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Ecco il decalogo del “tributarista italiano medio”

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di MATTEO CORSINI

Da qualche tempo il Sole 24 Ore ospita ogni giorni un paio di interventi in tema di riforma fiscale. Ho notato che quasi nessuno degli esperti della materia chiamati a fornire un parere sul da farsi propone un ridimensionamento della spesa pubblica come via per ridurre le tasse e, se possibile, rendere anche meno complicato pagarle.

Questi signori, chi più, chi meno, parlano di modifiche che redistribuirebbero il carico, a gettito che, nella migliore delle ipotesi, resterebbe invariato, mentre non di rado sarebbe destinato a crescere ulteriormente.

A prescindere da quello che uno pensa della tassazione in quanto tale (per me è violazione della proprietà del soggetto tassato), ragionare di riforma fiscale senza considerare prioritaria la riduzione della spesa pubblica significa supporre che un podista possa sperare di essere competitivo dovendo portare sulle spalle uno zaino di 30 chili. A me pare un’assurdità.

Il tributarista Maurizio Logozzo fornisce un decalogo, che più o meno, ricalca l’impostazione che ho appena delineato. In sintesi, ecco i dieci punti:

  • 1) “Intervento a gettito invariato. Bisogna avere il coraggio in un certo momento storico di tirare una linea, quantificare il gettito dell’Irpef, delle imposte e dei regimi speciali a essa collegati. Non è consentita una riforma in deficit di bilancio, ma essa va finanziata, per così dire, dall’interno (inutile pensare a tagli di spesa).”
  • E perché sarebbe inutile parlare di tagli di spesa? Perché non li si vuole fare, oppure perché non si vuole mettere in discussione nessun capitolo di spesa, welfare state incluso, che oggi rappresenta oltre la metà degli 800 miliardi annui di spesa pubblica? Si considera forse la spesa pubblica una variabile indipendente? Se sì, sulla base di quali motivi e presupposti etici?
  • 2) “Destinazione vincolata per legge di una quota dalle entrate derivanti dalla lotta all’evasione (almeno il 50%) al finanziamento della riduzione della pressione fiscale. Il consenso al tributo da parte dell’onesto contribuente, su cui grava il peso della massiccia evasione fiscale, ne trarrebbe giovamento.”
  • Mi permetto di dubitare che il consenso al tributo aumenterebbe. E dubito anche sulla riduzione della pressione fiscale in base al mantra “pagare tutti, pagare meno”.
  • 3) “Riforma del catasto anche a gettito invariato (se ne parla da decenni, ma guai “elettoralmente” a chi lo tocca). Parte dell’erosione reddituale si annida nel settore immobiliare; non si tratta solo di rivedere le rendite degli immobili di pregio nel centro delle città metropolitane e diminuire quelle dei fabbricati periferici (che hanno rendite più alte), ma anche revisionare l’entità dei redditi agrari per i fondi con produzione importante.”
  • Di buone intenzioni, come è noto, sono lastricate le vie dell’inferno, soprattutto in campo fiscale. L’aumento delle rendite catastali non avverrebbe a gettito invariato, a meno che non si supponga che esista davvero Babbo Natale. Io tenderei a escluderlo.
  • 4) “Esclusione di qualsiasi regime speciale e delle imposte sostitutive Irpef (es., a parte i problemi di costituzionalità, c’è da chiedersi: quanto reddito hanno portato in Italia i 300 paperoni neo residenti, che godono di un regime fiscale irrisorio?).”
  • Premesso che, ahimè, non sono un beneficiario del regime in questione, il punto è che questi soggetti pagano 100mila euro all’anno per 10 anni, che comunque corrisponde a circa 25 volte la somma pagata da chi dichiara il reddito medio (circa 22mila euro, per un carico di poco più di 4mila euro). Dubito che fruiscano di servizi pubblici per 25 volte il dichiarante medio. Semmai non li utilizzano affatto. E, con il tenore di vita che possono permettersi, generano indubbiamente indotto.
  • Capisco che l’invidia sia un motore potente e spesso alla base di formule come “equità” e “giustizia sociale”, ma pensando di tartassare questi signori l’unico risultato che si ottiene è che l’indotto e i 100mila euro di tasse li vanno a generare altrove. Non molto intelligente, direi, anche se si è fautori della tassazione.
  • 5) “Riduzione radicale di agevolazioni, esenzioni, e, soprattutto, degli oneri deducibili o detraibili, a parte quelli che caratterizzano la personalità dell’imposta (basta con la detraibilità delle spese veterinarie per cani e gatti, delle piscine e delle palestre). Si libererebbero miliardi di euro per finanziare la riforma.”
  • Altro mantra molto utilizzato dai riformatori vari. La certezza è l’aumento del carico per chi beneficia di queste agevolazioni; quanto alla riduzione delle aliquote, non ne sarei così certo. Sarebbe necessario che le due cose fossero contestuali. In ogni caso, si tratterebbe per lo più di un’operazione a parità di gettito, nella migliore delle ipotesi.
  • 6) “Intassabilità per tutti del minimo vitale (come in Germania). Ciò risponde alla parità di trattamento tra tutti i contribuenti, una sorta di detassazione di un “figurativo” reddito di cittadinanza.”
  • I problemi di “parità di trattamento” vengono poi all’aumentare del reddito, purtroppo. E su quello pare che la disparità non sia considerata negativamente, ahimè.
  • 7) “Agevolare il trattamento fiscale della famiglia, mai oggetto di attenzione da parte del legislatore in un Paese in cui la natalità si avvicina quasi allo zero. I modelli non mancano: il quoziente familiare alla francese o il meccanismo dello splitting tedesco o statunitense.”
  • Un classico del buon tributarista stile Mulino Bianco. Si suppone che, dato che il gettito non deve calare, si vada poi a tartassare ulteriormente chi non ha familiari a carico (disclaimer: non avendo familiari a carico, potrei essere considerato in conflitto di interessi).
  • 8) “Il riordino delle categorie di reddito. Non solo razionalizzare il sistema, ad esempio, della tassazione dei redditi finanziari, ma, soprattutto, abbandonare la “casistica” nella determinazione dei redditi tassabili e definire delle precise nozioni per ciascuna categoria di reddito.”
  • Potrebbe fare chiarezza. Ma il rischio concreto è che i redditi oggi soggetti a imposta sostitutiva finirebbero per essere soggetti a un prelievo maggiore.
  • 9) “Rimodulazione ed eventuale innalzamento del numero degli scaglioni, in un sistema che tenda alla diminuzione della pressione fiscale complessiva, e, al contempo, assicuri una vera progressività dell’imposta. È senz’altro l’obiettivo più difficile, ma quello che tutti si aspettano. Abbandonato il sogno irrealizzabile della flat tax, occorre non soltanto rimodulare le aliquote al ribasso per i redditi di entità minore, ma anche applicare le aliquote marginali ai redditi di rilevantissimo ammontare, in modo tale da non scoraggiare la produzione.”
  • Formula in cui ci si imbatte con una certa frequenza. A me resta il dubbio sulla diminuzione della pressione fiscale complessiva, soprattutto alla luce degli altri punti del decalogo.
  • 10) “La semplificazione, che si inserisce nel quadro generale dell’auspicata codificazione tributaria e che comporta, come condivisibilmente afferma il ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri, la riduzione non solo degli adempimenti («il costo dell’obbedienza fiscale»), ma anche l’onere derivante dalla complessità e dall’incertezza del sistema.”

