Uno dei problemi per il liberalismo, in Italia, è che buona parte di coloro che fanno politica definendosi liberali sono in realtà statalisti fino al midollo. Da metà anni Novanta Forza Italia (in tutte le sue denominazioni assunte pro tempore) si presenta agli elettori come partito liberale, salvo poi dimostrare di non esserlo.
Per esempio, Renato Brunetta e Giorgio Mulè hanno fornito questa dimostrazione di liberalismo in tempi di crisi da pandemia:
- “Bene, se dunque questo tempo sospeso deve servire a preparare un tempo migliore è doveroso essere ambiziosi e coraggiosi per creare le condizioni, ora e adesso, di un «new deal» basato su un nuovo patto sociale e fiscale. Il tempo dell’emergenza obbliga a una terapia keynesiana: si inizi a sbloccare i fondi per opere pubbliche già finanziate. L’ammontare è di oltre 100 miliardi. Se a questi 100 miliardi se ne aggiungessero altrettanti per rifinanziare la legge sulle città metropolitane e sulle periferie avremmo in mano un bazooka interno di potenza straordinaria. Questa misura va accompagnata con un nuovo grande «piano casa», con la detassazione degli investimenti per i miglioramenti nelle abitazioni prevedendo – laddove le condizioni urbanistiche, ambientali e paesaggistiche lo consentano – anche l’aumento delle cubature.”
Posto che i famosi (o famigerati) fondi per le opere pubbliche già finanziate sono in realtà capitoli di spesa che andrebbero poi per lo più finanziati non già facendo ricorso a risorse già a disposizione del Tesoro, ma emettendo debito pubblico, ben venga la detassazione. A patto di ricordare che, presto o tardi, o la spesa pubblica scende, oppure le tasse dovranno in un qualche modo risalire. Ma ecco il magico effetto moltiplicatore, che adesso sarebbe pari addirittura a 3.
- “Queste tre misure potrebbero valere almeno 300 miliardi e garantirebbero, nel minimo, un poderoso incremento del Pil. Ma non solo: metterebbero in moto la matrice delle interdipendenze settoriali con un coefficiente di moltiplicatore tra due e tre rispetto ai 300 miliardi investiti.”
Se così fosse, ogni politica keynesiana, fin dagli anni Trenta del secolo scorso, avrebbe portato più Pil che debito. Pare, invece, che sia stato il contrario. Dicevo delle tasse, ed ecco la soluzione “liberale”:
- “Ma il «nuovo patto» si dovrebbe fondare su un pilastro: il rapporto di fiducia tra contribuente e cittadino. In questa fase si dovrebbe pensare a misure di risarcimento pieno per tutte le attività che hanno abbassato le saracinesche (bar, artigiani, negozi ad esempio) o chiuso gli studi professionali di ogni tipo. Bene: l’economia sommersa vale più di 200 miliardi. Che cosa proponiamo: a tutte le imprese, a tutti i professionisti, a tutti i lavoratori autonomi – in definitiva a tutti – lo Stato dovrebbe chiedere di dichiarare oggi a quanto ammonta il mancato profitto o reddito reale per ogni mese di «fermo». Ebbene: facendo debito e deficit, lo Stato li risarcisce totalmente. Questa è la scommessa. Servirebbero risorse enormi, ma a nostro avviso ben investite. La dichiarazione sul «profitto reale» non dovrebbe avere alcun effetto sul passato, nessun tipo di pretesa verrà avanzata su ciò che non è stato versato al fisco in precedenza. Non è un condono, ma una pace vera e necessaria per superare lo stato di «economia di guerra». Ecco le condizioni. La prima: finito il «tempo sospeso» e con le attività nuovamente a pieno regime, il calcolo dei tributi da versare sarà effettuato sui livelli dichiarati al momento della richiesta di risarcimento. A quel punto dovrebbe scattare il «pagare tutti, pagare meno»: un nuovo regime fiscale, preceduto da una decisa spending review, per puntare a una semplificazione che superi le attuali aliquote (con la flat tax) e del sistema delle deduzioni e delle detrazioni. Con la piena lealtà fiscale i benefici sarebbero straordinari: almeno 4 milioni in più di lavoratori regolari, un balzo del Pil superiore al 20 %.”
Ogni passo verso la riduzione della pressione fiscale e la semplificazione del sistema tributario ha senso, purché la spending review non riguardi solo il sistema delle cosiddette tax expenditures, ma anche spesa vera.
Ciò detto, il problema è che nulla garantisce che i redditi futuri siano come quelli persi oggi. Il problema già si pone considerando che chiunque abbia un’attività paga di fatto le tasse con largo anticipo rispetto alla generazione del reddito. Con il sistema proposto da Brunetta e Mulè il problema non farebbe che peggiorare. Per di più, per quale motivo in questo frangente dovrebbe aumentare la fiducia nei confronti del fisco? A me, francamente, sfugge.