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Politici idioti possono solo proporre idee idiote

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di ENZO TRENTIN

Ci sono dei politicanti idioti; persone rozze, prive d’istruzione, di scarsa intelligenza, di misero e scadente pensiero, che sostengono come in un mercato globalizzato (il termine è adoperato, a partire dagli anni 1990, per indicare un insieme assai ampio di fenomeni, connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo) come quello in cui viviamo, una piccola entità territoriale indipendente non riuscirebbe a sopravvivere. Andreas Zangger è uno storico e ricercatore freelance ad Amsterdam, particolarmente attento alle storie dell’interdipendenza, indirettamente li smentisce.

Nella sua tesi di laurea “Die Koloniale Schweiz” e nel libro “The Swiss in Singapore” ha trattato il tema degli svizzeri all’estero e dei loro rapporti con le potenze coloniali. Questo intellettuale sottolinea come la Svizzera non ha mai avuto colonie, ma approfittò del colonialismo. È quanto dimostra la storia delle tele di cotone stampato (dette “indiane”), il cui lucrativo commercio fu strettamente legato allo sfruttamento coloniale, alla tratta degli schiavi e al proselitismo religioso. Già 90 anni fa l’economista Richard Behrendt scrisse che la Svizzera aveva beneficiato dell’imperialismo più delle grandi potenze europee per il suo ruolo di terzo che se la gode tra i due litiganti. Le potenze colonizzatrici, infatti, dovevano anche sostenere i considerevoli costi del mantenimento dei loro imperi.

Similmente ai patrizi veneziani del rinascimento, in Svizzera chi riusciva ad accedere alle colonie, poteva realizzare grandi profitti, e soprattutto le classi più abbienti ne trassero beneficio. Il commercio di “indiane” fece confluire enormi ricchezze in Svizzera, ma aveva un lato oscuro. I tessuti venivano utilizzati come una sorta di moneta da barattare con gli schiavi in Africa che venivano poi spediti nel Nuovo Mondo. Nel 1789, i tessuti svizzeri costituivano per esempio il 75% del valore delle merci nella nave “Necker”, diretta in Angola, da dove sarebbe ripartita carica di schiavi.

Le aziende tessili investirono anche in modo più diretto nella tratta degli schiavi. I registri mostrano che tra il 1783 e il 1792 l’azienda tessile Christoph Burckhardt & Cie, con sede a Basilea, deteneva quote di partecipazione in 21 spedizioni di navi di schiavi che trasportarono circa 7.350 africani nelle Americhe. Gran parte del benessere nei centri tessili svizzeri intorno a Ginevra, Neuchâtel, Argovia, Zurigo e Basilea era legato alla tratta degli schiavi.

La Repubblica di Venezia nel 960, con la promissione ducale del ventiduesimo Doge Pietro IV Candiano, formalmente vietò il commercio di schiavi, mentre di fatto esso continua fino a tutto il XVII secolo. La promissione infatti proibisce il commercio di schiavi cristiani, offrendo ampia facoltà di manovra al commercio, come dimostra la memorialistica successiva.

Infatti, Peter Spufford nel suo libro “Il mercante nel Medioevo. Potere e profitto” (Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2005, p. 339) scrive: «Nel 1438, il mercante veneziano Giacomo Badoer acquistò a Costantinopoli 346 schiavi per spedirli a Palma. Il modello della piantagione completamente basata sull’utilizzo degli schiavi, in questo caso una piantagione di canna da zucchero, fu sviluppato verso il 1460 da un genovese, Antonio da Noli, il quale lo applicò nelle isole di Capo Verde.» Insomma niente di nuovo sotto il sole: pecunia non olet.

Nel XVII secolo, i tessuti di cotone stampato provenivano dall’India. Solo lì c’erano le competenze necessarie per produrli. Poi però la tecnica per la produzione di tele stampate a colori fu copiata dagli olandesi e dagli inglesi, che utilizzarono la meccanizzazione per renderle più economiche, minando l’industria tessile indiana. Gli abiti in tessuto “all’indiana” erano popolari perché erano leggeri e il colore era resistente.

