Se c’è una costante, qualunque sia la maggioranza di governo, è l’ottimismo delle previsioni che ogni sei mesi sono riportate nel Documento di Economia e Finanza e nella sua nota di aggiornamento, sulla base della quale è poi impostata le legge di bilancio.
Roberto Gualtieri, quello che a detta del mainstream ha ridato autorevolezza all’Italia in Europa, non fa ovviamente eccezione. Nell’annunciare che fino al 2023 di iniziare a provare di contenere il deficit non se ne parla neppure, Gualtieri ha però sostenuto che il rapporto tra debito e Pil sarà pari al 158% quest’anno, per poi scendere al 155,6% nel 2021 e planare al 151,5% nel 2023.
Spingendosi oltre, Gualtieri ha affermato che il rapporto tra debito e Pil sarà “sotto il 130% alla fine del decennio”. Pur volendo supporre che la previsione di Gualtieri si riveli corretta fino al 2023, il calo del rapporto tra debito e Pil nei successivi sette anni dovrebbe essere superiore a 21,5 punti di Pil.
Affinché ciò possa verificarsi è necessario, in quel periodo, che la crescita nominale del Pil, il saldo primario e il costo del debito si combinino tra loro in un modo che non si è mai verificato finora.
Per fare un solo esempio, servirebbe una crescita nominale del Pil del 3.6% annuo, unito a un costo del debito del 2.3% del Pil e a un avanzo primario dell’1.3% (quindi deficit all’1% del Pil). Ovviamente potrebbero esserci anche delle entrate da dismissioni, ma la tendenza è piuttosto all’espansione delle partecipazioni statali piuttosto che a una loro riduzione.
Ognuno è libero di credere ai miracoli, ma se con queste previsioni si è autorevoli, non oso immaginare quale sia il limite per essere definiti cialtroni.