Durante le Cinque Giornate milanesi del ‘48, gli insorti inalberavano il tricolore bianco, rosso e verde. Esso era stato ripreso dal vecchio vessillo della Repubblica cisalpina e del Regno d’Italia di Napoleone. Le diverse disposizioni cromatiche delle bandiere giacobine (a bande verticali o orizzontali, o a losanghe) erano alla base anche della confusione e approssimazione nella disposizione dei tre colori durante le giornate del ‘48.
Essi erano infatti posti indistintamente verticali o orizzontali, e le loro disposizioni variavano: il bianco era prevalentemente nel mezzo ma si hanno documenti iconografici nei quali esso era di lato. Il tricolore era stato principalmente scelto per la sua valenza antiaustriaca ma, soprattutto, perché lo si identificava con quel Regno d’Italia che aveva riunita la Padania all’inizio del secolo. Proprio questa origine spiega che la sua conoscenza e diffusione fosse limitata solo al Lombardo-Veneto e ai Ducati emiliani. I carbonari piemontesi impiegavano il tricolore rosso-nero-blu, e gli altri insorti del ’48 usavano bandiere diverse: bianco-rossa in Toscana, bianco-gialla a Roma e bianca a Napoli. Solo nel corso della guerra anche tutti gli altri finirono per adottare il tricolore, definitivamente ufficializzato da Carlo Alberto che vi appiccicò sopra lo scudo di Savoia e stabilì la disposizione dei colori. Al successo del tricolore, è noto, non è stata estranea la massoneria che lo ha preferito ad altri simboli per le comunanze cromatiche con il 33° e ultimo grado del rito scozzese.
I combattenti delle barricate milanesi però tutte queste cose non le sapevano e vedevano nel tricolore un segno di libertà, di affrancamento della Lombardia all’interno di una federazione austriaca o di una federazione di stati padani o (come si diceva allora senza essere sospettati di faziosità leghista) dell’Italia Superiore. Il tricolore era un segno di aspirazione a nuove libertà democratiche e ad antiche autonomie. Non è un caso che a Milano esso sventolasse assieme alla antica croce cittadina di san Giorgio.
Come segno di libertà il tricolore è però durato pochissimo: giusto le cinque splendide giornate milanesi. Come segno di padanità è durato appena un po ’ di più. Nato in Padania, era stato usato solo qui. Gli stessi giacobini e bonapartisti che lo avevano inventato avevano infatti usato altrove altre bandiere: a Napoli il tricolore era rosso-nero-blu, a Roma nero, bianco e rosso e in Piemonte rosso, blu e arancio. Sono stati i Savoia a scipparlo ai patrioti padani e ad avvilupparci dentro la loro politica imperialista e, dopo il tradimento degli accordi di Plombiéres (che prevedevano la creazione di un regno dell’Italia Superiore) il loro disegno italianista.
Dopo la breve e gloriosa primavera di libertà padane, il tricolore è infatti passato a simbolizzare una unità fatta a baionettate, con i brogli dei plebisciti, e senza il consenso dei popoli. Ed è diventata bandiera di oppressione: sventolavano il tricolore i soldati che hanno sparato sulla popolo disarmato a Genova nel ‘49, a Torino nel ‘64, e a Milano nel ’98; portavano il tricolore le truppe che hanno represso nel sangue la resistenza anti-italiana nel Mezzogiorno. Con il tricolore sono arrivate la coscrizione obbligatoria e la tassa sul macinato. Col tricolore si sono intraprese criminali e stupide avventure coloniali. Per il tricolore (e per “cementare ” col sangue e con le sofferenze una unità impopolare) sono stati mandati a farsi ammazzare 650mila giovani; in nome del tricolore è stata fatta la marcia su Roma. ù
Per svolgere questa sua funzione opprimente, il tricolore si è caricato di qualsiasi patacca: la croce dei Savoia, l’aquila di Salò, la stella rossa e il “sale e tabacchi” della repubblica. Il tricolore è oggi protetto da una sfilza di articoli del Codice Rocco e da leggi che lo fanno diventare una sorta di segno totemico e di feticcio. Dietro al tricolore si nascondono oggi battaglioni di furfanti, dietro al tricolore si consuma l’accoppiamento contro natura fra fascisti e comunisti, dietro al tricolore si annebbia la memoria dei cattolici che da questo tricolore sono stati vessati e che per ciò lo avevano scomunicato. In nome del tricolore si consuma oggi il più brutale spregio delle libertà civili e politiche dell’Europa occidentale degli ultimi 50 anni.
Oggi, nella fregola di trovare una rispettabilità, il partito trasversale italione si attacca a memorie che non gli appartengono e cerca di contrabbandare le Cinque Giornate come un esempio di italianità e di voglia di unità. In mancanza di meglio fanno saltare fuori vecchi tricolori da armadi argentini. Presto estrarranno qualche altro orpello patriottico anche da una villa di Hamammet.
Giù le mani dai nostri vecchi del ’48! Essi combattevano per la libertà e per l’autonomia, per non farsi rapinare da faresti ingordi e per poter tornare a comandare a casa propria all’interno di una federazione di libere comunità padano-alpine. Proprio come noi oggi: erano indipendentisti e non italionisti!
Non significa nulla che sventolassero il tricolore. Era un altro tricolore: i colori erano freschi e puliti, non erano ancora stati lordati da 140 anni di ipocrisie, corruzione, violenza e sopraffazione.
All’inizio il tricolore era stata la bandiera di giacobini invasati e manolesta, dopo è diventata quella della oppressione italiana. Quella del ’48 è stata l’unica volta che il tricolore si sia configurato come un autentico segno di libertà. Il tricolore di Scalfàro (o Mattarella oggi, ndr) non è infatti il tricolore di Cattaneo. Forse gli somiglia ma non è lo stesso. Questo puzza di regime, quello profumava di libertà. Questo nasconde porcherie e cataste di morti, quello era segno di gioia di vivere e di cambiamento. Questo è protetto dal codice Rocco, quello era amato dalla gente. Questo ricorda ossari, funerali di stato, 740, caserme e prigioni: è grigio, lisa e burocratico. Quello era luminoso come il sole. Delle Alpi.