Colpo di scena in Venezuela dove il presidente Nicolas Maduro ha riconosciuto come nuovo presidente del Parlamento Luis Parra. Il deputato si era autoproclamato come successore di Juan Guaidò, per evitarne la rielezione. L’opposizione ha condannato l’azione come “un colpo di Stato parlamentare” e 100 deputati per tutta risposta hanno eletto Guaidò come capo dell’Assemblea nazionale, in una riunione nella sede del quotidiano El Nacional. In questo modo il Parlamento si trova ad avere due giunte direttive in conflitto.
Rischio di nuove proteste – Torna altissima la tensione in Venezuela con il rischio di nuove dure proteste di piazza. A innescare i timori il colpo di scena consumatosi all’Assemblea nazionale dove il deputato Luis Parra ha preso in mano un megafono proclamandosi presidente del Parlamento. Colto di sorpresa, Guaidó ha definito l’accaduto “un golpe contro il Parlamento” realizzato “in associazione con la dittatura, avvenuto con il sequestro di un gruppo di deputati, senza quorum e privo di qualsiasi legalità costituzionale”.
L’annuncio di Parra – Parra ha annunciato la sua decisione insieme ai deputati Franklyn Duarte e Josè Gregorio Noriega, presentati come i suoi vice, con l’appoggio di altri parlamentari dell’opposizione, ma non di quelli che sostengono il presidente uscente Guaidó. In suo favore avrebbero votato invece tutti i 44 deputati del gruppo “chavista” del presidente Nicolas Maduro che da settembre sono tornati a partecipare ai lavori parlamentari.
Tensioni fuori dall’Assemblea nazionale – Per tutto il pomeriggio l’esterno dell’edificio che ospita la An è stato teatro di forti tensioni per l’azione delle polizia governativa che ha impedito l’ingresso nell’emiciclo di molti deputati del gruppo maggioritario dell’opposizione che intendeva far rieleggere il presidente uscente Guaidó per un altro anno. Un altro problema che aveva ritardato l’inizio dei lavori era quello riguardante il raggiungimento del quorum per rendere valida la votazione del nuovo presidente. Era infatti necessaria la presenza di almeno la metà più uno dei 167 membri dell’An, e questa eventualità, esistente nei numeri, non si riusciva a raggiungere per l’azione della polizia intorno all’edificio. Per facilitare il raggiungimento del quorum, fra l’altro, in dicembre l’Assemblea aveva approvato una modifica del regolamento in base a cui le decine di deputati che si trovano in clandestinità, in sedi di ambasciate o all’estero, avrebbero potuto partecipare alla votazione per via telematica.
Ma questa risoluzione è subito stata dichiarata incostituzionale dal Tribunale supremo di giustizia (Tsj), che risponde a Maduro, per cui le autorità venezuelane hanno anche limitato l’uso della rete telematica all’interno del Parlamento. Per capire quanto accaduto si deve sottolineare che i quattro partiti più importanti all’interno del Parlamento (Voluntad Popular, Primero Justicia, Acción Democrática y Un Nuevo Tiempo), raccolti nel cosiddetto G4, hanno cercato di forzare una riconferma di Guaidó.
Il retroscena – Un accordo delle opposizioni firmato nel 2016 prevedeva una rotazione annuale alla presidenza, che nel 2020 sarebbe dovuta andare alla minoranza interna. Però una eventuale perdita di questa carica da parte del presidente uscente avrebbe comportato automaticamente anche l’impossibilità di mantenere la sua attuale condizione di autoproclamato presidente della repubblica ad interim, riconosciuta da 56 Paesi del mondo. Ma la minoranza nell’opposizione non ha voluto sentire ragioni per cui ha deciso di uscire allo scoperto criticando “gli insuccessi” di Guaidó, e proponendo un candidato alternativo alla guida dell’An nella figura di Parra. Questi, apparentemente con l’appoggio dei parlamentari del Partito socialista unito del Venezuela di Maduro, ha assunto la presidenza del Parlamento.
A livello internazionale, sia l’UE che il Gruppo di Lima continuano a riconoscere Guaidò. A poche ore dal “colpo di Stato parlamentare” in Venezuela, diversi alleati internazionali del governo di Nicolas Maduro si sono uniti alle critiche e hanno chiesto lo svolgimento di elezioni democratiche sul posto. Tra loro, Argentina e Messico.