Di recente ha suscitato scandalo la notizia di un dipendente comunale che, non si sa per quale fortunosa combinazione legislativa o giudiziaria, gode di una pensione retributiva di circa 600.000 euro lordi all’anno. Pare che il funzionario si sia difeso dalle critiche vantandosi di essere un grande contribuente, e a titolo di prova ha mostrato il cedolino indicante la rilevante ritenuta fiscale sulla sua pensione d’oro. Anche chi non ha riflettuto a sufficienza sulla questione intuisce però che c’è qualcosa che non va in questa replica.
Com’è possibile che una persona che percepisce cifre spropositate dallo Stato meriti addirittura di essere lodata per il suo ingente contributo fiscale al bilancio statale? E che dire della frequente dichiarazione di molti leader politici o sindacali, secondo cui i dipendenti pubblici sono ottimi contribuenti, dato che “non possono evadere neanche un euro”? Poiché gli stipendi e le pensioni dei dipendenti pubblici rappresentano una quota molto rilevante della spesa pubblica, in base a quale miracolosa alchimia queste immense uscite si tramutano in entrate?
Alla base di queste affermazioni vi è un grave fraintendimento. Coloro che vivono di spesa pubblica, infatti, non sono pagatori di tasse, ma consumatori di tasse. Da un punto di vista economico non ha senso dire che gli statali pagano le tasse, dato che sono mantenuti con le imposte e dunque sono i beneficiari della tassazione.
Il “pagamento” delle tasse da parte degli uomini politici o dei dipendenti statali rappresenta in realtà una finzione giuridica. Costoro pagano le imposte solo in maniera figurativa, attraverso un artificio contabile, ma in concreto neanche un euro entra nelle casse dello stato. Se non fosse così, il governo avrebbe a sua disposizione un metodo infallibile per debellare definitivamente l’evasione fiscale e ottenere un boom di entrate: assumere tutti i lavoratori autonomi come dipendenti pubblici! In verità se si comportasse in questo modo lo Stato fallirebbe dopo pochissimo tempo, e questo dimostra che gli statali non pagano le tasse ma le consumano.
È ovvio infatti che se la busta paga di un funzionario statale riporta 40mila euro di stipendio lordo e 10mila euro di trattenute, ciò significa che egli riceve dallo stato 30mila euro e paga zero di tasse. Lo Stato avrebbe potuto anche indicare 50mila euro di stipendio lordo e 20mila di ritenuta, oppure 100mila di lordo e 70mila di ritenuta, oppure un milione di stipendio lordo e 970mila euro di ritenuta. In tutti questi casi la sostanza non sarebbe cambiata: a fronte di un’uscita di 30mila euro, lo Stato riceve zero di entrate. Lo Stato usa lo stratagemma truffaldino di indicare il lordo e il netto nella busta paga dei propri dipendenti per gettare fumo negli occhi della gente e far credere che i lavoratori pubblici e quelli privati siano trattati in maniera uguale, ma le cose non stanno così.
Nella realtà lo Stato incassa l’intero gettito dal settore privato, e lo usa per pagare tutti gli stipendi e le pensioni della pubblica amministrazione. Il governo in realtà non potrebbe mai ottenere delle entrate tassando il settore pubblico, perché questo non produce utili ma solo perdite enormi, e quindi non c’è nulla da tassare. Al massimo ci sono dei buchi, anzi delle voragini, da ripianare: persino le farmacie comunali riescono ad andare in perdita! Se domani tutte le aziende italiane chiudessero o emigrassero all’estero, le entrate dello Stato scenderebbero ben presto a zero, e non ci sarebbero più soldi per pagare gli stipendi degli statali. A questo punto, se i dipendenti pubblici dovessero mantenersi da soli con le proprie partite di giro, rischierebbero di morire di fame come nella Corea del Nord.
In definitiva, la crescita del numero e dei redditi dei lavoratori privati fanno sempre aumentare le entrate dello Stato; al contrario, la crescita del numero e degli stipendi dei lavoratori pubblici fanno sempre aumentare le uscite dello Stato. L’aumento delle “imposte” a carico degli statali può al massimo determinare una riduzione della spesa pubblica, ma in nessun caso può accrescere il gettito dello stato
Per questa ragione è paradossale che i fanatici della lotta all’evasione, dell’obbligo di scontrino, della delazione fiscale e della criminalizzazione dei lavoratori autonomi siano in gran maggioranza persone che vivono di risorse pubbliche: uomini politici, dirigenti ministeriali, burocrati, magistrati, titolari di pensioni sganciate dai contributi versati e dipendenti statali in genere. Da un punto di vista scientifico la qualifica esatta di queste categorie è quella di “evasori totali legalizzati”, dato che tutte le imposte a loro carico (dirette, indirette e contributi) in ultima analisi vengono pagate con i versamenti fatti dai lavoratori del settore privato.
Questo fatto inconfutabile toglie ogni titolo morale alle campagne diffamatorie e intimidatorie dei politici e dei funzionari contro i lavoratori privati. Si godano la loro esenzione totale dalle imposte, ma almeno abbiano il buongusto di smetterla di rovesciare sulle povere partite iva, già alle prese con mille difficoltà, la consueta dose di attacchi, di insulti e di minacce al grido di “Maledetti evasori!”.
Questa campagna d’odio ha già prodotto troppi immensi arricchimenti nel settore pubblico, e troppi impoverimenti, casi di disperazione e suicidi nel settore privato.
Tutto giusto tranne il fatto che sia paradossale che i fanatici della lotta all’evasione siano politici e pubblici dipendenti. Al contrario è logico, difendono il loro stipendio!!!!
Un articolo ineccepibile.
Da tenere incorniciato in bella vista.
Da regalare a chi fa da sponda allo statalismo ed al socialismo.
E che dire dei contributi previdenziali?…Che fine ha fatto l’Inpdap? Perché?