento.
Quel che è peggio, la figura mostra anche che le politiche attualmente in essere produrranno un riscaldamento previsto di 3,3 gradi Celsius, questo perché è più facile promettere di fare qualcosa che farlo davvero.
Come ulteriore prova, si consideri che nell’aprile del 2017, David Roberts su Vox ha aggiornato il suo articolo sostenendo che nessun paese sulla Terra stava prendendo sul serio l’obiettivo di 2 gradi Celsius. Si noti che questo accadeva prima che Trump facesse il suo annuncio su Parigi. Per queste ragioni, non dovremmo prendere sul serio l’argomento secondo cui Parigi avrebbe funzionato alla grande, se non fosse che Donald Trump è arrivato e ha rovinato tutto. (Rob Bradley smantella pazientemente questa particolare accusa su MasterResource.)
Gli assegni a vuoto sono la norma, non uno sbaglio
Ora, sicuramente, i sostenitori dell’Accordo di Parigi respingerebbero le mie critiche, sostenendo che una volta stabilito il quadro di base di un accordo globale, allora potremo stringere le viti e ottenere una seria riduzione delle emissioni. Ma questo è uno sciocco ottimismo. L’unica ragione per cui molti paesi si sono iscritti a Parigi è che gli impegni erano non vincolanti, e al di là di ciò, in molti casi praticamente privi di significato.
Ad esempio, Oren Cass nel 2015 ha spiegato che i “Contributi determinati nazionali previsti” (INDC) dell’India e della Cina erano probabilmente meno ambiziosi di quello che probabilmente accadrebbe in termini di business-as-usual. In altre parole, le “offerte” iniziali dell’India e della Cina per quello che potevano fare per aiutare nella lotta contro il cambiamento climatico, non comportavano alcun sacrificio effettivo poiché è normale che i paesi riducano le proprie emissioni per unità di PIL nel tempo.
Ancora più esilarante, in un articolo del 2017, Cass ha citato l’impegno del Pakistan, che “si è impegnato a ridurre le sue emissioni dopo averne raggiunto i massimi livelli possibili”. Se ci pensate, ogni paese potrebbe tranquillamente prendere un tale impegno: una volta che le emissioni avranno raggiunto il loro picco, scenderanno da allora in poi. Ecco perché il livello di picco si chiama di picco, dopo tutto.
Per ribadire, questa non è una coincidenza. L’unico modo per convincere tutti i governi del mondo a firmare l’accordo di Parigi è stato che ognuno di loro si rendesse conto che in realtà non era in pericolo per nulla. (Per inciso, la ragione per cui è l’Accordo di Parigi e non il Trattato di Parigi è che gli estensori non volevano che il Senato degli Stati Uniti durante gli anni di Obama prendesse la brutta piega di respingerlo – nello stesso modo in cui votò sul Protocollo di Kyoto durante l’amministrazione di Bill Clinton. E questa non è la mia personale teoria del complotto, i sostenitori di un aggressivo intervento statale sul clima dicono la stessa cosa).
Per questo motivo, è menzognero per i fan di Parigi citare l’accordo come un solido quadro politico con cui “fare sul serio” per ridurre le emissioni. La quasi unanimità dell’accordo sarebbe crollata, una volta che i singoli paesi avessero dovuto sacrificare la loro crescita economica e sacrificarsi per la squadra. Basta guardare ai battibecchi e al caos mentre sempre più governi sperimentano reazioni negative da parte degli elettori contro le restrizioni sull’energia convenzionale. Ecco come un lamentoso articolo del New York Times ha spiegato la situazione a dicembre:
- In agosto [2018], uno sforzo in Australia per la transizione dal carbone… ha portato alla cacciata del primo ministro. L’uomo che gli è succeduto, Scott Morrison, si è ingraziato l’industria portando un pezzo di industria del carbone in Parlamento.
- A novembre, i brasiliani hanno eletto Jair Bolsonaro, che si era impegnato a promuovere interessi agro-alimentari nella foresta amazzonica…
- In Polonia, paese ospitante degli ultimi colloqui delle Nazioni Unite, il presidente di destra, Andrzej Duda, ha aperto i negoziati affermando che il suo paese non ha intenzione di abbandonare il carbone.
- …le emissioni in Cina sono cresciute negli ultimi due anni, segnalando la difficoltà di spostare il paese lontano dalla sua economia industriale dipendente dal carbone. La Germania sta attraversando un periodo difficile allontanandosi dalla lignite a causa dell’opposizione politica nell’est del paese ricco di carbone. Il presidente francese, Emmanuel Macron, affronta disordini in patria contro una serie di tasse che la gente della classe operaia afferma la appesantiscano ingiustamente.
Come indicano gli esempi sopra – e ignorano le immense fortune dell’azione aggressiva sul clima in Canada – questo non è certo colpa di Donald Trump. In tutto il mondo, i nativi stanno diventando irrequieti, e alla fine dicono “il troppo è troppo” di fronte alle “soluzioni” tecnocratiche che fanno salire i prezzi dell’energia senza nemmeno risolvere l’apparente problema dei cambiamenti climatici.
Conclusione
Il presidente Trump ha dato seguito alla promessa fatta in campagna elettorale di ridurre i regolamenti controproducenti sull’energia, molto più di quanto la maggior parte di noi pensasse sarebbe stato politicamente fattibile. L’accordo di Parigi non ha mai avuto la possibilità di intaccare seriamente le emissioni globali, e da sempre è stato un veicolo per ridistribuire la ricchezza, per un ammontare di migliaia di miliardi di dollari, come ho spiegato qui diversi anni fa.
Dal momento che anche i più ardenti attivisti ambientali ammettono che l’Accordo di Parigi non si è avvicinato a “risolvere” il problema dei cambiamenti climatici, dovrebbero in realtà ringraziare Trump per essere stato il primo ad annunciare che non funziona e a porre fine a questa farsa.
QUI il link all’originale – TRADUZIONE DI PIETRO AGRIESTI