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Il covidiota è l’individuo con la museruola. Senza volto si è schiavi!

Da leggere

di LEONARDO FACCO

Quali sono i danni causati dalla Programmazione Neuro Linguistica – fondata sulla paura – messa in atto durante questi ultimi 16 mesi, con la complicità dei collaborazionisti chiamati giornalisti?

Ecco la risposta: «Secondo un recente, allarmante sondaggio sulle mascherine, realizzato da Emg-Different/Adnkronos, ben 7 italiani su 10 dichiarano di continuare ad utilizzarle anche quando ne verrà tolto l’obbligo».

Raccapricciante. Mi corre l’obbligo, a questo punto, di citare Giorgio Agamben, uno dei più acuti osservatori, e critici, dell’infodemia e della rieducazione sociale in atto. In uno dei suoi articoli, ha proprio scritto di come l’annullamento del volto umano sia strategico per la continuazione della distopia in corso.

Ha scritto a tal proposito:

  • Che la visione del proprio volto e del volto degli altri sia per l’uomo un’esperienza decisiva era già noto agli antichi: «Ciò che si chiama “volto” – scrive Cicerone – non può esistere in nessun animale se non nell’uomo» e i greci definivano lo schiavo, che non è padrone di se stesso, aproposon, letteralmente «senza volto». Certo tutti gli esseri viventi si mostrano e comunicano gli uni agli altri, ma solo l’uomo fa del volto il luogo del suo riconoscimento e della sua verità, l’uomo è l’animale che riconosce il suo volto allo specchio e si specchia e riconosce nel volto dell’altro. Il volto è, in questo senso, tanto la similitas, la somiglianza che la simultas, l’essere insieme degli uomini. Un uomo senza volto è necessariamente solo.
  • Per questo il volto è il luogo della politica. Se gli uomini avessero da comunicarsi sempre e soltanto delle informazioni, sempre questa o quella cosa, non vi sarebbe mai propriamente politica, ma unicamente scambio di messaggi. Ma poiché gli uomini hanno innanzitutto da comunicarsi la loro apertura, il loro riconoscersi l’un l’altro in un volto, il volto è la condizione stessa della politica, ciò in cui si fonda tutto ciò che gli uomini si dicono e scambiano.
  • Il volto è in questo senso la vera città degli uomini, l’elemento politico per eccellenza. È guardandosi in faccia che gli uomini si riconoscono e si appassionano gli uni agli altri, percepiscono somiglianza e diversità, distanza e prossimità. Se non vi è una politica animale, ciò è perché gli animali, che sono già sempre nell’aperto, non fanno della loro esposizione un problema, dimorano semplicemente in essa senza curarsene. Per questo essi non s’interessano agli specchi, all’immagine in quanto immagine. L’uomo, invece, vuole riconoscersi e essere riconosciuto, vuole appropriarsi della propria immagine, cerca in essa la propria verità. In questo modo egli trasforma l’ambiente animale in un mondo, nel campo di una incessante dialettica politica.
  • Un paese che decide di rinunciare al proprio volto, di coprire con maschere in ogni luogo i volti dei propri cittadini è, allora, un paese che ha cancellato da sé ogni dimensione politica. In questo spazio vuoto, sottoposto in ogni istante a un controllo senza limiti, si muovono ora individui isolati gli uni dagli altri, che hanno perduto il fondamento immediato e sensibile della loro comunità e possono solo scambiarsi messaggi diretti a un nome senza più volto. E poichè l’uomo è un animale politico, la sparizione della politica significa anche la rimozione della vita: un bambino che nascendo non vede più il volto della proprio madre rischia di non poter più concepire sentimenti umani.

Ogni epoca ha le sue immagini rappresentative. La bimba che fugge dalle bombe al napalm ci ricorda la Guerra del Vietnam, il marinaio che bacia la fidanzata a Manhattan richiama la fine della Seconda Guerra Mondiale, il padroncino con la museruola che porta a spasso il proprio cane senza alcuna protezione sarà l’icona che rappresenterà negli anni a venire la dittatura parasanitaria del XXI secolo.

Che dire? So bene che “è inutile parlare di libertà ad uno schiavo che è convinto di essere un uomo libero”.

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2 COMMENTS

  1. Poi il bello è che alcuni giornali o blog hanno provato a rivedere la parola covidiota dandole l’origine nella sfera delle persone negazioniste e riduzioniste (ovvero, loro dicono che i negazionisti hanno inventato questa frase per ridicolizzare chi in realtà si stava comportando bene (gli ipocondriaci, germofobici, scientisti, massimalisti del Covid e allarmisti); tuttavia compiono un errore GROSSOLANO, infatti il Dizionario della Treccani (che anch’esso non è imparziale su questo termine, si lascia sfuggire questo dettaglio) dice che questo appellativo veniva dato a “chi ignorava stupidamente le misure di sicurezza anti-covid o faceva scorte irrazionali di prodotti alimentari incrementando il panico”.
    Quindi leggendo il contenuto si evince che in realtà non si sta parlando di gente che viola le regole perché sanno che valgono solo in una mente machiavellica (e non in una mente normale), ma bensì in gente ipocondriaca, germofobica, massimalista, spaventata irrazionalmente (quindi non è nato dai negazionisti).
    Questi dementi hanno visto solo il fatto che “violavano i divieti” quindi erano negazionisti, quando invece quelli (i Covidioti) erano proprio loro, quei massimalisti/catastrofisti che ancora oggi indossano la mascherina all’aperto in piena estate.

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