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America… la parte migliore del mondo. o forse no?

Da leggere

di PAOLO L. BERNARDINI

E’ appena uscito presso l’editore Ronzani di Vicenza il mio ultimo libro, “La parte migliore del mondo. Scritti sull’America”. Lo si può acquistare qui.

Non avrei mai pensato, ma lo temevo, che il libro uscisse quando siamo all’alba di un’era forse disastrosa. Scorrendo i nomi del governo Biden ho visto un futuro tetro. Quelle persone sono state scelte per le loro capacità, o perché nere, ispaniche, gay, transgender? Quella cerimonia mesta, mai così mesta dall’origine della presidenza americana, non sembra di buon augurio. Se il mondo si avvia davvero verso quel grande reset su cui l’amico Leo ci ha recentemente illuminato qui, la saga del “politicamente corretto” avrà svolto la funzione delle vignette antisemite che circolavano nel mondo da metà Ottocento: il prodromo culturale di un massacro reale.

Se vi sarà uno scontro epocale tra l’istinto e la cura per la libertà, e l’oppressione centralistica, statalistica, ecologistica, il nuovo nazismo del Terzo Millennio, alla fine temo – e spero – che proprio in America questo scontro avrà luogo, in questa terra magica, ancora, per me, e per milioni, dove il cinema si inventa mostri alieni e mostri sotterranei, nemici lontani, solo per non accorgersi che i nemici peggiori sono a casa propria: i collettivisti democratici (con quinte colonne repubblicane), i difensori dei grandi interessi di falsi capitalisti divenuti tali per appoggio pubblico, col contorno delle star della canzone e di Hollywood come menestrelli miliardari per incantare un popolo che – per fortuna solo in parte – è asservito e inconsapevole. Per me “la parte migliore del mondo” non è dunque tutta l’America, ma lo sono coloro che in quella parte pur privilegiata del mondo si battono ancora per il rispetto dei diritti individuali, di libertà e di proprietà, del fondamento stesso della storia americana. E credo che siano in molti. Spero che siano in molti.

Questo è un libro in gran parte erudito e scientifico, ma affronta, nel suo nocciolo duro, la chiave per comprendere la storia americana, nella sua straziante dialettica: un individualismo esasperato che cresce insieme allo stato e allo statalismo più selvaggio, un angelo e un demone che dal 1776 crescono parallelamente, il Bene e il Male, diventando sempre più ingombranti, e rendendo sempre più impossibile una loro convivenza nella medesima compagine politico-territoriale. Ora più che nel 1859 una secessione sarebbe auspicabile. Perché dietro la secessione vi sarebbe la scissione tra vere e proprie visioni del mondo, tra interpretazioni della vita, tra anelito alla libertà e desiderio di essere schiavi – un desiderio peraltro legittimo, anche dal punto di vista libertario (nessuno obbliga a essere liberi!), come dimostro qui nel saggio su Fitzhugh. Dimostrando anche le illusioni di un conservatorismo liberale che vuol mantenere lo status quo politico, come quello del benemerito George Will.

Solo aumentando le prerogative dei singoli stati, ognuno così diverso dall’altro, solo rafforzando la decentralizzazione, solo facendo prevalere Jefferson su Hamilton, si risolverà il dilemma. La centralizzazione che già sta compiendo Biden – che non perde tempo, occorre dire – porterà gli USA ad una nuova guerra civile. O se non a qualcosa di così tragico, la porterà lontana dalle sue origini, la trasformerà in una Cina occidentale, in qualcosa di diverso dall’America che conosciamo. Lo statalismo, il collettivismo, la demagogia del politicamente corretto, sono virus infinitamente più perniciosi di questa influenza artificiale, e proprio il virus (come la crisi del 1929, come le guerre, come la crisi finanziaria del 2008), consentirà il trionfo ai sostenitori del reset, che vogliono fare di tutto il mondo un Venezuela: pochissimi superricchi e un’infinità di miserabili digitali, controllati dai loro telefonini, privi dell’uso del contante, ridotti a parodie di individuo, robottini mostruosi e inerti, che scorrono veloci su monopattini dall’infanzia alla morte senza aver mai vissuto, su un tapis roulant freneticamente mosso da diavoli.

Ma gli anticorpi in America esistono, sono nelle case texane piene di armi per difendersi dallo stato centrale e dall’autorità pubblica in generale, prima che dai ladri; sono nei pensatori libertari che non mancano, anche se “rari nantes” nel “gurgite vasto” dell’accademia asservita e ormai priva di ogni decenza, non dico di ogni sapere; ma sono soprattutto in quella vastità di territorio – a giugno si Deus vult, percorrerò la Route 50 da costa a costa e ne scriverò – che di per sé è immagine di libertà, qualcosa che non potrà mai essere dominato; e sono in una parte degli americani che non si rassegna. In loro credo. Potrebbe darsi che proprio quando ci si aspetta il peggio, inaspettatamente arrivi l’antidoto. Sicuramente, molti, nello spirito dei loro padri, non si arrenderanno facilmente, e – detto brutalmente – venderanno cara la pelle. Che lo intoni Lady Gaga o chiunque altro, l’inno si chiude meravigliosamente con l’esaltazione dei “free” e dei “brave”. Liberi e coraggiosi non mancano. Neppure ora, in America.

Qui sotto, potete leggere l’introduzione al libro!

LEGGI-INTRODUZIONE-LIBRO-BERNARDINI

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