Già all’inizio del XVII secolo numerosi svizzeri si arruolarono nelle Compagnie olandese e britannica delle Indie orientali. La maggior parte di loro ebbe un destino miserabile. Alcuni, invece, fecero fortuna e allacciarono relazioni utili. Entrarono nell’economia delle piantagioni e fecero coltivare canna da zucchero o altri prodotti. La forza lavoro era costituita da schiavi provenienti dall’Africa.

I produttori francesi, dal canto loro, ricorsero al protezionismo. Le stoffe “indiane” ricche di colori e a buon mercato prodotte in Europa divennero così popolari che il “Re Sole” Luigi XIV dovette vietarle a causa delle pressioni esercitate dai produttori nazionali di lana, seta e lino. Queste misure però ottennero conseguenze impreviste: il divieto francese di fabbricare e importare tessuti indiani nel XVII secolo fu una manna per la Svizzera. I protestanti francesi – gli ugonotti – in fuga dalle persecuzioni religiose, emigrarono in Svizzera e fondarono fabbriche tessili vicino al confine francese, in luoghi come Ginevra e Neuchâtel. Da qui le “indiane” venivano contrabbandate verso la Francia. La domanda di stampati di cotone era al suo apice nel 1785, con la Fabrique-Neuve di Cortaillod, e Neuchâtel divenne il più grande produttore di “indiane” in Europa, capace di 160.000 pezze di tessuto l’anno.

Le origini dello status della Svizzera come principale centro di commercio di materie prime risalgono alla metà del XIX secolo. I mercanti svizzeri compravano e vendevano in tutto il mondo merci quali il cotone indiano, le sete giapponesi e il cacao dell’Africa occidentale. Buona parte di queste materie prime non toccava mai il suolo elvetico, a differenza dei profitti del loro commercio, che rimpinguavano le casse degli imprenditori svizzeri.

Con tempo, non solo il commercio beneficiò dell’accesso alle colonie, ma anche la scienza e la tecnologia se n’è avvantaggiò. Ai tropici sono sorti interessanti poli di ricerca in geografia, biologia, paleontologia e antropologia. L’industria farmaceutica è interessata alle piante medicinali autoctone. I commerci svizzeri si sono avvantaggiati delle carriere accademiche che furono avviate tramite viaggi ai tropici o il lavoro con materiale tropicale nei laboratori locali.

Al pari della prima industrializzazione, basata sul cotone e sugli stampati con motivi esotici, anche la seconda industrializzazione (industria chimica, automobilistica ed elettrica) ha fatto ricorso a materiali provenienti dalle colonie. La gomma a buon mercato delle piantagioni di caucciù in Malaysia, a Sumatra e Ceylon (odierno Sri Lanka) ha dato la spinta necessaria. È stata intensificata la ricerca di nuovi materiali sempre più promettenti.

Questa sommaria descrizione solo per rilevare come sul fronte indipendentista si distinguono i maestri del nulla. Persone dalla progettualità scadente che sostengono la paradossale morale politica che (per esempio in Veneto) sollecita l’attuale Presidente della Regione: Luca Zaia, (stimolato pubblicamente attraverso alcuni mass-media) a scendere in piazza per raccogliere, in una protesta pacifica e corale per l’autodeterminazione, un numero talmente consistente di scontenti da influenzare il governo di cui Zaia è il rappresentante in loco.

Ma non ci troviamo solamente di fronte a servili adulatori (secondo il vocabolario Treccani il sinonimo è leccaculo o leccapiedi). Siccome la bizzarria non ha limiti, c’è chi si distingue  per la mancata ricerca di soluzioni economico-politico-istituzionali. Ecco quindi un’altra idea idiota: è circolata sui social network la possibile disponibilità di alcuni leader del Partito dei Veneti di mettere a disposizione, a titolo gratuito, di chi avesse la buona volontà di proseguire sul quel programma e progetto politico, il simbolo elettorale del sodalizio.

L’inadeguatezza politica di chi avanza queste offerte è desolante. Chi sarebbero gli scombinati disponibili a raccoglierne l’eredità politica insussistente di 10 sigle asfittiche i cui sparuti aderenti non sono riusciti a completare le liste di candidati per le regionali 2020, e che elettoralmente hanno prodotto in favore dello 0,84% dei votanti? Se la politica italiana è in mano a degli incapaci, di certo alcuni sedicenti indipendentisti sono intellettualmente morti.

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