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Il generale Lee scrive alla moglie: la schiavitù è un male morale

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di ROBERT EDWARD LEE

«Credo che in quest’epoca illuminata siano ben pochi coloro che non riconoscano che l’istituto della schiavitù è un male morale e politico in qualsiasi Paese. È inutile dilungarsi sui suoi danni. Credo però che sia un male maggiore per i bianchi che per la razza nera, e mentre i miei sentimenti sono fortemente a favore della seconda, le mie simpatie sono più forti per i primi.

I neri stanno incommensurabilmente meglio qui che in Africa, moralmente, socialmente e fisicamente. La dolorosa disciplina cui sono sottoposti è necessaria per la loro istruzione complessiva, e io spero che ciò li prepari e li guidi al meglio. Quanto è necessario che questa loro soggezione duri è noto e ordinato da una Provvidenza saggia e clemente. La loro emancipazione verrà prodotta prima dall’influenza dolce e delicata del cristianesimo che non dalle tempeste e dalle burrasche delle polemiche furibonde. Benché lento, quell’influsso è infatti sicuro. La dottrina e i miracoli del nostro Salvatore hanno impiegato quasi duemila anni per convertire solo una piccola parte del genere umano e quanti errori ancora esistono anche nelle nazioni cristiane!

Mentre vediamo avviata l’abolizione definitiva della schiavitù umana, aiutandola con le nostre preghiere e tutti i mezzi leciti in nostro potere, dobbiamo lasciarne il corso così come l’esito nelle mani di Colui che vede la fine, di Colui che sceglie di operare attraverso movimenti lenti e per il quale duemila anni sono un giorno solo. Lo sappiano gli abolizionisti, capendo che non hanno né il diritto né il potere di agire se non attraverso strumenti morali e persuasione; e se ciò che vogliono è il bene degli schiavi, allora non debbono provocarne i padroni.

Benché infatti possano non approvare il modo in cui alla Provvidenza piace ottenere i propri scopi, l’esito sarò comunque lo stesso: le ragioni che essi accampano per interferire con ciò che non li riguarda diventano sennò poi buone per giustificare qualsiasi tipo d’interferenza con il nostro prossimo nel momento in cui non ne approviamo il comportamento, prossimo che, io temo, persevererà comunque nella propria malvagità. Non è strano che i discendenti di quei padri pellegrini che attraversarono l’Atlantico per preservare la propria libertà di opinione si siano sempre dimostrati intolleranti della libertà spirituale degli altri»?

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