Eterno obiettivo, mai realmente raggiunto da nessun governo. Non da ultimo, perché, al di là delle parole, non lo si è mai realmente perseguito. Credo che qusto non cambierà con il chitarrista Gualtieri a via XX Settembre.

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3 COMMENTS

  1. è così chiaro quanto esposto che l’ho capito perfino io che di solito in materia non ci capisco niente…il che mi accomuna almeno a tre quarti della popolazione di cui ovviamente se ne approfittano i soloni che fanno le pensate a danno dei cittadini tutti…meno quelli che ovviamente riescono a gestire il loro portafoglio altrove…e fanno benissimo! quanto li invidio!… almeno si sottraggono al senso di frustrazione che la maggioranza di noi prova quando sente in televisione parlare un “politico”…

  2. Qualunque intervento in materia fiscale è destinato a fallire se si parte dal presupposto del “gettito invariato” questo perché la tassazione è semplicemente intollerabile. Il discorso che fa lo Stato è “io spendo 100 se qualcuno non paga gli altri pagheranno per lui” con tutto quel che è seguito. Uno Stato che gestisce più del 50% del PIl (e tralasciamo Enti Locali ed assistenziali con i quali si arriva tranquillamente al 70-80%) non è una repubblica democratica in economia concorrenziale: è uno Stato ad economia collettivista.
    Iniziamo con il mettere in Costituzione un limite massimo a qualsiasi forma di prelievo (compresi quindi i contributi) fiscale e previdenziale al 30%. Toccherà poi allo Stato e agli enti locali e previdenziali decidere se finalmente tagliare le spese o aumentare gli incassi combattendo l’evasione (che è concorrenza sleale e fatta principalmente da grandi industrie, banche e regioni del Sud) oppure attendere che l’inevitabile aumento del Pil in conseguenza della diminuita tassazione porti a un aumento del gettito (attesa senza fare debiti o deficit ovviamente…)

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