In Gran Bretagna, durante la Seconda Guerra mondiale, fu introdotto l’obbligo di portare con sé la carta di identità. In Italia quest’obbligo c’è stato per molto tempo (credevo ci fosse ancora ma mi dicono di no) e per molti italiani è normale. La normalità non dovrebbe essere mai confusa con quello a cui siamo abituati. Gran parte delle cose a cui siamo abituati (a partire dal denaro di stato e dall’imposizione fiscale) non sono affatto normali.
Finita la guerra, l’obbligo di portare le carte di identità nel Regno Unito rimase (come i materiali, anche le misure totalitarie, specie quelle imposte approfittando dell’emergenza, hanno una loro isteresi). Come c’è da scommettere che molte delle ulteriori e inutili misure totalitarie introdotte con la scusa del coronavirus rimarranno anche dopo l’emergenza, allo stesso modo in cui sono rimaste quelle introdotte durante il terrorismo degli anni ’70 (tipo l’obbligo di denunciare la persona che viene a stare per qualche giorno a casa tua come ospite – davvero c’è qualcuno che lo fa?).
Cinque anni dopo la fine della guerra, un tale Clarence Willcock, proprietario di una lavanderia nello Yorkshire ed esponente del partito liberale (credo che all’epoca il termine “liberal” nel Regno Unito non fosse ancora stato completamente distorto dai socialisti), mentre l’obbligo era ancora in vigore, fu fermato da un poliziotto, tale Harold Muckle, per nessun motivo.
Muckle chiese a Willcock i documenti (il classico “favorisca i documenti” di cui domani non ci sarà più bisogno perché avranno reso obbligatorio il porto dello smart phone con riconoscimento facciale). Willcock si rifiutò (su una base di principio, ma non lo disse). Il poliziotto gli consegnò un modulo che Willcock avrebbe dovuto compilare e portare alla stazione di polizia insieme al suo documento di identità entro le successive 48 ore. Willcock gettò il foglio per terra e disse: “Non porterò mai la mia carta di identità in nessuna stazione di polizia”. Fu denunciato per violazione del National Registration Act del 1939.
Willcock fu condannato da tutte le corti sulla base del fatto che il National Registration Act era ancora in vigore (quindi sulla base del fatto che aveva disobbedito a una ‘legge’ positiva, cioè a un comando arbitrario dell’autorità). Tuttavia, quando il caso arrivò all’alta corte, il Chief Justice, Lord Goddard, lo assolse, sostenendo che “Adesso la polizia di routine richiede i documenti ogni volta che ferma o interroga un conducente per qualsiasi motivo. Questo … è del tutto irragionevole. Usare atti del Parlamento imposti per scopi particolari durante la guerra quando la guerra è una cosa del passato tende a trasformare cittadini rispettosi della legge in criminali”.
Questo caso arrivò all’attenzione del Primo Ministro Winston Churchill, che pochi mesi dopo annullò quella ‘legge’ che obbligava i britannici a circolare coi documenti.
In Italia, dove non c’è la common law come in parte c’era e c’è ancora in UK (ma sempre di meno, come già nel 1961 notava Bruno Leoni), l’epilogo sarebbe stato diverso.
La common law, comunque, non è la legge della libertà. Viola la libertà di espressione, per esempio, permette l’imposizione fiscale, il denaro fiat di stato, il sistema bancario a banca centrale + riserva frazionaria, un livello di sorveglianza segreta e di massa che credo non abbia eguali al mondo (nemmeno con la NSA USA), Assange in prigione, ecc.
La legge della libertà è il principio di non aggressione: questa è l’unica regola di giusto comportamento (cioè l’unica regola di comportamento la cui violazione giustifica il ricorso alla coercizione) che è compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge, senza eccezioni.
In un sistema come quello italiano molto più distante dalla libertà di quanto lo sia l’UK, la disobbedienza civile è più difficile. E in generale è ancora più difficile se vi si ricorre per difendere la legge scientifica della libertà invece che alcuni suoi corollari particolari e più di moda: perfino negli USA, chi si è rifiutato di pagare le imposte è spesso morto in galera.
Oggi tuttavia c’è una possibilità evoluta di disobbedienza civile disegnata per essere possibile non solo nei paesi pienamente totalitari come l’Italia ma anche in relazione ad alcuni aspetti della legge scientifica della libertà meno alla moda: bitcoin.
Quindi, di fronte a questa bella storia, non resta che disubbidire. L’esempio migliore è guardare a Gandhi che avvisava il governo su cosa andava a fare. Si attendono volontari.