di ALESSIA DE LUCA
Per più di due anni, i politici irlandesi hanno rispettato una sorta di tregua non dichiarata. Mentre i vicini del nord si barcamenavano nel mare in tempesta dei negoziati su Brexit, i legislatori dell’opposizione hanno concordato di non agitare ulteriormente la barca, prestando il proprio sostegno al fragile governo di minoranza guidato da Leo Varadkar. Ma con l’uscita del Regno Unito dall’Ue, lo scorso 31 gennaio, la tregua è saltata. E per la prima volta dal 1921, data dell’indipendenza da Londra, i due partiti di centrodestra Fine Gael e Fianna Fail, non sono i soli a contendersi la scena. Secondo gli ultimi sondaggi, i nazionalisti socialisti di Sinn Féin – ex organo politico dell’Ira durante i ‘troubles’, la guerra civile irlandese – potrebbero ottenere il 25% delle preferenze, diventando l’ago della bilancia in parlamento. Sarebbe una svolta storica, ma che porrebbe non pochi problemi di governabilità. Mary Lou McDonald, che ha raccolto l’eredità del fondatore Gerry Adams e ora guida una nuova classe dirigente di giovani e donne, ha detto che Sinn Féin entrerà in una coalizione di governo a patto che entro il 2025 si tenga un referendum per la riunificazione dell’isola.
Svolta generazionale?
Ad appena due anni dal pensionamento del suo storico leader Gerry Adams, per molti il volto della sanguinosa rivolta dell’Irish Republican Army (Ira) contro il dominio britannico, Mary Lou McDonald è riuscita a trasformare l’immagine di Sinn Féin. La 50enne dublinese non ha nulla a che vedere con quelli che, con notevole understatement, gli inglesi definiscono ‘troubles’, ovvero la guerra civile che tra gli anni ’60 e la firma degli Accordi del Venerdì Santo’ nel 1998, provocò oltre 3000 morti. Negli ultimi cinque anni, il partito si è concentrato sulle disuguaglianze create dal boom economico, dall’aumento dei costi delle abitazioni e degli affitti, alla cura dei figli e i costi assicurativi. Ed è concentrandosi sui temi sociali che ha costruito il consenso che oggi potrebbe portarlo a diventare la prima o seconda forza politica del paese. (Questi sono narrazioni tipiche dell’ideologia di sinistra, simili a quelli in voga oggi anche in Cile, NDR)
Un errore di calcolo?
Questioni che sembrano destinate a pesare su chi negli ultimi anni ha governato, ossia il Fine Gael di Leo Varadkar, nonostante un’economia cresciuta l’anno scorso del 5,6%. Il tasso di crescita più alto dell’Eurozona. Enfant prodige della politica irlandese, 40enne dichiaratamente gay, figlio di immigrati, eletto a sorpresa nel 2017, ha indetto elezioni anticipate sperando uscire dall’angolo di un esecutivo di minoranza. Varadkar credeva di poter spendere con gli elettori il capitale politico ottenuto negoziando contro una Brexit senza accordo fra Londra e Bruxelles, che avrebbe avuto effetti disastrosi per l’Irlanda. Ma non ha fatto i conti con i contraccolpi dell’austerity varata per rimettere in ordine i conti del paese dopo lo scoppio della bolla immobiliare e il bailout del 2011. Allora, Dublino accettò dall’Europa un assegno da 67 miliardi di euro per evitare la bancarotta. Per ripagarli il governo ha tagliato progressivamente 30 miliardi di spesa pubblica, introdotto nuove tasse e decurtato i salari del 20%.
Time for a change?
