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Facebook, la censura e le soluzioni di libero mercato

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di PIETRO AGRIESTI

Facebook è una comunità volontaria: i suoi utenti, dipendenti, fornitori, soci, azionisti, inserzionisti, etc… sono tutti tali volontariamente. Dunque Facebook esiste sul consenso di chi vi partecipa in vari modi e ruoli. E se questo consenso venisse ritirato in misura importante andrebbe in crisi.

Il consenso potrebbe venire ritirato per molti motivi. Forse Facebook farà la fine di Internet Explorer quando arriverà un “Facebook due” su cui tutti traslocheranno spontaneamente trovandolo migliore. Oppure verrà abbandonato per una moltitudine di prodotti più specifici per fasce d’età, esigenze, e caratteri vari. Ma potrebbe anche essere soppiantato da un servizio completamente diverso, capace di rispondere alle stesse esigenze, non facendo meglio la stessa cosa, ma facendo qualcosa di completamente diverso. Una cosa più difficile, ma assolutamente non impossibile, è che Facebook perda consensi e membri in misura considerevole per le pratiche censorie che sta mettendo in atto.

Spesso si rimprovera a Facebook di avere comportamenti censori, ma questo è un tema che oggettivamente interessa e muove una piccolissima frazione dei membri della sua comunità. Vuoi perché sono censurate troppo poche persone, vuoi perché sono censurate idee di nicchia, che per lo più non interessano alla maggioranza delle persone, vuoi perché ci sono mille altri pregi a controbilanciare questo difetto. Fatto sta che non c’è una reazione importante a questi comportamenti. Non c’è una porzione cospicua di persone in cerca di alternative a Facebook per sfuggire alla censura.

Tuttavia, certamente, se la censura di Facebook dovesse colpire in modo tale da offendere seriamente non solo la sensibilità di qualche sparuta frangia, ma quella di molti membri, anche questo potrebbe far scattare il ritiro del consenso e la “sanzione del libero mercato”. Finché Facebook è sul mercato la sua capacità di censurare è limitata e disincentivata.

Ovviamente tutto questo è un processo che richiede tempo: il maturare di una estesa insoddisfazione, la presenza di concorrenti, la migrazione concreta ad altri servizi, l’abbandono di Facebook, sono processi che si svolgono nell’arco di anni. 

Spesso le critiche al libero mercato peccano proprio sotto questo aspetto: non considerano il tempo, ma solo l’istante X. Tuttavia nessuno sano di mente ha mai affermato che il mercato si adegui in modo istantaneo. Chiunque parli di mercato parla di leggi, tendenze, processi, incentivi, che si dispiegano nel tempo, non di magie che accadono in uno schiocco di dita, non di equilibri perfetti raggiunti e mantenuti per sempre. Se poi parliamo di concorrenza, quando qualcuno inventa e porta sul mercato per primo qualcosa di completamente nuovo, è evidente che all’inizio e per un certo tempo non avrà concorrenti.

Per cui in un libero mercato certamente nell’istante X possono esistere persone e idee che faticano a trovare spazio, che vengono emarginate, rifiutate, respinte da giornali, editori, media, festival, salotti, auditorium, social network, etc… e può ben essere che i libertari si trovino in questa posizione.

Il punto è un altro: in un libero mercato la censura nell’insieme è più difficile, meno uniforme, più facilmente superabile, limitata e disincentivata. Un contesto di mercato garantisce ampie opportunità di “mobilità sociale”, non solo alle persone, ma anche alle idee: anche le idee possono passare dalle stalle alle stelle, o comunque almeno una stalla facilmente l’avranno. Quindi probabilmente anche quelle persone e quelle idee che nell’istante X sono emarginate alla fine troveranno un loro spazio e avranno le loro opportunità.

Citando Hayek, se uno solo possiede tutte le cartiere e le tipografie non ci può essere libertà di stampa. Ma immaginiamo che chiunque possa aprire una cartiera e una tipografia. Che ogni proprietario di una cartiera o di una tipografia sia indipendente. Che possa gestirla come gli pare, assumere chi gli pare, accettare i clienti che gli pare, finanziarsi come gli pare e fare i prezzi che gli pare. E che a limitarlo non ci sia nessuno, se non la libertà di non farsi stampare da lui, di non volere in libreria le sue opere, di non comprare i suoi libri, di non finanziarlo, e così via..

Certamente non tutti riusciranno ad aprire una cartiera o una stamperia, e non tutti riusciranno a farsi stampare, e non tutti saranno soddisfatti. Ma l’imposizione di una vera e propria censura risulterà praticamente impossibile. Vi sarà una grande pluralità, un ampio ventaglio di opere stampate di un po’ tutti i tipi e le tendenze. 

E non solo: in un libero mercato un pubblico di potenziali clienti insoddisfatti è un’occasione di guadagno, in quanto tale tende ad attirare investitori e imprenditori, ed in questo modo la censura è limitata. Più è ampia la domanda insoddisfatta, più è significativa come potenziale clientela, più è facile che arrivi qualcuno a soddisfarla.

Riassumendo all’osso quindi in un libero mercato la censura è limitata dalla proprietà privata, in quanto forma di decentramento, e disincentivata dalla logica del profitto.

Non c’è ragione di pensare che Facebook si sottragga a questa regola. Per quanto sia ricco, dominante, potente, un’importante fuga di membri dalla comunità distruggerebbe la sua posizione. Non è una mera teoria, l’abbiamo visto accadere storicamente a molte grandi aziende. Il potere di censura di Facebook sul mercato è limitato dal suo essere una comunità volontaria, dalla libera concorrenza, dal pericolo di scontentare troppe persone.

Di fatti si stanno presentando sempre più concorrenti, e masse importanti di persone stanno “votando con i piedi”, spostandosi da Facebook ad altre comunità. Ricordiamo poi che Facebook non è un monopolio, per es. detiene “solo” il 23% del mercato della pubblicità digitale americano. 

Chi propone lo Stato come correttore delle imperfezioni del mercato, dovrebbe ricordare che al contrario di Facebook lo Stato è una comunità involontaria, creata, mantenuta e fondata sulla violenza; è un monopolio; non stando sul mercato offre servizi che vivono una vita indipendente dall’apprezzamento di chi li usa e risultano spesso scadenti, inefficienti e troppo costosi (fb è gratis); non solo non ha una bacchetta magica per fare meglio del mercato, ma è handicappato di tutto ciò che orienta il mercato alla razionalità e all’efficienza, che sostituisce con gigantesche burocrazie, politici incompetenti e senza scrupoli, clientelismo e corporativismo; e in più ha tutti i mezzi e gli incentivi per ricorrere alla censura e ancora prima all’indottrinamento, cosa che infatti fa abbondantemente.

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