Se il rigore ha consentito la rinascita, il prezzo da pagare è stato alto. I benefici assistenziali sono stati ridotti e lo standard di vita degli irlandesi è calato inesorabilmente. Sono proprio questi, oggi, i temi caldi che spingono gli elettori alle urne per un cambiamento: Secondo un sondaggio dell’Irish Times, l’assistenza sanitaria è la questione più urgente per il 40% dei votanti. L’Irlanda ha un sistema sanitario pubblico che fornisce assistenza medica gratuita a persone a basso reddito e agli anziani. Ma gli ospedali sono ormai sovraffollati, con centinaia di pazienti lasciati in attesa di cure nei corridoi. Segue l’emergenza abitativa, una priorità per il 32% degli intervistati. A Dublino gli affitti sono più che raddoppiati dal 2010, mentre molti non possono permettersi di affittare in aree urbane e i giovani faticano a comprare casa. I senzatetto hanno raggiunto livelli record superando quota 10.000 (su una popolazione di 4 milioni e mezzo) che vivono in alloggi di emergenza in tutto il paese. In questo contesto, lo slogan scelto da Sinn Féin in vista del voto non poteva essere più chiaro: “time for a change” (è ora di cambiare). E il cambiamento in effetti c’è: stop alle agevolazioni fiscali che hanno fatto del paese il paradiso delle multinazionali in Europa, no alla speculazione edilizia, maggiore redistribuzione e più spesa sociale per scuole e ospedali pubblici sono ai primi punti del programma elettorale.
Rischio ingovernabilità?
Secondo i sondaggi dell’emittente irlandese Rtr, su 160 seggi in parlamento, Fianna Fáil di Micheál Martin ne occuperebbe 43, Sinn Féin 42 e Fine Gael di Leo Varadkar si assesterebbe a 33. Anche se facesse il suo ‘exploit’ dunque, Sinn Féin non potrebbe governare. E non solo perché non ha i numeri. I due partiti centristi hanno escluso a priori ogni ipotesi di coalizione. Il grande ostacolo – sostengono – è il passato di braccio politico dell’Ira. Eppure, dalla firma degli accordi del Venerdí Santo, Sinn Féin ha preso le distanze da ogni forma di lotta violenta. E a Belfast, nell’Irlanda del Nord, condivide il potere con gli Unionisti del Dup. Negare la loro legittimità, e il cambiamento operato negli ultimi anni sarebbe un errore – osserva sulle colonne dell’Irish Times, Fintan O’Toole – e vorrebbe dire “dimenticare metà dell’elettorato”. Un elettorato fatto di molti giovani, su cui grava il peso delle disuguaglianze e che dei ‘troubles’ ha solo sentito parlare.
Economia in pericolo?
Tra le accuse mosse a Sinn Féin durante la campagna elettorale, c’è anche quello di avere “piani economici pericolosi” che prevedono l’aumento della spesa pubblica fino a 22 miliardi di euro in cinque anni. Il doppio degli 11 miliardi suggeriti dal ministero delle Finanze, per un paese fortemente indebitato e che solo recentemente ha superato la crisi. Timori a cui McDonald ha risposto durante un dibattito andato in onda sulla televisione pubblica irlandese: “Non c’è nulla di pericoloso nel dare una casa alle persone” ha detto: “Il pericolo è lasciare un’intera generazione fuori dalla proprietà domestica”. E, indicando, i leader dei due partiti centristi che nel 2011 portarono Dublino al salvataggio internazionale, ha aggiunto: “Se qualcuno ha portato danni reali all’economia irlandese, sono stati loro e non noi”.
Il commento
Di Marco Varvello, Bureau chief Rai per il Regno Unito
“L’ascesa di Sinn Féin prevista dai sondaggi è un chiaro effetto della Brexit sulla politica irlandese. Se la frammentazione del quadro politico irlandese dovesse essere confermata, con Sinn Féin alla pari con Fianna Fáil e Fine Gael, proverebbe che l’uscita britannica dall’Ue ha aumentato le tendenze centrifughe nel Regno Unito. Scozia ma anche Ulster dunque.
Inoltre, l’ipotesi di una riunificazione delle due Irlande, che è parte del programma di Sinn Féin, non appartiene al campo della fantapolitica: negli accordi del Venerdì Santo del 1998 è espressamente prevista la possibilità di un referendum per la riunificazione dell’isola, qualora se ne verificassero le condizioni”.